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MONDO

Quando Cuba sconfisse l’apartheid in Africa: l’altro anniversario della Revolución

Quando la rivoluzione era prossima ai 30 anni, la solidarietà cubana lasciò un’impronta indelebile nel processo di liberazione dei popoli africani. Nel Dicembre del 1988 si firmarono gli accordi di pace che sancirono la vittoria dei movimenti indipendentisti africani e la caduta dell’oppressione, dell’imperialismo e dell’apartheid

Il 1 gennaio 2019 la Rivoluzione Cubana ha festeggiato 60 anni. Sessant’anni fa l’Ejercito Rebelde comandato da Fidel Castro occupò Santiago di Cuba, sancendo il trionfo del Movimiento 26 de Julio e la fine della crudele dittatura del generale Fulgencio Batista. Nella zona centrale del paese, la colonna comandata da Che Guevara diede il colpo di grazia alla dittatura ottenendo un’importantissima vittoria nella strategica battaglia di Santa Clara. Batista comprese che la sconfitta era ormai inevitabile e scappò rifugiandosi a Miami. Di lì a poco, l’Havana sarà occupata dalle forze guerrigliere accompagnate dal popolo in festa. In quel momento iniziò un processo lungo, di gran forza e dignità, che dura da ben 60 anni, per la realizzazione dell’indipendenza economica e politica e la creazione di una società nuova. Tutto questo, all’interno di un contesto geopolitico da sempre ostile caratterizzato dalla furiosa opposizione dell’imperialismo nordamericano e del potere economico e politico internazionale.

Alla metà esatta di questo processo rivoluzionario, Cuba ci offrì una delle pagine più gloriose della sua storia e di quella delle lotte per la liberazione dei popoli contro l’oppressione coloniale e neocoloniale. Storia che molto spesso sembra essere stata relegata all’oblio. Esattamente 30 anni fa, con l’aiuto delle truppe internazionaliste cubane, viene abbattuto l’orribile regime dell’apartheid in Sud Africa. Nel 2018 appena conclusosi, anche questi 30 anni che dividono in due la storia recente di Cuba hanno avuto la loro celebrazione: il 23 marzo del 1988 le forze del Sudafrica razzista e dei suoi alleati dell’ UNITA (Unión Nacional por la Independencia Total de Angola, gruppo guerrigliero angolano di estrema destra capeggiato dal criminale di guerra Jonas Savimbi) cercarono per l’ultima volta di occupare il villaggio di Cuito Cuanavale, situato nell’estremo sud est dell’Angola, ma furono respinti dalla ferrea resistenza delle FAPLA (Forze Armate Popolari per la Liberazione dell’Angola) e dei combattenti cubani.

Questa fondamentale vittoria sancì l’inizio dei negoziati politici tra Angola, Sudafrica, Stati Uniti e Cuba che culminarono il 22 dicembre dello stesso anno (1988) con la firma degli accordi di pace che sancirono l’indipedenza della Namibia e, dulcis in fundo, la liberazione di Nelson Mandela e la fine dell’apartheid. Troppo spesso questa relazione, eccetto rare occasioni, viene apertamente tralasciata e accuratamente rimossa dalla storia quando si parla di questo tema o quando si glorifica la figura di Mandela. Mandela venne liberato nel Febbraio del 1990, dopo 27 lunghi anni di carcere, i negoziati per porre fine al regime razzista si prolungarono fino al 1993, il nuovo governo a maggioranza nera assunse l’incarico nel 1994. Così è come andò la vera indipendenza del Sudafrica

Tuttavia, la guerra in Angola non cessò: l’UNITA non rispettò gli accordi di pace e sebbene il conflitto non fosse più di carattere internazionale, continuò fino al 2002, anno in cui Savimbi viene ucciso. Similmente a quanto accadde con il genocida cambogiano Pol Pot, la morte di Savimbi pose fine a decenni di violenza in questo sofferente angolo di Africa.

