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EUROPA

Barcellona resiste contro gli sfratti

Nel capoluogo catalano è in corso una vera e propria “guerra” per il diritto all’abitare: gli sfratti non si sono fermati praticamente neanche con il lockdown pandemico. Ma, intanto, nascono nuovi muovimenti e gruppi che si oppongono allo stato di cose

A Barcellona, quartiere di Sants, lunedì 14 giugno, un uomo di 56 anni ha deciso di togliersi la vita durante l’esecuzione di uno sfratto. Nonostante un referto dei servizi sociali che attestava la situazione di estrema vulnerabilità dell’uomo, il giudice aveva confermato l’ordine. Il fatto è stato portato alla luce da un articolo di “El País”, pubblicato la sera stessa, intorno alle 19.

Le reti sociali si sono riempite di indignazione per l’accaduto e, in poche ore, sono state convocate differenti mobilitazioni per il giorno successivo. Allo slogan di #NoSonSuicidiosSonAsesinatos (non sono suicidi, sono omicidi) e #AquestaJustíciaDesnonaiAssassina (questa giustizia sfratta e assassina), un migliaio di persone si è riunito nel pomeriggio del martedì.

Un fiume vivo che ha marciato per le strade del quartiere della periferia sud di Barcellona, passando anche per la strada dove è accaduta la tragedia.

Il corteo è sfociato in differenti blocchi stradali; sono state fatte azioni e sono state segnalate differenti agenzie immobiliari. La più alta concentrazione è però arrivata davanti all’edificio della Delegazione del Governo spagnolo. Davanti ai cordoni della polizia sono state accese candele, sono stati letti differenti comunicati e si sono alternati gli interventi spontanei delle persone presenti.

Secondo un informativa pubblicata la scorsa settimana dalla Plataforma de Afectados por la Hipoteca (Pah) nel primo trimestre del 2021 ci sono stati quasi undicimila sfratti (un incremento del 14% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), oltre il 70% dei quali causato da problemi con l’affitto.

A Barcellona la situazione è critica: nella stessa giornata della tragedia erano in programma altri venti sfratti; la Pah ne ha fermati due, sempre a Sants, durante la mattina. A pochi metri del luogo della tragedia invece, alcune ore prima dell’accaduto, un grande gruppo di vicini, assieme al Grup d’Habitatge de Sants e il Sindicat de Llogaters, aveva impedito lo sgombero di una famiglia con una minore.

Sfortunatamente, la vicenda del cinquantaseienne non è il primo caso di questo tipo: nel 2018 a Cornellà, nell’hinterland della città, un altro uomo si era tolto la vita in condizioni simili.

La Spagna vive un’emergenza abitativa enorme: dopo la crisi delle ipoteche del 2008, la crescita del costo degli affitti ha generato molte difficoltà nel maggiori città del paese. A Barcellona, già prima della crisi pandemica, si verificavano decine e decine di sfratti giornalieri. La crisi sanitaria ed economica, conseguenza dell’emergenza sanitaria, non ha fatto altro che aggravare la situazione.

La tragedia è accaduta, infatti, in un momento caldo: a pochi mesi dall’eliminazione delle misure eccezionali che stanno riducendo il numero degli sfratti e negli stessi giorni in cui il sindacato degli inquilini ha convocato una mobilitazione in difesa della legge catalana di regolazione degli affitti, che il Partito Socialista operaio spagnolo (Psoe), alleato di governo di Podemos, minaccia di annullare. Allo stesso tempo, proseguono le mobilitazioni per una Ley de Vivienda al fine di ottenere politiche concrete riguardo il diritto alla casa.

UN ANNO DI SFRATTI


Nonostante la forte pressione della società civile e delle le formazioni politiche più progressiste, il governo spagnolo non ha avuto né la capacità né la volontà necessarie a varare una sospensione totale degli sfratti, come avvenuto invece in Italia. In Spagna, a causa della grande influenza del settore immobiliare, gli sfratti non si sono mai fermati.

Durante i due mesi di lockdown, la chiusura dei tribunali è stata l’unico momento in cui tutti i procedimenti di sfratto sono stati interrotti. Già nell’estate, a partire dalle prime riaperture delle aule giudiziarie, c’è stata una riattivazione parziale, che lasciava intravedere quello che sarebbe stato un autunno durissimo in cui molte persone avrebbero perso la casa.

A partire da settembre 2020, infatti, i movimenti di lotta per la casa si sono dovuti confrontare con uno scenario catastrofico: decine di sfratti giornalieri, con un incremento dell’utilizzo della polizia, nel contesto di nuove misure di distanziamento sociale che rendevano ancor più difficile il lavoro di attivisti e attiviste.

