ITALIA

È in pericolo a Milano il Cantiere per costruire un’altra città

L’esperienza dello spazio occupato da 25 anni è minacciata. Milano è da anni al centro di importanti processi di finanziarizzazione e gentrificazione, che trasformano lo spazio e la vita delle persone. La comunità del Cantiere insieme alla città resistente non ha intenzione di cedere a questo disegno strategico e ha attivato reti di cooperazione dal basso e iniziative a sostegno del Centro Sociale

Per chi viene da Roma, l’immagine tipica di Milano è quella caratterizzata dalle guglie del Duomo, dai tram in orario, dalla nebbia e da una moltitudine di persone che corrono da una parte e dall’altra perché sempre indaffarate. Se si arriva a Milano oggi e si decide di camminare per la città, si vedono ancora le guglie, i tram, le persone di fretta (la nebbia no, quella è scomparsa da anni), ma c’è qualcos’altro che modifica prepotentemente l’immagine da cartolina. Pensiamo di percorrere una traiettoria verso ovest, che da Centrale passi per City Life, prosegua in direzione San Siro, si sposti verso i resti fatiscenti di Expo e poi più a nord, verso Certosa o Villapizzone. Girato un angolo, alzato lo sguardo, percorso un viale alberato o una stretta traversa, ciò che occupa il nostro campo visivo sono aggressive reti arancioni, gigantesche impalcature coperte di teli bianchi, a nascondere lo sventramento, enormi cartelloni con render patinati di edifici di lusso. Cantieri su cantieri che spuntano come funghi da ogni parte della città, e viene quasi da chiedersi in che modo, chi a Milano ci vive, si sia abituatə a questi ingombri, queste presenze aliene, assurde anche per la ben nota “città che sale”.

Tra questi, però, in via Monte Rosa 84, c’è un Cantiere che si distingue dagli altri, vuoi perché non è circondato da una rete arancione, o perché sono 25 anni che è presente e “vive” in zona San Siro, a pochi passi dalla Metro Lotto.

In una città che viene scavata, svuotata, ricostruita demolendo edifici e memorie, il Cantiere “vive”, perché non c’è verbo più adeguato, dell’impegno quotidiano di chi ha deciso di proporre una visione diversa di collettività, di spazio, di città.

Il Centro Sociale Cantiere viene occupato il 12 maggio del 2001 da parte del coordinamento dei collettivi studenteschi di Milano e provincia, per avere uno spazio dove organizzarsi per le imminenti giornate del G8 di Genova. L’occupante più “anziano” aveva 19 anni. Da quel giorno, lo spazio cresce assieme all3 su3 abitanti e anima città e hinterland attraverso le numerose attività, che nel tempo lo porteranno a essere uno degli spazi più vivi e conflittuali della metropoli. In quello che l3 attivist3 definiscono come un «laboratorio politico metropolitano in movimento», infatti, trovano spazio eventi sociali e di alternativa culturale, caratterizzati da una marcata natura antirazzista e antisessista. Dal mutuo soccorso alla palestra popolare, dal gruppo di acquisto solidale e al mercato anti-crisi, dalle lezioni dell’UniPop alla Libreria Don Durito, per non parlare delle iniziative musicali e teatrali che offrono un altro immaginario possibile, in un’area della città dimenticata dal centro.

Lo spazio scelto per “costruire” collettivamente questa idea alternativa di mondo è una palazzina liberty di inizio ‘900, che nel 2001 era abbandonata e inutilizzata da circa 20 anni. Non un edificio qualsiasi, ma la sede dello storico Derby Club, il famoso locale di cabaret milanese in cui hanno esordito artisti come Abbatantuono, Celentano, Iannacci e Paolo Rossi. Questo luogo è quindi da sempre «uno spazio underground d’irriverenza al potere», ci racconta Elena, attivista che incontriamo ai tavoli della zona di studio e coworking del Cantiere, poco prima di uno dei tanti incontri in programma in queste settimane.

In una Milano ormai in preda allo sfruttamento forsennato di ogni centimetro disponibile, anche questa palazzina liberty, con tutta la sua storia, è sotto attacco. L3 attivist3 hanno infatti chiamato un’allerta gialla, a seguito di una minaccia di sfratto.