La Namibia ottenne la tanto agognata indipendenza dopo un secolo di genocidi e occupazione, prima tedesca (fu lì che cominciarono le pratiche di sterminio, riprodotte ed estese su una scala inumana dai nazisti decenni dopo), e successivamente con l’occupazione dei sudafricani bianchi che si fecero beffa di un mandato dell’Onu e usarono il paese come colonia, fino alla sconfitta che li obbligò a ritirarsi. A partire da quel momento prese corpo ciò che le forze dell’apartheid cercarono di evitare con ogni mezzo a loro disposizione: la SWAPO (Organizzazione dei Popoli dell’Africa Sudoccidentale) si trasformò in governo.

Le ultime truppe cubane si ritirarono dall’Angola nel 1991, l’URSS già era crollata e nell’Isola stava iniziando il “periodo speciale”. Il popolo cubano passò così dall’eroismo militare ad una resistenza compatta al blocco economico americano. Volendo, una pagina di eroismo ancora più grande.

 

Cuba e la liberazione dell’Africa

Il tentativo rivoluzionario di Che Guevara in Congo è noto, come d’altronde il suo fallimento. Tuttavia, non è in questo momento che è iniziato l’appoggio cubano alle lotte di liberazione dei popoli africani ancora sottomessi al colonialismo negli anni ’60. Già nel 1960 Cuba aveva inviato aiuti ai ribelli del Fronte di Liberazione Nazionale Algerino e il viaggio del 1964 del Che in vari paesi Africani fu di fondamentale importanza per la tessitura delle basi di quella che diventerà un’intensa relazione di solidarietà con i movimenti di liberazione africani. Tra questi, il Congresso Nazionale Africano (CNA o ANC corrispettivo della sigla in inglese) guidato da Mandela (nello stesso anno- 1964- di ritorno da un viaggio nel continente africano, fu catturato e messo in prigione) e il Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola (MPLA), guidato da Agostinho Neto. Parallelamente alla guerriglia del Che, si istallò un altro fronte guidato da Jorge Risquet nell’altro Congo, conosciuto come Congo Brazzaville, pronto ad intervenire in sostegno del Che che avanzava dall’altro lato del continente. In attesa di un intervento che non si attualizzò mai, questo secondo gruppo si dedicò principalmente all’addestramento militare della MPLA con la quale poteva sferrare attacchi contro l’enclave di Cabinda, la zona petrolifera situata nel nord dell’Angola.

Più le lotte anticoloniali si intensificavano, principalmente nelle colonie portoghesi di Angola, Mozambico e Guinea Bissau, più la partecipazione dell’internazionalismo cubano si rafforzava. La rivoluzione dei garofani in Portogallo (25 Aprile 1974) pose fine alla dittatura di Salazar e con essa anche all’ultimo vecchio impero coloniale. Guinea Bissau e Capo Verde da un lato e Mozambico dall’altro ottennero l’indipendenza. Storia differente è quella dell’Angola, dove vi erano tre movimenti che si contendevano il potere; il già menzionato MPLA e due gruppi di destra finanziati e addestrati dalla CIA e dall’apartheid sudafricano: il Fronte Nazionale di Liberazione dell’Angola guidato da Holden Roberto e la UNITA di Savimbi. La ritirata portoghese generò un’intensissima e cruenta guerra per il potere tra queste differenti fazioni/movimenti. Anche se il MPLA fosse il soggetto politico più rappresentativo e godeva di un forte appoggio popolare, dovette fare i conti con l’appoggio estero di cui godevano le altre due forze: gli eserciti dello Zaire e del Sudafrica entrarono in Angola appoggiando rispettivamente la FNLA e l’UNITA.

Ed è in quel momento che Agostinho Neto ricorre all’aiuto di Fidel e ha inizio l’Operazione Carlotta, il più grande aiuto internazionalista del mondo degli ultimi decenni, in cui migliaia di combattenti cubani accorrono in aiuto del MPLA sconfiggendo l’FNLA, le truppe dello Zaire e le colonne blindate della SADF (South African Defense Force, le forze armate dell’apartheid). La vittoria delle forze cubano-angolane contro l’esercito bianco fu simbolicamente molto importante, in quanto dimostrò che i bianchi non erano invincibili. Questo avvenimento generò scompiglio nello stesso Sudafrica e funzionò come linfa per una nuova ondata di mobilitazione della maggioranza nera nel paese, che si espresse con la ribellione di Soweto del 1976. Una nuova generazione si sommava alla lotta contando con basi di appoggio vicine nei paesi da poco liberati.

