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Tradurre il Manifesto nel tempo della rivolta femminista

Il nuovo spettro che si aggira per il mondo è quello femminista che, emerso con la rivolta globale di donne e persone LGBTQ, ha riprodotto e amplificato le istanze femministe. Lo sciopero sociale ha costituito la forma di lotta che ha reso visibile lo sfruttamento economico e la violenza sulle donne

Sono tentata di scrivere: Uno spettro si aggira per l’America latina – lo spettro del femminismo. Perché se penso a un manifesto mi rimetto a una scrittura recente: l’appello per lo sciopero globale delle donne del 2017, il cui carattere di «manifesto» mi mette nella possibilità concreta di pensare all’attualità di questa forma di intervento. Potremmo stilare perfettamente una lista delle forze reazionarie che considerano il femminismo una minaccia: il papa e la formulazione dottrinale della Chiesa di una «ideologia del genere»; le forze conservatrici che hanno impugnato gli accordi dell’Avana per boicottare la pace in Colombia; quelle che hanno promosso l’impeachment della presidente del Brasile o quelle che ripudiano l’educazione sessuale in Perù; tutte convergono nella condanna della dissoluzione dei ruoli di genere e della promiscuità dell’ordi- ne sociale in nome di una morale familiare. La «infamante accusa» di femminista funge da insulto e dequalificazione, ma non più tra i rappresentanti dei partiti (come riportavano Marx e Engels, parlando dell’accusa di comunismo), piuttosto per evocare una forza disgregatrice che opera soprattutto a livello della sensibilità e dei corpi, dei gusti e dei costumi, del confinamento degli spazi e dei ruoli nella divisione sessuale del lavoro.

Passare dallo spettro al manifesto, nel caso del femminismo, implica nominare la scossa che produce la rivoluzione di un femminismo che si fa popolare perché intesse le sue trame con la conflittualità territoriale (che è un corpo esteso che sfida di fatto i limiti del corpo come «individuo»), che si annoda con una trasformazione nei modi di vita e che può esser letto oggi come «un movimento storico che si sta sviluppando davanti ai nostri occhi» per via della sua ampiezza e trasversalità. Per questo, come metodo, cercherò di leggere qui alcune delle questioni sollevate nel manifesto comunista – e in particolare dalla sua esortazione finale:

Proletari di tutti i paesi, unitevi! – dalla prospettiva di un manifesto femminista.

Si tratta di un esercizio di doppia traduzione. Tradurre è lavorare con una lingua straniera, «ma anche con lo stato della lingua alla quale si traduce» (sono le parole usate dallo scrittore argentino Ricardo Piglia per spiegare perché ogni tanto si avverte la necessità di fare nuove traduzioni degli stessi testi). Ampliando questa ipotesi, direi che la lingua comunista oggi – e con questa mi riferisco a certi problemi chiave delle forme di sfruttamento e di dominio, dell’organizzazione politica e della trasformazione radicale, delle classi e delle soggettività che le incarnano, dell’internazionalismo e della politica delle coalizioni –, come lingua rivoluzionaria, per attualizzarsi come tale, si incrocia necessariamente con la lingua femminista. Una lingua che oggi è forse la più molteplice delle lingue in movimento […]

 

[…] Che cosa significa pensare l’esistenza proletaria dal punto di vista femminista? Il Manifesto ipotizza il soggetto della politica comunista a partire da una lettura in controluce del capitale, e così istituisce l’antagonismo fondamentale («La condizione del capitale è il lavoro salariato»). Potremmo dire innanzitutto che l’incrocio di certe prospettive femministe, marxiste e anti-coloniali compiono una manovra simile sull’enunciato di Marx, ma all’interno di uno dei poli dell’antagonismo: la condizione del lavoro salariato è il lavoro non salariato o la condizione del lavoro libero è il lavoro non libero. Che cosa succede quando si apre uno dei poli? È il movimento fondamentale con il quale la differenza si interseca con la classe.

