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Cannes #5. “Les Amandiers” di Valeria Bruni Tedeschi

È stata una delle sorprese dell’ultimo Festival di Cannes. Con “Les Amandiers” Valeria Bruni Tedeschi racconta una storia di amore e autodistruzione in una scuola d’arte drammatica parigina degli anni Ottanta, dove teatro e vita si mischiano fino a farsi indistinguibili

«Forever Young, I want to be forever young», recitava un successo del 1984 del gruppo synth-pop tedesco Alphaville, una band effimera, presto dimenticata, come effimere erano le mode musicali e culturali di quel decennio, come transeunte è la stessa età giovanile. Forever Young è anche il titolo internazionale del nuovo film dietro la macchina da presa di Valeria Bruni Tedeschi, film che in patria francese esce invece come Les Amandiers. Alla sua quinta regia di un’opera di fiction per il grande schermo, l’attrice italo-francese ci riporta al cuore pulsante di quegli anni Ottanta che vengono ricordati come era dell’edonismo reaganiano, e thatcheriano, dominati da spensieratezza e disimpegno che hanno fatto tabula rasa del fermento politico e culturale proprio del decennio precedente.

Già dal suo primo film, È più facile per un cammello…, Valeria Bruni Tedeschi mostrava interesse per il racconto autobiografico, mentre in altre opere era evidente anche un sottotesto teatrale, rappresentato da Turgenev in Attrici, il suo secondo film, e Čechov, per i tanti riferimenti al Giardino dei ciliegi, nel terzo, Un castello in Italia. Entrambi questi filoni tornano in Les Amandiers, in cui Bruni Tedeschi rievoca gli anni della sua formazione culturale e artistica, nella scuola di recitazione, sotto la guida pedagogica di Pierre Romans, del Théâtre des Amandiers diretto da Patrice Chéreau. Era un’epoca in cui quel teatro, situato a Nanterre, nella periferia parigina, di nord-ovest, era al centro della vita artistica e culturale francese: i maggiori registi, drammaturghi e attori si ritrovavano nel suo bar, Catherine Deneuve era solita assistere ai saggi della scuola di recitazione. Così come pulsante era l’Actors Studio di New York, con l’insegnamento del metodo di Lee Strasberg, dove i giovani attori del film si recano spesso. Patrice Chéreau, scomparso da pochi anni, qui interpretato da Louis Garrel, è un nome chiave del teatro francese che saltuariamente ha realizzato anche film, come La regina Margot, Intimacy, Son frère. La sua lunga carriera ha visto anche una parentesi italiana, dal 1969 al 1972, al Piccolo Teatro sotto l’ala protettiva di Paolo Grassi. Con la sua allieva Valeria Bruni Tedeschi ha lavorato spesso: lei era coprotagonista, insieme a Pascal Greggory, anche di uno dei suoi ultimi spettacoli, Rêve d’automne. Les Amandiers gli rende il giusto tributo. Solo i personaggi di Chéreau e Pierre Romans sono qualificati come reali. Gli altri personaggi sono sfumati ma comunque ricalcati su persone reali che hanno fatto parte di quel corso di recitazione e che Valeria Bruni Tedeschi ha radunato per contribuire alla scrittura del film. Lei stessa è identificabile con Stella, per la somiglianza fisica e perché appartiene a un ambiente aristocratico vivendo in una dimora lussuosa con tanto di maggiordomo. Nel personaggio di Adèle si può riconoscere Eva Ionesco, nota per gli scandali morbosi della sua infanzia, che fu appunto compagna di corso di Valeria e attrice nel suo primo film da regista, È più facile per un cammello… L’insegnate di colore di New York, infine, ricalca la figura di Susan Batson, importante trainer del metodo Strasberg.

Les Amandiers è uno spaccato di quell’epoca, l’affresco di una generazione, di quel fermento artistico e creativo, degli ultimi scampoli di un libertinismo dei costumi mentre incombevano la minaccia dell’AIDS, la piaga della tossicodipendenza e quella delle nubi radioattive dell’incidente di Chernobyl. Proprio il riferimento a quell’evento, preludio della crisi sovietica, colloca temporalmente il film. Les Amandiers può essere assimilato, per la capacità evocatrice, al testo teatrale Angels in America – Fantasia gay su temi nazionali. Si è poi detto dell’amore di Valeria Bruni Tedeschi per Čechov, palese in Un castello in Italia, ma anche per il suo adattamento televisivo delle Tre sorelle. Qui si risale all’origine, perché il primo lavoro che impegna i ragazzi è proprio un allestimento del Platonov, come fu effettivamente nella realtà per la giovane Valeria. E di čechoviano in Les Amandiers c’è quella piattezza drammaturgica saltuariamente interrotta con punte di pathos. Se il grande autore russo, nel Gabbiano, faceva dire che il teatro rappresenta «gli uomini intenti a mangiare, bere, amare, camminare, a portare la propria giacca», così i giovani personaggi di Les Amandiers sono intenti a recitare, imparare, amare, fare esperienza della vita. Le tragedie sono dietro l’angolo. E si cercherà di mettervi una pezza proprio con la finzione teatrale, sostituendo chi non c’è più con un altro attore cui assegnare la stessa parte.I personaggi del film possiedono una grande energia, di arte e di vita. Potremmo paragonarli agli allievi attori di Paul s’en va di Alain Tanner. Non c’è soluzione di continuità tra le loro vicende e le scene di training, gli esercizi attoriali e le partiture fisiche, quelli previsti da vari metodi di recitazione. La regista riempie il film di queste immagini senza bruschi stacchi con le scene adiacenti. La valorizzazione di un metodo di lavoro che palpita di energia artistica, ben lontana da chi intende il teatro come semplice declamazione. La stessa dicotomia messa in scena da Mario Martone in Teatro di guerra, dove il teatro basato su training aveva una potenzialità militante, di guerra. Valeria Bruni Tedeschi mette in scena il teatro, nel suo farsi, nelle prove di Platonov, e la vita come un continuo training che, a differenza del teatro, non è costretto a cristallizzarsi in uno spettacolo compiuto.