Alla morte del precedente proprietario del Derby, gli eredi hanno infatti venduto l’intero edificio alla “Monterosa 84 s.r.l.” (nome piuttosto eloquente), società che rivendica la proprietà e che – insieme alle altre holding del gruppo di cui fa parte – ha come scopo primario il recupero di non meglio specifici asset critici. In realtà, come continua a spiegarci Elena, con la parola “recupero” nascondono il vero obiettivo: il sovra-prezzare gli immobili che riescono ad acquisire a prezzi irrisori attraverso operazioni finanziare d’investimento. «L’intero palazzo è stato acquistato a 1.800.000 euro, più o meno come quello di un trilocale in Porta Romana… capite che qualcosa non quadra!». Visto l’investimento redditizio, da far fruttare nell’immediato, la proprietà ha dunque provato a chiedere lo sfratto d’urgenza, adducendo come motivazione il possibile distaccamento pericoloso di parti del tetto, della facciata dal palazzo e di una, in realtà solidissima, grondaia. Ovviamente – come per altro verificato dal locale corpo dei Vigili del Fuoco – questo rischio non sussiste, ma ciò non ha impedito un bel giorno alla proprietà di circondare l’edificio con ponteggi, reti e pannelli, ingombrando parte del marciapiede e, di fatto, chiudendo accessi e finestre. Si tratta chiaramente di un atto di forza, di una provocazione, soprattutto dopo che il tribunale civile di Milano aveva rigettato l’istanza della Monterosa 84, scrivendo negli atti che «non risulta una situazione di pericolo attuale, reale ed obiettivo a cui porre rimedio in via d’urgenza».

«Stanno provando a creare loro l’urgenza», commentano l3 attivist3 «ma noi non accettiamo provocazioni e abbiamo risposto al tentativo di limitare l’accesso allo spazio con un presidio solidale a cui hanno partecipato centinaia di persone. Agli attacchi che vorrebbero farci chiudere a riccio, infatti, abbiamo deciso di rispondere aprendoci ulteriormente alla città. Durante questa iniziativa abbiamo liberato il Cantiere dal cantiere della proprietà. Non ci stiamo a far cancellare 24 anni di storia con la scusa di una grondaia che cade». Sono infatti anni che l3 attivist3 si prendono cura del palazzo attraverso numerosi lavori di autorecupero: «questi», proseguono, «non sono lavori eccezionali dettati dall’urgenza, ma qualcosa che abbiamo sempre fatto e che continueremo a fare». Si legge, in queste parole, la visione di un’azione collettiva che, partendo dal basso e mantenendosi viva e stabile con generazioni di lavori di autorecupero, ha voluto offrire uno spazio, concreto e metaforico, sicuro, libero, accogliente.

È dunque evidente che c’è una precisa volontà di cancellare l’esperienza del Cantiere e del suo presidio sociale dal tessuto urbano del quartiere San Siro, ma allo stesso tempo – sottolinea Elena – tutto questo «è l’esempio paradigmatico del generale modello che la politica ha per la città di Milano. Un modello che prevede di eliminare ogni esperienza fuori dalla norma della rendita, in favore di una città di palazzine di lusso e appartamenti con piscine a ogni piano!».

Eccoci allora a riguardare quei numerosi cartelloni con i loro render brillanti che pubblicizzano la realizzazione di nuovi edifici elitari, al posto dei corpi di fabbrica esistenti. Quello che anni fa è iniziato al quartiere Isola con la rimozione delle tradizionali case di ringhiera per far spazio a grattacieli e boschi verticali vari, sembra che ora stia avvenendo anche in tutto il resto della città.

Ai tempi c’era COIMA, una Real Estate che dal 1974 opera come fondo d’investimento; adesso gli attori sono molteplici – o almeno, così sembra. Infatti, proprio come nel caso della proprietà “Via Monterosa 84 s.r.l”, molti di questi nuovi interventi vengono portati avanti da società che hanno come nome, asettico, minimalista e riconoscibile, proprio l’indirizzo dello stabile in questione.

La forza del Cantiere sta proprio nel tentativo costante di partire dai singoli casi, per poi estendere lo sguardo e provare a delineare la visione più ampia. Così, attraversando i muri della palazzina, l3 attivist3 hanno dato vita a un lavoro di inchiesta importantissimo, partendo dalla volontà di capire un po’ meglio non solo chi c’è dietro la minaccia al Centro Sociale, ma anche chi sta provando “a mettere le mani sulla città”. Il primo punto emerso dalle ricerche riguarda la natura delle s.r.l. in questione, cioè quelle che hanno come nome una precisa via con un preciso numero civico: paradossalmente risultano tutte costruite attorno a capitali sociali talmente esigui da essere poco credibili, stimabili tra i 7 e gli 11 mila euro. Oltre a ciò, è spesso molto difficile ricostruire a quali più importanti proprietà possano essere attribuite. È dunque facilmente presupponibile che tutte queste piccole realtà formino di fatto delle bolle più grandi, riconducibili a un unico attore, che operano come holding finanziarie sul territorio di Milano. Sono questi, quindi, gli artefici alla base di molti cambiamenti urbanistici della città meneghina.

È almeno dal 2015 che Milano è al centro di importanti processi di finanziarizzazione, i quali si esplicano soprattutto nel campo dell’urbanistica. D’altronde, si tratta della città in cui è nata ed è stata messa a modello quella che viene definita Urbanistica Contrattata.

