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A Claudio Lolli, acrobata della malinconia e della rivoluzione

Un ricordo in prosa e in versi di un grande poeta e musicista che ha accompagnato le vite e le lotte di diverse generazioni

Pochi giorni fa ci ha lasciato Claudio Lolli, poeta, cantautore, compagno, maestro, scrittore. Con  lui salutiamo un artista, uno dei migliori acrobati della malinconia (possiamo dire così, parafrasando Keaton), un poeta che con la sua voce timida, roca, dolce e ironica e seria, ha attraversato decenni della storia italiana con passione, umiltà e coerenza, fin dalle piazze dove passava  “con la barba lunga per coprire le mie vergogne […] con i pugni in tasca, senza sassi per le carogne” (Piazza bella piazza).

Claudio Lolli ci ha lasciato forse la più sovversiva delle canzoni degli anni settanta, quella in cui ci ricorda come occorra sempre “fondere, confondere, rifondere ed infine rifondare / l’alfabeto della vita sulle pietre di miele della bellezza” (Analfabetizzazione).

Sapremo ancora una volta rifondare l’alfabeto della vita? Inventeremo ancora un nuovo alfabeto, come quando Claudio scrisse, tra le righe di quella meravigliosa canzone,  “il piacere l’ho chiamato dovere […] e il lavoro l’ho chiamato piacere, perché la semantica o è violenza oppure un’opinione” (Analfabetizzazione).

Lui, poeta e cantante, rifletteva su  “come era importante fra la gente, non essere solo musica e parole, e di come era importante che la gente, non fosse una somma di persone sole” (Keaton), in una bellissima canzone scritta assieme a Guccini (che lo scoprì e lo lanciò nei lontani anni settanta a Bologna). In tanti e tante  lo ricordiamo oggi, mentre migliaia di persone lo salutano nella sua Bologna, la città che ha amato e sofferto, dove ha vissuto e suonato, dove ha cantato la lotta, l’amore, la piazza, la felicità collettiva di quei corpi che sanno “far bella la luna”, con la loro “vita coperta di stracci e di sassi di vetro” (Ho visto anche degli zingari felici).

Uno dei migliori acrobati della malinconia, dicevamo. La sua (ormai proverbiale) malinconia nasce da una continua ricerca esistenziale della felicità, dalla ricerca della comprensione dell’altro, della sua umanità, dall’empatia e dall’incontro con le inquietudini e le miserie umane – quelle del vivere in periferia (Io ti racconto), delle speranze, della rabbia e della vita di tanti e tante, di eventi e di momenti, di piazze e case, di donne e uomini, delle frustrazioni e dei desideri di diverse generazioni.

Storie di suicidi, di malesseri, di rifiuto, di dolore. Ma anche storie di passione, di rivoluzione, di vita, di tenerezza e di ricordi. Cantore imprescindibile di una educazione sentimentale che compone ricerca e scoperta di mondi e sensibilità umane, questo è stato per tanti e tante di noi. Lolli ci invita a fare “attenzione a non svegliarsi una mattina senza la voglia di cambiare” (Attenzione) e ad andare sempre avanti, anche se “noi non siamo in tanti, anzi siamo solo in due” ma lo stesso, ancora, bisogna andare fino in fondo, andando incontro a tutti quelli che oggi “voglion rischiare di esser distrutti, piuttosto che ritrovarsi poi, in una famiglia senza persone, come tra i muri di una prigione” (La Giacca).

Claudio è scomparso troppo presto, come scompare un fratello, un amico, un padre, un compagno, ha scritto qualcuno. Come scompare un poeta e un musicista che ci avrebbe ancora dato tanto.