Questo ci permette di contraddire la lettura che Marx ed Engels fanno della differenza in relazione al lavoro delle donne. Loro argomentano che lo sviluppo dell’industria moderna attraverso il lavoro manuale tecnificato implica un certo tipo di semplificazione dei lavori che permette di sostituire gli uomini con donne e bambin@. «Le differenze sessuali e di età non hanno più alcun valore sociale per la classe operaia», segnalano. In questo senso, leggiamo che l’assimilazione della differenza avviene sotto il segno del suo annullamento. Donne e bambin@ sono incorporati nella misura in cui vengono omologati come forza lavoro (fungono da appendici della macchina), il che permette di indifferenziarl@. La differenza, nell’argomento che sviluppano Marx e Engels resta confinata a una questione di costi. L’età e il sesso sono variabili di risparmio che non hanno però significato sociale. Occorre precisare che qui si tratta del punto di vista del capitale. Marx, inoltre, scriverà nel Capitale che la macchina amplia il materiale umano sfruttato, nella misura in cui il macchinismo ha come sua prima parola d’ordine l’impiego del lavoro infantile e femminile. Ancora, questo allargamento si dà nei termini di una omogeneizzazione dettata dalla macchina, ma la differenza è annullata o ridotta a un vantaggio omologato anche dalla nozione di costo. Sembra quindi darsi una doppia astrazione della differenza: sia dal lato delle macchine (del processo tecnico di produzione), sia da quello del concetto stesso di forza lavoro.

Quando riscriviamo il Manifesto in chiave femminista, facciamo l’operazione inversa. Facciamo una lettura inclusiva di chi è produttrice di valore, pensiamo cioè a come la differenza riconcettualizza la nozione stessa di forza lavoro. I corpi in gioco sono testimonianza dei differenti ruoli nei termini di un differenziale di intensità e di riconoscimento, impediscono così la cristallizzazione del soggetto lavoratore in una figura omogenea. Il lavoro visto attraverso la lente femminista eccede chi riceve un salario, perché rimette al centro come condizione comune l’esperienza delle diverse situazioni di sfruttamento e oppressione, al di là e al di qua della misura della remunerazione. Il lavoro, visto attraverso lente femminista, fa del corpo una misura che travalica i confini della nozione di forza lavoro meramente associata al costo.

Ci avvaliamo inoltre della prospettiva femminista che ha tracciato l’asse per cui la critica a questa omogeneità della forza lavoro deve partire dall’elemento che «opera» l’omogeneizzazione, che non sarebbero solo le macchine (come dice il Manifesto), ma anche il «patriarcato del salario» (Federici). Ciò presuppone due operazioni: in primo luogo il riconoscimento di una sola parte del lavoro (quello salariato) e successivamente la legittimità della sua differenziazione in base al sesso e all’età solo nei termini di una svalorizzazione. Seguendo questa linea intendiamo il lavoro salariato come una forma specifica di invisibilizzazione del lavoro non salariato che si produce in geografie molteplici e che sfalda ciò che intendiamo per tempo di lavoro.

Oggi, grazie alle lotte e alle teorizzazioni femministe, possiamo argomentare a partire da una realtà opposta: l’ampliamento del materiale umano sfruttato del quale parla Marx avviene a partire dallo sfruttamento della sua differenza. Invisibilizzandola, traducendola in gerarchia, disprezzandola politicamente e/o metamorfizzandola in un plus per il mercato. Un manifesto femminista oggi è una mappa dell’eterogeneità contemporanea del lavoro vivo capace di esibire, in termini pratici, il differenziale di sfruttamento che, come una geometria frattale, utilizza tutte le differenze che si sono volute astrarre nel momento della costruzione dell’ipotesi del proletariato come risultante della generalizzazione del lavoro salariato «libero». Ma un manifesto è più di una denuncia. È una proposta di azione. Per questo un manifesto femminista riconosce in questa diversità di esperienze di sfruttamento e di estrazione di valore la necessità di una nuova modalità organizzativa che non centra nell’ipotesi che universalizzava il partito.

 

Traduzione a cura di Elisa Gigliarelli