Non si può comprendere l’importanza di questi processi, di questa relazione se li si continua a leggere, come d’altronde ha fatto la stampa internazionale di quel periodo, solo all’interno di una logica binaria, riducendoli a un mero conflitto tra il mondo capitalistico e il blocco sovietico all’interno della cornice della Guerra Fredda. Questo non significa lasciare di lato la Guerra fredda e tutto ciò che comportò nel continente: la presenza sovietica che forniva aiuti militari, specialmente armamenti e logistica, e gli aiuti ufficiali e non ufficiali degli Stati Uniti all’ UNITA e al Sudafrica, violando difatti il boicottaggio internazionale all’apartheid. Bisogna però andare oltre, superare questo binarismo nell’analisi politica di quei fatti che rischia di essere poco efficace, riportando una lettura tronca della realtà, e cominciare a pensare che la vera lotta non fu tanto tra l’Est e l’Ovest quanto una lotta, un processo di liberazione dei popoli dell’Africa Australe, il che contiene molto altro. Come prima cosa fu l’ultima lotta anticoloniale, che sancì la fine della dominazione portoghese nel paese; in secondo luogo fu la vittoria di un processo di liberazione contro il colonialismo interno, contro quella minoranza bianca, oligarchica, discendente da Europei, che continuava a sottomettere in uno stato di segregazione, di sfruttamento estremo i popoli originari della regione, tanto in Sudafrica come in Rodesia (ora Zimbabwe).

 

 

L’ apartheid sudafricano recitava lo stesso copione che attualmente svolge Israele in Medio Oriente: una potenza aggressiva che per mantenere i suoi privilegi di casta y bantustanes[1] sommetteva i paesi vicini formalmente indipendenti o li minacciava militarmente con lo scopo di mantenere il più lontano possibile le forze politiche che lottavano per l’indipendenza, cercando simultaneamente di formare governi fantoccio, servili e indolenti. La fine dell’impero portoghese e la presenza di Cuba furono un duro colpo per questa strategia politica. Tuttavia, la reazione dell’apartheid non fu altro che rafforzare e perpetuare questa linea di azione. L’indipendenza dell’Angola offrì alla SWAPO basi da cui organizzare incursioni nel nord della Namibia e accampamenti sicuri per l’addestramento dei guerriglieri dell’ANC sudafricano e per la ZAPU dello Zimbabwe. Lo stesso Zimbabwe rappresentò una retroguardia sicura per il braccio armato dell‘ANC (MK o Umkhoto WeSiswe, “la lancia della nazione”) fino a che non fu costretto dal Sudafrica ad espellere i guerriglieri dalla nazione in cambio dell’accordo di pace (accordo che il Sudafrica non rispettò). Di fronte a questo scenario la risposta dell’apartheid fu radicalizzarsi. Attraverso attentati, bombardamenti alle basi guerrigliere dei paesi vicini (incluso a campi di rifugiati, come l’infame massacro di Cassinga nel 1978), seminò terrore e minacciò i suoi oppositori in Angola, Mozambico, Botswana, Zambia e nello Zimbabwe da poco divenuto indipendente (1980). Nel frattempo l’UNITA, coadiuvata dall’appoggio delle SADF (che successivamente occuparono le zone limitrofe della Namibia), si rafforzava sempre più riuscendo a conquistare grandi territori nelle zone più appartate e disperse dell’Angola.

Questa strategia politica obbligò Cuba a non ritirare i suoi combattenti, mantenendo nel paese un contingente stabile che oscillava tra i 30 e i 35 mila soldati. Le forze cubane istallarono una linea di difesa nel sud dell’Angola, che funzionava come contenimento alle incursioni sudafricane, mentre le FAPLA, con i propri consiglieri sovietici combattevano, fronteggiavano la sempre più forte UNITA, che contava con un armamento moderno offerto dall’aggressivo governo nordamericano di Ronald Reagan. Il comando cubano e il comando sovietico differivano nelle strategie di guerra da adottare. I cubani sostenevano che il loro compito era principalmente quello di contenere le avanzate delle SADF e che alle FAPLA toccava porre fine una volta per tutte alla minaccia dei” banditi” (la UNITA). I sovietici, tuttavia, addestravano le FLAPA ad una guerra convenzionale invece di prepararli o addestrali alle tattiche irregolari dell’UNITA.