Così ci siamo sentiti in tanti, un po’ più soli di prima, di quando lo incontravamo in qualche festival, in un concerto, per strada, di quando sapevamo che il maestro Claudio, assieme all’altro maestro, il chitarrista Paolo Capodacqua che lo accompagnava da anni nei suoi concerti, continuava ancora a cantare le sue poesie in qualche angolo d’Italia ed scagliare le sue dolci e taglienti, “povere scarne parole, libere come ragazze sole”. Adesso, dedichiamo a lui la memoria di questa canzone scritta su un muro, perché “questa canzone scritta di niente, sceglierà te tra tutta la gente, per l’ultimo brindisi l’ultimo addio, l’ultima cara bestemmia “per dio!” (Canzone scritta su un muro).

Claudio ci lascia in questo caldo d’agosto, pochi giorni dopo la “tragedia annunciata” di Genova. Proprio lui che aveva saputo raccontare così bene, con parole taglienti come l’acciaio, le responsabilità dello Stato nelle stragi.

“Si muore ancora di guerra, non certo d’amore, si muore di bombe, si muore di stragi più o meno di stato, si muore, si crolla, si esplode, si piange, si urla.” (Agosto).

Di fronte alle cerimonie ipocrite di una politica complice dei profitti del capitale e delle morti sotto quel ponte, avrebbe cantato, con quella straordinaria lucidità etica, politica e poetica da cui nasce la potenza delle sue parole: “solo fischi per quei maiali, siamo stanchi di ritrovarci, solamente a dei funerali” (Piazza Bella Piazza).

 

 

Claudio ci ha accompagnato per decenni ed in tanti momenti della vita, momenti intimi, di dolore e lacrime, momenti felici, canzone accompagnate dal vino, ricordi familiari, passati di padre in figlio, parole e poesie lette con rabbia, con forza, con odio, con amore e malinconia. Ognuno oggi ricorda le parole e i suoni delle canzoni che ha amato e ascoltato, le finestre sulle diverse epoche che Claudio manteneva sempre aperte con umiltà e una significativa (auto)ironia – che dal palco dei suoi concerti sapeva creare una atmosfera al tempo stesso  intima e pubblica, nel senso più nobile della politica, permettendo di condividere emozioni e passioni – ed al tempo stesso con un profondo rispetto e comprensione per la fragilità umana.

C’è la malinconia, dunque, ma accompagnata da una possibilità di cambiamento radicale, dalla ricerca continua di una rivoluzione che non separa l’amore dalla lotta – “in qualche modo, quando ci amiamo, in qualche modo cambiamo” (L’amore è una metamorfosi)- la musica dalle parole, le piazze di lotta e di rabbia dal primo maggio di festa e di dolore – “primo maggio di festa in Vietnam, e forse in tutto il mondo, primo maggio di morte a casa mia, forse mi confondo” (Primo maggio di festa)  – le stragi di Stato e il ricordo di Pinelli – continuando a ricordare il ferroviere anarchico, cantando la canzone di Pino Masi – la rabbia dalla dolcezza, la malinconia dalla speranza.

Da quando ha raccolto la sfida di smascherare il potere chiamando “prigione la sua felicità” è stato inseguito dal potere fin sulle barricate poetiche da dove continuava a cantare, inseguito dal potere “con le sue scarpe chiodate di paura, su quelle montagne che io chiamo pianure” (Analfabetizzazione).

Da quelle montagne che chiamava pianure Claudio ha continuato a raccontare gli interstizi e le crepe del paese Italia, la miseria e la meschinità della sua borghesia e la mostruosità ed ottusità della socialdemocrazia, sperimentando musica e parole, frammenti e traiettorie di vita e di lotta, dagli zingari felici fino al “Grande freddo” attuale.

Gli anni del movimento

Dall’esordio di aspettando Godot alle canzoni di morte e di vita, l’album con l’autoriduzione del prezzo imposta alle case discografiche (cinquemila lire, stampate sulla copertina del vinile), fino agli Zingari Felici, Lolli raccontava vite e sogni, incubi e desideri delle persone che hanno composto quel movimento radicale degli anni settanta. Lo ha raccontato perché ne era parte, perché lo ha vissuto fino in fondo, raccontandone le ragioni, i sentimenti, la rabbia, la vita, le contraddizioni e limiti.