Con la scusa degli assembramenti, il movimento per la casa ha subito un ennesimo colpo repressivo sotto forma di centinaia e centinaia di identificazioni durante le concentrazioni in difesa di inquilini e affittuari.

Inoltre, si è visto un abbondatissimo uso degli “sfratti a data aperta”, accompagnati dall’introduzione di nuove misure per ovviare ai lunghi tempi processuali. Una condotta meschina, che nella capitale catalana ha prodotto quasi mille sfratti soltanto nell’ultimo anno.

Non solo case: anche molti progetti sociali e culturali e centri sociali sono stati presi di mira. È il caso della Casa Buenos Aires, un ex hotel occupato situato nella quartiere di Vallvidrera, che è stato oggetto di sgombero – dopo una serie di tentativi falliti – da parte della temuta Brigata Mobile dei Mossos d’Escuadra (Brimo).

Il fatto ha portato a lunghe giornate di protesta per strada e scontri con la polizia, culminate sabato 31 ottobre in una manifestazione moltitudinaria che ha riempito le strade della città e raggiunto la piazza del Comune.

IL POTERE DEL MERCATO IMMOBILIARE


Le misure prese dal governo sono state insufficienti, per non dire dannose, rispetto alla situazione. Durante l’aprile del 2020, in pieno lockdown, la moratoria per gli affitti, di fronte alle difficoltà di moltissime persone ha solo spostato in avanti il problema, evitando così di intasare i tribunali, ma garantendo comunque gli ingressi al settore della rendita e producendo l’indebitamento di moltissime persone.

Gli scarsissimi investimenti in edilizia pubblica e l’assenza di una proposta di legge che voglia mettere in discussione i privilegi delle grandi lobby del mattone continuano a generare malcontento e disillusione.

La pressione del settore immobiliare in Spagna si fa ogni anno più forte: la connivenza con il potere giudiziario è palese. La città di Barcellona è stata tramutata in un laboratorio dove si sperimentano nuove procedure.

L’interpretazione delle leggi viene forzata in una chiave totalmente garantista rispetto alla proprietà privata, nel tentativo di rendere sempre più rapidi ed effettivi i procedimenti di sfratto. Dall’introduzione, nell’estate del 2018, della “data aperta”, che consiste nel dare un intervallo di giorni per effettuare lo sgombero così da rendere difficile la possibilità di organizzare una difesa della casa, all’utilizzo inedito di misure cautelari in procedimenti legali in cui non sarebbero previste, fino alle esecuzioni preventive che anticipano la data dello sfratto.

Anche la durissima campagna mediatica della passata estate contro le occupazioni ha contribuito ad aumentare discorsi d’odio e criminalizzazione rispetto la povertà, incrementando inoltre la visibilità del settore della sicurezza privata. Alle classiche agenzie di sicurezza, infatti, si affiancano tutta una serie di imprese che operano ai margini della legge con minacce e coazioni: si occupano di eseguire sgomberi in tempi più rapidi rispetto a quelli di un processo.

Desokupa, fondata da Daniel Esteban e strettamente connessa agli ambienti di estrema destra, ha visto negli ultimi anni accrescere il proprio bacino di affari, riuscendo così a ottenere una voce e un protagonismo precedentemente inediti all’interno del dibattito pubblico.

Tutti questi fattori confermano come, nell’era della finanziarizzazione, la casa abbia acquisito un valore sempre più centrale nei mercati, capace di muovere interessi molto importanti.

Processi parziali, agenzie di sicurezza e un ruolo sempre più importante della polizia connotano uno scenario totalmente al servizio del potere del mercato immobiliare. Un potere occulto che è cambiato negli anni, accentrandosi e spersonalizzandosi nei grandi fondi di investimento. Grandi società che arrivano dall’estero pian piano sono diventate le nuove padrone delle metropoli spagnole.

Un’economia parassitaria che opera in un’ottica totalmente differente rispetto alle grandi imprese di costruzione e compravendita di case. Non utilizzano capitali propri in un ottica di costi e benefici. Non interessa loro il guadagno rispetto alla ingresso di un affitto, ma un continuo movimento di capitale che «costruisca un ecosistema che doni sicurezza ai propri azionisti».

Cerberus è il più grande fondo di investimento attualmente presente in Spagna, connesso al partito repubblicano americano e gestito localmente dal figlio dell’ex presidente Aznar (del Partito Polare): con l’acquisto di tutto l’attivo immobiliare del Banco Bilbao Vizcaya Argentaria nel 2019 ha compiuto una delle operazioni di compravendita più grandi della storia del paese.

Contro questo fondo è iniziata una campagna in Catalogna chiamata “Guerra a Cerberus”, che vede unito tutto il movimento per la casa catalano.