 

Cuito Cuanavale

Con la situazione stagnante, un Sudafrica aggressivo e una crisi dell’URSS sempre più accentuata, i militari sovietici prepararono, assieme all’esercito angolano, un’operazione militare volta a distruggere una volta per tutte il quartier generale di Savimbi, situato nell’estremo sud est dell’Angola, molto vicino al confine con la Namibia. L’operazione venne sconsigliata categoricamente dai cubani. Nel 1987 iniziò l’offensiva portata avanti dalle 4 migliori brigate delle FAPLA. Inizialmente fu un successo, fino a quando l’avanzata non venne bloccata nel rio Lomba dall’intervento delle forze sudafricane, a circa metà strada dall’obiettivo finale della missione. La superiorità aerea, militare e di artiglieria dei razzisti annientò una delle brigate e obbligò le altre alla ritirata, trincerandosi in un piccolo villaggio comunicante con la linea difesa dal contingente cubano attraverso un’autostrada. Questo paese era Cuito Cuanavale, una manciata di case, che di lì a poco si trasformò in campo di guerra, soffrendo tremendi bombardamenti.

Dos Santos, il nuovo dirigente del MPLA che aveva assunto la presidenza subito dopo la morte di Neto nel 1979, chiese nuovamente aiuto a Fidel. A quel punto Cuba decise di giocarsi il tutto per tutto e cercare di porre definitivamente fine alla minaccia sudafricana. Rafforzarono immediatamente le difese delle FAPLA inviando grandi forze, specialmente carri armati e difese antiaeree con i migliori piloti, correndo il rischio di lasciare l’isola sguarnita di fronte ad un eventualmente attacco statunitense. Il piano di Fidel era chiaro: frenare l’avanzata dei sudafricani a Cuito Cuanavale preparando contestualmente un enorme attacco verso il sud, con l’intento di minacciare le basi del regime razzista in Namibia. Congiuntamente a questo, si portò avanti una trattativa diplomatica per raggiungere accordi di pace e per garantire l’attuazione della risoluzione ONU che stabiliva l’indipendenza della Namibia, a pari relazioni di forza.

Tra la fine di ottobre del 1987 e il 23 di marzo del 1988, data dell’ultimo grande attacco sferrato dalle SADF e da UNITA, l’eroica resistenza angolana e il crescente aiuto di Cuba respinsero tutti i tentativi di occupazione di Cuito Cuanavale. I razzisti furono ancora una volta fermati, bloccati da una forza che non riuscirono a superare né via terra né tantomeno in aria dove i piloti cubani annullarono il dominio della forza aerea sudafricana. L’ultima offensiva fu distrutta, con i carri armati Olifant dell’esercito dell’apartheid abbandonati ancora oggi sul campo di battaglia a testimonianza della vittoria. La battaglia continuò ancora per poco tempo, con i sudafricani che continuavano a bombardare ma senza tornare ad occupare veramente Cuito Cuanavale.

Parallelamente, un imponente esercito composto da circa 50 mila soldati cubani, sommato ad un contingente simile delle FAPLA ed ai guerriglieri della SWAPO avanzò verso la frontiera meridionale dell’Angola. Ci furono diversi combattimenti, ma di fronte all’evidente superiorità delle truppe guerrigliere i sudafricani si ritirarono dal territorio angolano dove per anni avevano causato stragi in quella che chiamavano la “guerra di frontiera”, in realtà una cruenta operazione militare che aveva come fine l’invasione e lo sterminio della guerriglia in Namibia e dell’ANC. Il 30 agosto gli ultimi soldati dell’apartheid attraversarono definitivamente la frontiera.