“Eravamo davvero tanti, eravamo davvero forti, una sola contraddizione, quella fila quei dieci morti” (Piazza bella piazza).

E poi, continua Claudio, “l’alternativa nella cultura non è solo ideologia, l’alternativa è organizzazione” (Anna di Francia). Risuonano le lotte autonome, la ricerca di una società e relazioni diverse, di bisogni e desideri da parte di una generazione che scopriva la precarietà e rifiutava la schiavitù del lavoro salariato. Parole e musiche che vivono, attrraversano e raccontano una rivoluzione che è al tempo stesso personale e collettiva, che trasforma il presente, che si reiventa a partire dall’incontro con il femminismo con “Anna che mi porta via e vuole bere, vuole parlare, s’infila in un’osteria forse stasera ha voglia di amore [..] Anna che brinda alla sua anarchia, Anna imprendibile più di un momento” (Anna di Francia), fino a cominciare una nuova avventura, che ha inizio con l’abbandono dei ruoli prestabiliti, per dire che si, Anna, per una volta, almeno, sarò la tua libertà, la nostra libertà.

 

Arriva il settantasette, Radio Alice e il movimento, Andrea Pazienza e l’arte sovversiva (Pazienza disegnerà la copertina di un suo disco degli anni ottanta, Antipatici Antipodi), le lotte e la repressione.

 

In quel meraviglioso disco del 1977 – Disoccupate le strade dai sogni –  Claudio Lolli si scaglia contro il “paradiso pulito ed operoso della nostra nuova socialdemocrazia” dove non ci sarebbe stato più alcun posto per la fantasia. Disegna con le parole quel mostro socialdemocratico che si presenta con le sue ricette e le sue promesse riassunte da quell’imperativo profetico che suona come un incubo e dà il titolo al disco. Un “Cristo uscito dal Circo Togni” in un comizio invita ad arruolarsi in polizia perché “ci sarà bisogno di partecipare ed è questo il modo al nostro progetto di democrazia”, e la denuncia tagliente dell’epoca che verrà suona profetica: “costruiremo dei grandi ospedali, i carabinieri saranno più buoni, l’assistenza forzata e gratuita per tutta la vita e un vitto migliore nelle nostre prigioni.” (Incubo numero zero).

Lolli sviluppa in questo lavoro anche una ironica e profonda critica dell’industria culturale raccontando la sua “autobiografia industriale” ovvero “come inserirsi nell’industria culturale, cioé come possono gli intellettuali, dare una mano, per mantenere gli stessi rapporti sociali.” (Autobiografia industriale).

Ed infine I giornali di Marzo, canzone sperimentale sulle giornate del settantasette a Bologna, l’assassinio di Francesco Lorusso, le barricate, la repressione. Una canzone collage, composta interamente da frasi tratte da frammenti di giornali.

Il più preoccupante per i medici è un carabiniere, mentre fanno un esame esterno del cadavere. Senza sapere dove andare, senza sapere che direzione prendere, inginocchiarsi prendere la mira e sparare, […] i giornali di marzo hanno capito, i giornali di marzo hanno mentito.

 

Un viaggio sola andata per l’Italia

Claudio ha cantato nel movimento, per il movimento, dentro il movimento, ma ha poi continuato a scrivere e cantare ancora negli anni successivi, gli anni ottanta e i novanta, poi i duemila, fino allo scorso anno, fino a quel futuro che  “si dice – ci farà l’effetto di una bomba…” (Alla fine del cinema muto). Ha continuato a cantare “per capire se è vero che chi perde ha torto e che ha sempre ragione chi vince” negli anni duri dominati da “un dio moderno che tutti adorano e che regala vuoti di memoria, un dio impaziente e annoiato, che sembra stanco della nostra storia… ” (Alla fine del cinema muto).

