cult

CULT

Classe

“Classe” è un concetto polisemico in Marx, che ne “Il Manifesto comunista” assume per la prima volta un significato storico-politico preciso. Oggi questo concetto è entrato in crisi in due sensi: da una parte il genere e la razza complicano il concetto di classe e dall’altra anche le forme intellettuali, riproduttive e informali della produzione ne espandono potenzialmente il senso originario

Quella di «classe» è una categoria di cui manca una definizione univoca. Nella stessa opera marxiana è infatti possibile rinvenire una varietà di definizioni senza che si giunga mai a un’elaborazione definitiva. È noto come l’opera più sistematica di Marx, Il capitale, si chiuda proprio con un capitolo dedicato alle «classi» rimasto però incompiuto. Dietro questo vuoto definitorio si è talvolta ipotizzata una voluta reticenza: come se il concetto che più di tutti ha contrassegnato il profilo teorico e politico del marxismo dovesse rimanere in un certo senso aperto e indeterminato.

Nell’opera di Marx ed Engels la categoria di classe (e quelle ad essa correlate, «classe operaia» e «proletariato») figura talvolta nella sua definizione sociologica come sinonimo di «ceto», in altri casi viene fatta derivare dalle fonti di reddito (profitto, rendita fondiaria, salario), così come in altri ancora essa si presenta come un concetto interamente politico.

È tuttavia nel Manifesto del Partito Comunista che il concetto assume, oltreché la sua massima popolarità, la sua definizione pienamente storico-sociale: «La storia di ogni società esistita sin qui è la storia di lotte di classe». Sebbene inizialmente le classi siano prese come i terminali di una generale relazione tra oppressi e oppressori che attraversa le epoche, e il loro continuo conflitto come il motore dinamico della storia, è solo con la costituzione della moderna società borghese che il loro rapporto si presenta nei termini di un dualismo assoluto. Tale dualismo deriva dal fatto che le due classi che vengono prodotte dalla società capitalistica, la borghesia e il proletariato, sono strette in un rapporto di mutua dipendenza e di reciproca implicazione che supera di gran lunga la mera relazione di dominio: le condizioni di esistenza del proletariato coincidono esse stesse con le condizioni della valorizzazione del capitale posseduto dalla borghesia. Dinamicamente, questa co-implicazione presiede a quel processo di polarizzazione sociale che tende a semplificare gli antagonismi e, a un tempo, porta a quella concentrazione e massificazione della forza operaia che finisce per costituire il presupposto per la dissoluzione dello stesso sistema capitalistico.

L’oggettiva circolarità che sembra derivare da questa dinamica è però solo apparente. Sebbene l’accumulazione capitalistica comporti fin dal suo atto di nascita la separazione crescente tra possessori della sola forza lavoro e possessori di denaro, questa distinzione originaria, benché ne costituisca la precondizione logica, non è di per sé sufficiente a rendere conto della lotta di classe: perché vi sia lotta di classe, è necessaria una produzione di soggettività capace di trascendere le basi materiali da cui essa in ogni caso trae fondamento. Nello stesso Manifesto, Marx ed Engels precisano che «ogni lotta di classe è una lotta politica»: le classi sono al contempo presupposto ed esito della lotta stessa. Questa tensione tra condizioni di vita e posizione sociale da un lato e soggettivazione politica dall’altro non solo non è mai fissata nei termini di una causazione lineare, ma rimane, nell’intera opera di Marx ed Engels, irrisolta e irrisolvibile. Da ciò deriva anche l’impossibilità di stabilire una gerarchia tra dimensione sociologica, economica, storica o politica nella definizione stessa del concetto.

Va al tempo stesso detto, però, che sebbene per Marx il processo di soggettivazione politica non risulti mai interamente desumibile dalla struttura delle posizioni che gli individui occupano nei rapporti sociali di produzione, è al contempo vero che egli legava l’aumento delle possibilità della lotta di classe alla crescente semplificazione degli antagonismi che il processo di proletarizzazione portava con sé.

È questo probabilmente il nodo problematico su cui maggiormente si scontra, nelle condizioni attuali, una ripresa del concetto di classe. Questo non già per il fatto che tra borghesia e proletariato sono comparsi degli strati intermedi (ampiamente analizzati anche da Marx): ciò che più radicalmente rende problematica l’associazione tra polarizzazione e semplificazione degli antagonismi di classe è, in primo luogo, la «scoperta» di quanto le linee del genere e della razza abbiano la capacità di intersecarsi con la stessa struttura «oggettiva» della classe, ponendosi esse stesse come dei vettori – tutt’altro che secondari – di soggettivazione politica e rivoluzionaria. In secondo luogo, la stessa scommessa della proletarizzazione universale e della tendenza alla completa salarizzazione del corpo sociale si è scontrata con altrettante contro-tendenze, alimentate dallo stesso capitale proprio per contrastare l’accumulo di forza della classe operaia: i ricorsivi processi di informalizzazione del lavoro, sebbene non abbiano affatto moderato la polarizzazione sociale, hanno però non di meno tolto alla figura del «salariato» la centralità che essa ricopriva all’apice dello sviluppo industriale. Quelle che solo poco tempo fa erano considerate figure anomale (lavoro riproduttivo, autonomo, gratuito o servile) smettono ora di poter essere relegate ai margini.

Queste complicazioni, tuttavia, non rendono affatto inservibile la categoria di classe. Al contrario: proprio in virtù della crescente invisibilizzazione della forza lavoro contemporanea, il concetto di classe può tornare a proporsi come un dispositivo capace di seguire, preparare e rafforzare il formarsi (the making of) di una nuova figura politica del lavoro vivo, componendo le differenze attorno a un dualismo irriducibile.

In fondo, la stessa frammentazione dei vecchi aggregati sociali che spinge oggi a scartare l’uso del concetto di «classe» e a vedere solo posizioni e strati in luogo di una figura omogenea già definita, ripropone in realtà la definizione iniziale di proletariato proposta da Marx in Per la critica della filosofia del diritto di Hegel: laddove il proletariato viene inteso come «un ceto che coincide con il decomporsi di tutti i ceti»,[1] la sua costituzione in soggetto storico fa di esso una «parzialità» incompatibile con la suddivisione delle posizioni sociali vigenti. Da questo deriva la sua tensione rivoluzionaria. L’assoluta frammentazione e invisibilità a cui è ridotta la forza lavoro contemporanea sembra dunque riproporre il divenire della classe all’altezza di quella stessa pretesa generale: «Io non son nulla, e dovrei essere tutto».

[1]K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto in Hegel, in Scritti politici giovanili, Einaudi, Torino 1975, p. 410.