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Everything continues

Il libro di Monia Cappuccini, “Austerity and democracy in Athens. Crisis and Community in Exarchia” (Palgarve&McMillan, 2018) legge la crisi e i movimenti in Grecia partendo dallo studio di Exarchia. Esempio di solidarietà e organizzazione, il quartiere ateniese costituisce un caso di resistenza all’austerity e di sperimentazione democratica. Il libro verrà presentato oggi nella facoltà di Ingegneria a Roma

Frutto di un lavoro di ricerca svolto tra il 2012 e il 2015, Austerity and democracy in Athens. Crisis and Community in Exarchia. (Palgarve&McMillan, 2018) di Monia Cappuccini si snoda tra le vie di Exarchia, quartiere radicale anarchico e antiautoritario di Atene, per ripercorrere e analizzare le intricate trame della crisi in Sud Europa. Lo spazio urbano, lungi dal rappresentare lo sfondo contestuale all’analisi dell’autrice, costituisce la lente d’ingrandimento sui processi che hanno interessato il paese e l’Europa tutta. Come in un documentario in presa diretta, il lettore si ritrova a osservare le vie, i muri, gli spazi sociali e gli abitanti di una città ridisegnata, spazialmente e socialmente, dalla collisione dei due processi che danno il titolo al libro: austerity and democracy. Camminando per le strade di Exarchia e di Atene, ci si ritrova così letteralmente a camminare in uno spazio polarizzato, dove agli effetti del violento fenomeno di spossessamento, impoverimento, precarizzazione di un paese, si affiancano a quelli di uno dei più efficaci e interessanti esperimenti di radicale immaginazione di nuove pratiche di democrazia.

L’immagine di un albero di natale incendiato è forse una delle più famose «cartoline» della Grecia del 2008. Le rivolte che hanno infiammato il paese a seguito della morte di Alexis Grigoropoulos, sono iniziate quasi per l’imprevedibile precipitare sincronizzato degli eventi, un attimo prima dell’esplosione della crisi. Così il fuoco di Exarchia ha illuminato in anticipo la città, che di lì a poco sarebbe stata travolta dall’incredibile «movimento delle piazze» che per tre mesi ha occupato piazza Syntagma. Punto di non ritorno della storia della Grecia contemporanea, quanto iniziato nel 2008 ad Exarcheia non è nato dal niente, come ricorda l’autrice. «La prima pietra è per Alexis, le altre sono per noi» è stato uno degli slogan di una generazione di giovani in rivolta. Con l’esplodere della crisi, la resistenza ha oltrepassato i confini di Exarchia per conquistare il centro della città, con nuove e inedite parole d’ordine che pretendevano e praticavano una democrazia reale. Quella che Douzinas ha definito «età della resistenza» ha cambiato il volto dello spazio urbano e sociale della città: non si è trattato soltanto del diritto alla città à la Lefebvre, ma un diritto «attraverso» la città, una trasformazione degli spazi dell’azione collettiva, dei processi decisionali, attraverso la riappropriazione dello spazio pubblico.

Le strade di Exarchia, attraverso cui l’autrice ci conduce, sono ancora interamente permeate da quanto accaduto a partire dal 2008. I muri parlano di Alexis, gli abitanti e gli attivisti che l’autrice intervista ricordano con orgoglio la risposta del quartiere alla violenza della polizia come l’inizio di una ben più generalizzata rivolta. La vita del quartiere si articola attorno a forme diverse di autorganizzazione e solidarietà, nate dentro e soprattutto dopo i mesi di piazza Syntagma, come effetto su piccola scala del movimento che ha portato milioni di greci nelle piazze. Exarchia vive della rivendicazione della propria eccezionalità, della propria capacità di reagire agli eventi, alla polizia, alla crisi, con l’imprevedibilità caratteristica del quartiere.