 

La pace

Anche se la destra bianca razzista continua tutt’oggi a discutere della vittoria (o della “non sconfitta”) nella battaglia di Cuito Cuanavale, ciò che realmente conta è l’importanza simbolica e strategica di quella battaglia e tutto ciò che comportò in seguito: l’impossibilità dei razzisti di superare le difese angolano-cubane combinato con l’avanzare delle forze guerrigliere verso la frontiera. L’insieme di questi elementi obbligò i razzisti a sedersi, per la prima volta, attorno ad un tavolo per negoziare la pace ammettendo la presenza di Cuba nelle trattative. I sostenitori dell’apartheid rivendicano la vittoria nella battaglia basandosi sul conteggio dei morti di entrambi i schieramenti, senza chiarire che gli unici morti che vengono contati dalla loro parte sono i morti bianchi, ignorando completamente i migliaia di morti africani che militavano nelle loro forze politiche locali, la UNITA y le Forze Territoriali della Namibia, che mandavano al fronte, in avanguardia, prima di mettere a rischio la vita delle proprie reclute bianche. L’ enorme affluenza di cadaveri di giovani bianchi generò una crisi senza precedenti nella stessa Pretoria. Difatti le madri dei soldati di fronte all’innumerevole quantità di morti armarono una protesta contro il governo, generando una situazione inedita in un regime da sempre abituato all’approvazione o alla passività della sua popolazione di origine europea, e alla repressione della maggioranza nera. Le proteste aumentavano sempre di più, così come la pressione internazionale. L’apartheid barcollava.

 

 

All’inizio degli anni 80 esisteva un accordo tra il governo americano di Reagan e i sudafricani chiamato linkage (vincolo) per risolvere la situazione. Vale a dire, il Sudafrica avrebbe applicato la Risoluzione 435 dell’ONU (l’indipendenza della Namibia ed elezioni libere, che, molto probabilmente, avrebbe vinto la SWAPO) in cambio della ritirata delle truppe cubane dall’Angola. Tuttavia la coalizione dell’apartheid cercò in tutti i modi di sconfiggere il MPLA, espellere i cubani, annichilire la SWAPO e continuare con un governo alleato in Namibia. Il contesto militare consegnò uno scenario completamente differente: scartato il trionfo militare e di fronte alla possibilità di una sconfitta catastrofica i sudafricani e i nordamericani preferirono aprire negoziati con Cuba e l’MPLA.

Gli accordi si firmarono nel dicembre del 1988. Il Sudafrica accettò la risoluzione e ritirò le proprie truppe dalla Namibia. La stessa cosa fece Cuba che le ritiro in tre tappe differenti (l’ultima nel 1991). Ci furono le elezioni e, come temevano i razzisti, si assiste alla stracciante vittoria della SWAPO, convertendo il proprio lider, Sam Nujoma, nel primo presidente della nazione indipendente della Namibia. In Sudafrica, il regime iniziò la sua ritirata quando De Klerrk sostituì P.W.Botha come primo ministro, annunciando contestualmente la liberazione di Nelson Mandela, la fine dell’apartheid e l’abolizione della legge che proibiva ai partiti di maggioranza nera di candidarsi alle elezioni. Nel 1994, Mandela diviene presidente. La sua prima visita ufficiale fu a Cuba. Sempre riconosce e riconobbe l’aiuto cubano nel processo di liberazione dei popoli del sud Africa.

Nel frattempo Cuba si trovò ad affrontare la caduta dell’Unione Sovietica e di tutto il blocco socialista, rimanendo sola di fronte all’ impero e all’embargo statunitense. Mai avanzò pretese per quanto fatto, l’unica cosa che riportò a casa dai campi di battaglia africani furono i corpi dei propri caduti. Quello che lasciò impresso nella storia è la testimonianza di un’umanità, di una dignità, di una solidarietà che i popoli africani difficilmente dimenticheranno.

Andres Ruggeri è un antropologo dell’UBA, direttore del programma Facultad Abierta. E’ inoltre direttore della rivista Autogestion para otra economia, organo rivista di diffusione delle fabbriche recuperate e autogestite in Argentina. L’ultimo numero della rivista presenta un suo studio sul socialismo africano.

 

Articolo apparso sul sito Agenzia Paco Urondo

Traduzione italiana a cura di DINAMOpress

 

[1]Piccole repubbliche situate all’interno del territorio sudafricano al cui interno si confinavano persone appartenenti allo stesso gruppo etnico autoctono concedendogli un’indipendenza formale ma completamente sottomesse al Sudafrica bianco.