Con questa definizione, come ci spiegano durante l’incontro l3 antropolog3 e l3 urbanist3 di CuraLab, si intende quel processo urbanistico in cui l’operatore pubblico – privo di fondi – delega a operatori privati le operazioni (grandi o piccole) di trasformazione della città. «Con Expo 2015» – racconta CuraLab – «Milano si colloca in primo piano nella sfera internazionale, diventando attrattiva anche per i grande driver finanziari». Il Pubblico, adesso, si interfaccia con (o forse sarebbe meglio dire: abdica in favore di) grandi capitali globali. Tuttavia, questi non propongono una vera idea di città, in quanto l’abitare non segue gli stessi schemi degli investimenti finanziari. Esemplare è quello che accade nella vicina zona di City Life dove, all’interno del complesso residenziale e commerciale costruito nell’area dell’ex-Fiera di Milano, metà delle case risultano vuote, enormi edifici inutilizzati, se non per lucrare sulla vendita al metro quadro.

Non fa alcuna differenza – in termini finanziari – il valore d’uso, ossia se una casa è abitata o meno; l’importante è proprio averla potuta costruire.

La fine di qualsivoglia riflessione su come ciò che si costruisce verrà poi usato segna un terrificante punto di non ritorno, non solo in termini di mancanza di progettualità sociale (e questo sarebbe già sufficiente per percepirne l’assurdità), ma anche perché, da questo generale trend, si sono poi sviluppati a cascata anche tutti quei fenomeni minori, legati al solo interesse privato, di piccoli e medi proprietari che caratterizzano i processi di gentrificazione e di turistificazione di una città. Lo stesso abitare temporaneo che promuove Airbnb, ad esempio, non considera minimamente l’uso di un’abitazione ma solo la sua capacità di generare profitto.

L’imminente avvicinarsi delle Olimpiadi Invernali 2026 di Milano e Cortina, oltre all’ipotesi del nuovo stadio di San Siro, infine, stano accelerando ulteriormente tutti questi processi; ma per fare tutto questo è ovviamente necessario che la città di Milano sia il più pacificata possibile. «Cosa vendi in una città in cui non vige il decoro?», si domanda Elena. Ed ecco che nascono concetti abominevoli come le “zone rosse”, ecco che si innalzano pubblicità di case inaccessibili in quartieri privi dei servizi primari per le persone “comuni”, ecco che luoghi in cui, insieme, ci si immagina una città diversa, in conflitto con l’ottica del solo profitto, vengono messi sotto attacco. Si tratta di una strategia pianificata, come emerge visivamente se si traccia una linea a pennarello sulla mappa della città, andando verso Ovest, facendosi strada tra i nuovi cantieri.

Ovviamente la comunità del Cantiere, e più in generale la città resistente di Milano, non ha intenzione di cedere a questo disegno strategico e pertanto si stanno attivando reti di cooperazione dal basso e iniziative a sostegno del Centro Sociale.

In ballo, d’altronde, non c’è solo (“solo”) la difesa di uno spazio, ma la volontà stessa di proporre un modello di città “altra”, lontano dalle mere logiche di profitto: non si tratta di un’utopia irrealizzabile, ma solo attraverso la creazione di un discorso pubblico e collettivo può tramutarsi in azione.

A sostegno di ciò, le attiviste di “Sex and the City” (gruppo che studia le dinamiche di genere da una prospettiva di genere) ci raccontano di casi non troppo lontani da noi in cui, nelle città, è stato superato il modello di mercato. A Vienna, ad esempio c’è un marcato approccio pubblico e il 70% delle case è reso accessibile a tutt3 con affitti calmierati; mentre a Barcellona il lavoro delle cooperative per l’abitare mostra le potenzialità che sottendono “altri immaginari”.

E così, quella che era nata come un’inchiesta di mappatura sulle speculazioni finanziarie urbanistiche di Milano, nel corso dell’assemblea, con la collaborazione di tutt3, si trasforma immediatamente in un’azione di spinta uguale e contraria, che, come un’urgenza necessaria, vuole mappare l’immaginario desiderabile di chi Milano la vive.

È questo forse l’unico modo per evitare di continuare a vivere ignorando reti arancio, impalcature e cementificazione, come in quelle Horror Stories piene di Vampiri SucchiaSuolo create dal fumettista Hurricane in un suo recente lavoro sulla traformazioni urbanistiche di MIlano.

E, forse, è anche l’unico modo per (ri)trasformare Milano in una città in cui, sempre di più e in ogni quartiere avvengono tutte quelle cose importanti e meravigliose che da oltre vent’anni prendono vita nella palazzina liberty dell’ex-Derby e nel tessuto sociale di chi, nel Cantiere, ha trovato un luogo di resistenza.

L’immagine di copertina è presa dalla pagina facebook Cantiere Milano

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