Solidarietà e autorganizzazione sono le parole che descrivono uno spazio urbano e sociale allo stesso tempo luogo di incubazione della resistenza e «isola felice», in una città che senza sosta ha visto gli effetti dell’implementazione dei memoranda e dei processi di marginalizzazione e militarizzazione imposti dal governo. Exarchia è attraversata dalle contraddizioni: un quartiere giovane e a suo modo «attrattivo» per un certo tipo di visitatori, ma nonostante tutto capace di conservare una propria identità di resistenza che rende difficile l’attecchire di veri e propri processi standard di gentrification. Criminalizzato dai media e oltremodo mitizzato dagli attivisti, il quartiere resta uno dei posti più aperti ed ospitali nei confronti delle vite marginali ed eccedenti, resistendo in questo modo ai violenti processi di «riqualificazione urbana» che hanno interessato altri quartieri.

Il rischio di recintare la resistenza in uno spazio delimitato e di conseguenza ben controllato è chiaramente sempre alle porte. I mesi di occupazione di piazza Syntagma, tuttavia, hanno rotto gli argini e numerose esperienze di solidarietà e autorganizzazione nate nel quartiere si sono riversate nel centro di Atene per contribuire alla sperimentazione di una forma di democrazia plurale e partecipata.

Exarchia diventa, così, uno strumento d’analisi per fare luce su quanto accaduto nella capitale greca.  Il modello è quello dell’auste-city, la città dell’austerity, laboratorio sperimentale di governo economico e urbano della crisi «attraverso una combinazione di programmi di privatizzazione e processi biopolitici». L’auste-city vive della polarizzazione di due contrapposti fenomeni in collisione esplosiva: da un lato la sperimentazione di una nuova forma di dominio governamentale dell’economia del debito, dall’altro «la conversione di una democrazia indebolita nell’esperienza della joie de vivre», con cui i movimenti greci anti-austerity hanno sovversivamente contribuito «a rinnovare il ruolo marginale generalmente attribuito alle città del mediterraneo nel panorama europeo colpito dalla crisi» (1729.

Austerity and Democracy pone alcune domande che risuonano ben oltre i confini della Grecia. Che ne è stato dei movimenti anti-austerity che hanno infiammato le strade del mondo a partire dal 2008? Che forma hanno preso le rivendicazioni e la messa in pratica di forme di democrazia diretta? Quali sono stati gli effetti duraturi di questi movimenti?

In Grecia i movimenti anti-austerity, forse i più potenti in Europa, hanno di fatto subito la più grande sconfitta che si possa immaginare. Le speranze riposte nel governo di Syriza sono state violentemente spezzate all’indomani del referendum. L’effetto più esasperato di questa sconfitta è il risuonare feroce di una domanda aperta: ha ancora senso l’azione collettiva?

Eppure sarebbe miope guardare agli effetti di quattro anni di rivolta osservandone il fallimento nello sfacelo del governo Tsipras. Mentre Exarcheia resta uno dei pochi luoghi aperti ed ospitali per gli esclusi, mentre gli spazi sociali restano luoghi di mutualismo e solidarietà, nel 2015, almeno 15 nuovi spazi sono nati ad Atene, pronti ad accogliere le vite e le lotte di quanti si sono dovuti scontrare con il regime europeo delle frontiere. Di nuovo sulla cresta dell’onda, la Grecia non ha esitate a rispondere all’estate delle migrazioni con quella «joie de vivre» forse improvvisata ma senza dubbio capace di costruire ancora una volta impreviste alleanze.

I movimenti di massa centralizzati hanno così sedimentato un lascito che non si può nascondere. L’immaginazione collettiva di quell’hub di rivolta che è la Grecia è ancora in movimento.  «Everything continues», come recitava un anno dopo la morte di Alexis, uno striscione appeso fuori da Navarinou Park, un parco «sottratto al cemento» e riaperto nel bel mezzo di Exarcheia, oggi trasformato in spazio aperto di tutte e tutti.

 

Il libro verrà presentato il 9 marzo dalle 16 alle 19 nella Facoltà di Ingegneria della Sapienza