Un altro di questi mostri, più conosciuto nel nostro paese poiché negli ultimi anni ha iniziato a operare anche nel mercato italiano, è Blackstone. Sono questi i nuclei di pressione da cui nasce il sistematico sabotaggio, da parte dell’ala più conservatrice del Partito Socialista spagnolo, di tutte le proposte di legge a favore delle politiche per il diritto alla casa.

Non a caso i movimenti parlano di guerra contro le persone, contro la vita: il diritto alla proprietà privata e al trafficarla passa sopra al diritto ad una casa e all’esistenza.

I NUOVI PROTAGONISTI DEL DIRITTO ALL’ABITARE A BARCELLONA


La città che ha rieletto la sindaca Ada Colau, ex portavoce Pah e del movimento Okupa y Resiste, ha visto, in questi ultimi anni, una grande trasformazione del movimento per la casa.

Una generazione nuova di attivisti e attiviste è cresciuta a partire dalle lotte nei quartieri e dei nuovi soggetti del sindacalismo sociale. La Pah non è più l’unico soggetto politico che opera nel campo abitativo: il movimento per la casa è cresciuto esponenzialmente, costruendo nuove infrastrutture con cui confrontare il potere del settore immobiliare.

Nel 2019 si è celebrato il primo Congress d’Habitatge a cui hanno partecipato tutte le organizzazioni catalane del movimento per la casa. Durante i tre giorni del Congress è emerso chiaramente il cambio di paradigma all’interno del movimento, rendendo evidenti la molteplicità delle forme di associazione e attivismo che si stanno sperimentando.

Nonostante l’unicità di ogni esperienza, possiamo provare a semplificarle in due modelli: quello della micropolitica dei gruppi di quartiere (o Sindacati di Barrio) e quello di confronto istituzionale del Sindacato degli Inquilini. Modelli che, proprio come la Pah nel 2011, stanno facendo scuola e vengono riproposti in tutto il territorio spagnolo.

Attualmente tra xarxas, grup d’habitatge e sindicats si possono contare oltre venti assemblee che si riuniscono settimanalmente a Barcellona. Tutti questi gruppi hanno un rapporto molto stretto con il proprio territorio. Attraversano e danno vita agli spazi del quartiere, diventando i promotori di nuove infrastrutture comunitarie come doposcuola popolari, spazi di formazione misti e sportelli del lavoro.

Questi nuclei costruiscono comunità solidali e meticce, che rinvigoriscono il tessuto sociale dei quartieri. Da essi sono nate molte delle reti di mutuo sostegno che hanno dato risposte immediate durante la crisi di quest’anno.

Hanno forme e composizioni mutevoli, che variano molto in base al quartiere che occupano.

L’occupazione mantiene un ruolo centrale nell’azione politica, attraendo una sfera di militanti molto giovani che vivono e lottano fianco a fianco alle famiglie del proprio quartiere. Sono stati i protagonisti di grandi battaglie campali con le forze dell’ordine, in cui fantasia e determinazione hanno rappresentato l’elemento chiave di grandi resistenze, arrivate anche a sospendere esecuzioni di sfratti molto difficili.

L’altro modello, il Sindacato Inquilini, fondato a Barcellona nel 2017, in questi anni è cresciuto sensibilmente: ha costruito una rete statale molto amplia, dando vita ad assemblee nelle maggiori città spagnole. Ha una forma organizzativa più simile a quella di un sindacato normale, con affiliati e quote annuali, portavoce ufficiali e una struttura più verticale.

È spesso composto dalla generazione post-ipoteca che, dopo la crisi del 2008, non ha altra maniera di accedere a una casa se non tramite affitto.

Grazie a questo tipo di struttura ha una capacità molto più rapida e strategica di confronto politico in larga scala. Produce proposte di legge e promuove campagne a livello regionale e statale. È stato tra i promotori del Rent Strike, della legge di regolazione degli affitti catalana, della attuale lotta per la sua difesa ed estensione a livello statale.

Come la Pah, alterna un lavoro di base a una discussione più ad alta scala rispetto agli ambiti istituzionali. Tra tutte queste realtà c’è una comunicazione fluida: si condividono percorsi cittadini, mobilizzazioni, campagne e si organizza la difesa delle case.

La complicità tra le varie organizzazioni è grande: non è raro che le stesse persone partecipino attivamente a differenti tipi di assemblee. All’interno delle stesse si incontrano militanti con storie politiche molto differenti tra loro.

Questo è il contesto necessario a spiegare la risposta tanto immediata alla tragedia di lunedì 14 giugno: è all’interno di questo panorama che si svilupperanno le lotte che accenderanno l’autunno, atteso come una delle più drammatiche stagioni di sfratti nella penisola iberica.

Tutte le immagini di Andrea Effequattro