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Da “un pezzo un culo” al nomadismo precario nella città dei colloqui

Recensione in antemprima del film “Il Braccio Violento del Precario”.

il critico cinematografico di Dinamopress ha assistito all’anteprima del film Il braccio violento del precario. Regia Margine Operativo con la partecipazione di (un grande) Giordano Luparelli. Ne parla in questa nota.

A Margine Operativo, videomakers indipendenti che dalla fine degli anni 90 hanno portato, in modo originale, il proprio “video sguardo” all’interno dei sogni e delle lotte dei movimenti, il “corto” sembra non bastare più. Per cercare di capire (o almeno d’iniziare a farlo) la condizione di tutti noi nella metropoli dove “nessuno è innocente” ha scelto, per la prima volta, la struttura di un film. Il riferimento sembra essere il cinema di Elio Petri e quello di scrittura con Ugo Pirro.

Nella Classe operaia va in paradiso (1971) Petri cerca nella psiche dell’operaio Lulù i caratteri della condizione operaia; la possibilità doppia: essere catturati o di opporsi alla follia. Un viaggio nel mito della “busta paga”, del feticcio del cottimo sublimato secondo la personale tempistica di “un pezzo ..un culo”, della lotta, della condivisone, della la solitudine, della radicalità delle avanguardie e della solita melina sindacale. Il ritrovarsi all’interno una tempesta.

Che non si placherà né con la lotta, né con la vittoria del rientro in fabbrica dopo il licenziamento. Una volta di nuovo al lavoro, il metalmeccanico lombardo, interpretato da uno straordinario Gianmaria Volonté, è pronto ad affiancare gli altrettanti operai robot trasmettendo loro il suo sogno: basterà abbattere un muro per trovare il paradiso. Un’allucinazione collettiva per cercare di tirarsi fuori dalla prigione della fabbrica , dalla ostilità della metropoli, da una “sinistra” ondivaga.

Oggi quella “sinistra”, rappresentata nel film di Petri, schiacciata tra la possibile rivoluzione e l’altrettanto possibile benessere di stampo borghese, non esiste. Lo scontro tra movimenti sociali e sindacati ufficiali è diventato qualcosa di più che una semplice differenza di obiettivi. Ai “barbuti” studenti che volantinavano davanti alle porte di Mirafiori, nel tempo, è subentrata l’esplosione di tante forme di conflitto sociale, il sindacato ha subito sconfitte a cui ha voluto caparbiamente andare incontro.

Tutto è, ora, terribilmente diverso; solo il cielo sembra essere rimasto lo stesso. Margine Operativo vuole andare a vedere quello che vede un precario: uno dei duecentomila, sotto i trentacinque, formati, istruiti e alla ricerca di un lavoro. Quelli che, masterizzati e addottorati, che pur a proprio agio smanettando un computer elettronico di ultimissima generazione, il lavoro non lo trovano.

Ti chiamano e ti vogliono precario. A differenza della pellicola di Petri tu, in questo film, sei ancora più solo di Lulù.

Ti aggiri in una Roma che sembra sdraiata. Una città tutta in orizzontale. Non ci sono elementi naturali o edifici a farti tirare i su gli occhi verso il cielo che scorgi, solo, risalendo le scale che portano fuori dalla metro. Poi, subito dopo, non resta che camminare e, come sempre, eccoti lì ad aguzzare bene la vista. Ricerchi citofoni da suonare, soglie da varcare, poltrone, poste dalla parte “minore” di un tavolo, dove sederti per subire le domande dell’ennesimo colloquio. Il solito tour.

Ti muovi all’interno del quartiere di Roma dove l’orizzonte è segnato da blocchi edilizi che si accatastano l’uno dopo l’altro. Sei a Cinecittà. L’enorme cubo di cemento con le strade che non sono altro che esili fili ritagliati tra il costruito; dove i “vecchi” giocano a carte appoggiando le sedie, portate giù da casa, tra le esili aiuole spartitraffico. Dove ci sono case di tutti i tipi perché così si alzavano i soldi facilmente tirando su pietre visto che i costi dei servizi erano spalmati sulle tasche della collettività.

Ora queste case sembrano agonizzare. Stremate da intonaci che non ce la fanno più a star su. Da balconi che non riescono a nascondere il ferro che ha permesso, un tempo, di farsi arditi e spavaldi proiettandosi fuori dalle murature.

Il quartiere dove è nato il primo centro sociale occupato (Calpurnio Fiamma) e il primo centro commerciale (Cinecittà 2). Due tipologie inventate ai bordi del costruito urbano che, poi rinculando, sono tracimate in tutta la città da dove hanno presto ripreso lo slancio per espandersi sempre più lontano.

Cinecittà: dove l’arrivo, agli inizi degli anni 80, della metropolitana ha contribuito – con la mitologia dei giovani coatti che, prendendo quel mezzo, avrebbero corrotto le strade del centro storico con la loro stridente presenza il sabato pomeriggio – a disinnescare la potenzialità eversiva che Pierpaolo Pasolini trovava in quei corpi che, vomitati dalla metro, venivano “schedati” come massa da respingere dallo struscio davanti le vetrine, ma da accogliere ben volentieri all’interno del negozio.

Per te neppure questo. Solo domande, curriculum e incontri per consegnarti incessantemente alla sicura umiliazione salariale, alla cacciata dal mercato del lavoro, allo sbatterti in faccia che le tante cose che sai (e che vuoi continuare ad apprendere) non ti serviranno perché sei condannato a vivere all’interno di quel programma di “rinnovata” povertà con cui il potere finanziario ha deciso di farla finita con i residui del modello keynesiano.

I colloqui, a cui sei costretto a sottoporti, non servono altro che a farti ricordare che i tuoi “titoli” non sono altro che le tante figure che da tempo, anno dopo anno, hai rivestito: studente, laureato precario, operatore sociale, lavoratore del call center… in una parola “povero” e, per giunta, condannato ad vivere attraverso la filiera del debito. Da quello per pagarti gli studi a quello che oggi accendi per soggiacere alle forme di ricatto previdenziali.

Tu questo lo sai. Sei felice? ti senti domandare dopo che, solo qualche attimo prima, ti era stato chiesta la disponibilità a: fare uno stage gratuito, lavorare la domenica, ad umiliarti… Allora il tuo gesto … Un pezzo ..un culo nella maledetta fabbrica torinese di Elio Petri diventa qui, nell’allucinazione urbana, un susseguirsi di colpi che la sorprendente recitazione di Giordano Luparelli ( made in Quadraro alla sua prima esperienza cinematografica letteralmente “preso dalla strada”) trasferisce all’interno di una raffica di espressioni facciali dove riesce a tirar fuori questo atto dalla realtà per esprimere il collettivo pensiero di riscatto di una generazione che vuole continuare a vivere e non vuole più essere considerata merce. Aiutata da una sapiente fotografia che riprende Giordano in primi piani “pieni”, la luce naturale accompagna questa nuova faccia di una nuova stagione neorealista, illuminata da un bianco e nero si insinua all’interno dell’acidità con cui il “colorista” ha voluto punteggiare il racconto.

Le note scelte da Andrea Cota ci dicono che il Quadraro è Roma, che il Quadraro è mondo. Il film sarà presentato il prossimo giugno all’interno del festival Boomerang di Spartaco. Al Quadraro of course.