Come un attore poco fonogenico dopo la fine del cinema muto (parafrasando ancora l’omonima e meravigliosa canzone) ha scritto nuove parole, nuove collaborazioni hanno portato a nuovi dischi e poi a nuovi tour. Poi l’insegnamento, l’amore e un nuovo “viaggio in Italia” che inizia e non si ferma più, fino ad oggi. Un viaggio di sensazioni, amori e dolori, incontri mancati e gioie nuove, come quell’immagine di una domenica con il figlio in Piazza Maggiore, a cui ci invita a partecipare, se non riusciamo “davvero più a ridere, neanche all’ora del telegiornale (Il re dei piccioni).

“Venite con me una domenica in piazza, nella piazza più bella del mondo, dove io sono nato, e dove ancora resisto, nonostante il mio sonno profondo, e vedrete mio figlio, mio figlio pensate! una lisca di pesce con due occhi buoni, lo conoscono tutti ormai, perchè lui lì è il re, lui è il re dei piccioni” (Il re dei piccioni).

Ma le sue canzoni raccontano anche il fascismo che avanza – “L’Italia è una macchina calda che va fuori strada, un processo alla moda, da un tempo lontano un saluto romano” (Curva Sud) – e quel senso di smarrimento – “vieni via Ulisse, siamo in mezzo al mare, qui non c’è più nessuno” (Ulisse) – che accompagna chi resiste in un paese che ci costringe di nuovo a sentire e percepire quel grande freddo lungo questo viaggio “pazzo che non ha meta, non ha ritorno, ma solo andata” (Il grande freddo, vincitrice della Targa Tenco 2017).

Una canzone meravigliosa che coglie la densità di questa durissima epoca che viviamo oggi, un disco finanziato con un crowdfunding e il ritorno di vecchi amici musicisti dei tempi degli Zingari Felici. Così racconta quel grande freddo che nelle torride estati dell’Italia di questi ultimi anni combina fanatismo, razzismo e deliri securitari – come già raccontava nella bellissima L’amore al tempo del fascismo, scritta ormai diversi anni fa, racconto profetico di una Italia sprofondata nel razzismo, nell’odio e nella paura del diverso.

“E due bonghisti neri, e due carabinieri, che li guardano come se fossero stranieri… non è rabbia per niente, e neanche cinismo, è il ritmo di Bologna, è l’amore ai tempi del fascismo”.

 

In ricordo di Claudio Lolli

Continueremo a cantare le sue canzoni, ad ascoltarle, a ricordarle, perchè ne avremo bisogno per trasformare questo nostro  “mondo sicuramente non bello, ma fatto di briciole di tanti amori, questo grande freddo che si può sciogliere solo con le lacrime dei nostri furori”(Il grande freddo).

Salutiamo a pugno chiuso il poeta, colui  che non ha mai avuto “un alfabeto tranquillo, servile” (Analfabetizzazione), e gli dedichiamo la nostra commozione e anche le nostre lacrime per sciogliere il grande freddo e recuperare tutto quell’amore “perduto negli autobus, in questo circo di gente diversa, per cui la vita è soltanto una lotta, ma è troppo spesso una battaglia persa” (Il grande freddo).

Così, continueremo a far incontrare il nostro amore con i nostri furori, lungo il cammino impervio degli uomini e delle donne in lotta per riprendersi la “luna, la terra, la vita e l’abbondanza”, a partire  dalle nostre vite precarie che “gli altri ci respingono indietro, come un insulto, come un ragno nella stanza” (Ho visto anche degli zingari felici).

Le sue canzoni accompagneranno ancora quelli come noi , quelli che “valgono molto e basterà che un giorno trovino un po’ di forza e aiuteranno gli altri a dare un calcio al mondo e prenderanno a pugni il Re e lo Stato, calpesteranno il dio per cui ogni libertà si fa peccato.” (Quelli come noi).

Grazie Claudio, come possiamo non ringraziarti ancora, come possiamo non ricordarti, brindando a te, alle tue canzoni e ai compagni a venire.