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Chris Cornell è morto troppo presto

Chris Cornell e i Soundgarden sbarcarono a Roma, al mitico Uonna Club di via Cassia, il 6 giugno 1989 . Ben prima della cosiddetta “esplosione grunge”, nome orrendo per definire la nuova onda musicale sbocciata nella west coast americana a cavallo dei Novanta.

“Improvvisamente – ricorda oggi Luigi Bonanni, mentore e protagonista della prima ora della scena punk romana – ci trovammo tutti spiazzati da questi quattro freakkettoni che suonavano come i Black Sabbath, con il cantante che sembrava Robert Plant incazzato e che avevano la stessa energia dei Dead Kennedys”.

Basta ascoltare il primo lavoro dei Nirvana, Bleach, sempre datato 1989, per trovare quell’incredibile sincretismo tra hardrock seminale, attitudine punk e noise malato, morfinoso, ossessionato, come un pendolo fatto di feedback che gira a vuoto.

Era la musica dei post adolescenti finiti nella terra di mezzo degli ultimi Ottanta, cresciuti con Reagan e un mondo che vedeva “la fine della storia”, che stavano cercando furiosamente la loro colonna sonora. Fuori dalle tendenze pop mainstream ma anche da quelle di nicchia, rigorose e “militanti”, dei cugini dell’hardcore politicizzato e/o straight edge. Henry Rollins era un amico di strada, ma non era la loro strada.

Chris Cornell muore troppo presto, a 52 anni, poche ore dopo l’ultimo live sul palco di Detroit. Ci lascia una serie di capolavori, Superunknown su tutti, ma anche un paio di album sorprendenti con Audioslave, il progetto musicale avviato con gli strumentisti dei Rage against the machine. Ma soprattutto, ci lascia in regalo per sempre una voce incredibile, nera, punk-blues, capace di giocare su una scala di toni impressionante. Ci mancherà non poco.