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MONDO
Ballottaggio in Bolivia: un voto contro la destra radicale
La coppia elettorale Rodrigo Paz Pereira-Edman Lara ha vinto il ballottaggio delle elezioni boliviane. Con il Movimento per il Socialismo fuori dal secondo turno e quasi completamente assente nel prossimo Parlamento, il voto popolare si è riversato a stragrande maggioranza in questa opzione di centro-destra, contro il tentativo dell’expresidente di estrema destra Jorge “Tuto” Quiroga di tornare al Palacio Quemado
Il primo turno delle elezioni presidenziali del 2025 in Bolivia ha segnato una sconfitta storica per la sinistra, rappresentata dal Movimento per il Socialismo (MAS), che ha governato da solo per gli ultimi 20 anni. Tuttavia, la tanto annunciata svolta verso la destra radicale non si è concretizzata. L’inaspettato ballottaggio, tenutosi il 19 ottobre (il primo nella storia democratica della Bolivia), ha dato la vittoria a una coalizione di centro ancora ancora larga e indefinita, tendente verso destra, rappresentata dal senatore Rodrigo Paz Pereira e dall’ex- agente di polizia Edman Lara. Un binomio accidentale, che secondo i risultati ufficiali ha vinto le elezioni con il 54,96% dei voti con un partito preso in prestito [PDC, Partito Cristiano Democratico della Bolivia – ndt]. Prima del 17 agosto nessuno si aspettava che potessero vincere.
Paz e Lara hanno sconfitto il candidato neoliberista e conservatore di destra, l’ex-presidente Jorge “Tuto” Quiroga, la cui la propaganda allarmistica e la campagna elettorale milionaria, che includeva un’intensa guerra mediatica diffamatoria contro i propri oppositori, non sono riuscite a deviare la volontà dell’elettorato. In un contesto di profonda incertezza, il nuovo governo, che entrerà in carica l’8 novembre, dovrà costruire accordi di maggioranza nell’Assemblea Legislativa e gestire la governabilità dei territori per affrontare una grave crisi economica e una persistente polarizzazione politica, etnica e regionale.
Il primo turno elettorale ha segnato la fine del ciclo ventennale del MAS come partito dominante. Dopo aver ottenuto quattro vittorie consecutive con la maggioranza assoluta (nel 2005, 2009 e 2014 con Evo Morales e nel 2020 con Luis Arce), il MAS è finito in poco tempo relegato ai margini della politica.
Le divisioni interne, lo scontro per la rielezione, la cattiva amministrazione di Arce, l’impedimento per Morales (che ha poi invocato il voto nullo) a partecipare al voto e, soprattutto, la stanchezza per il cosiddetto «Processo del Cambiamento» [iniziato da Morales nel 2006 – ndt] hanno lasciato il MAS non soltanto fuori dal ballottaggio, ma anche quasi privo di rappresentanza politica istituzionale. Un partito che ha governato con larghe maggioranze (raggiungendo addirittura i due terzi del Parlamento) che ha costruito un’egemonia politica senza precedenti si è improvvisamente ritrovato quai senza presenza nel nuovo Parlamento: il blocco del MAS, che si è presentato diviso alle elezioni, potrà contare su un totale di dieci parlamentari su 130 e non avrà alcuna rappresentanza al Senato. Una sconfitta in gran parte autoinflitta, che si è tradotta in un «collasso ssenza infamia e senza lode».
Questa volta le urne hanno assegnato un’ampia maggioranza a forze politiche e candidati in un arco politico che spazia dal centro alla destra radicale. C’era una forte richiesta di cambiamento e la sinistra rappresentava la continuità.
Al primo turno del 17 agosto hanno partecipato otto forze politiche, tra cui tre partiti provenienti dal MAS: quella dell’attuale presidente Luis Arce, che ha mantenuto illegalmente la sigla MAS, ha ottenuto il 3,2% dei voti, appena sufficiente per assicurarsi due deputati; quella del Presidente del Senato Andrónico Rodríguez, giovane leader dei cocaleros [AP, Alianza Popular, sostiene i coltivatori di coca – ndt] che rappresentava il rinnovamento del movimento, ha raggiunto l’8,5% e otto seggi, ben lontano da alcune previsioni che lo davano al secondo turno; e quella dell’ex-presidente Evo Morales [EVO Pueblo – ndt], che, dopo essere stato squalificato dalle elezioni, ha lanciato una campagna per il voto nullo ottenendo un non trascurabile 19,9% (rispetto a una media storica di voti nulli del 3,7%).
Questa divisione da caudillo, unita al voto di protesta contro il governo di Arce e alla crisi economica in corso, ha portato al collasso elettorale del più forte movimento politico nella storia democratica boliviana. Ma il cambiamento dello scenario politico ha le sue sfumature. Da un lato, i boliviani hanno votato contro l’opzione di estrema destra che avrebbe allineato il Paese al governo di Javier Milei e altre destre reazionarie. Dall’altro, Paz e Lara hanno vinto grazie al voto degli ex-elettori del MAS.
La maggior parte di chi nel recente passato aveva votato per Evo Morales si è distolta verso Paz e quei voti sono stati decisivi per la sua vittoria. Non è stata un’adesione ideologica né tanto meno identitaria, ma piuttosto una serie di circostanze. Mentre il capitano Lara (un carismatico ex-agente di polizia con il ruolo di capitano, licenziato per aver denunciato la corruzione all’interno delle forze dell’ordine) è entrato in sintonia con il mondo campesino e il voto popolare si è rivelato essere principalmente un voto contro “Tuto” Quiroga, visto come il pericolo maggiore. «Paz e Lara hanno vinto con il voto degli elettori di EVO Pueblo, con il voto degli indignati per la proscrizione e l’esclusione elettorale», ha dichiarato categoricamente l’ex presidente Evo Morales in un post sui social media riferendosi alla sua impossibilità a partecipare a queste elezioni.
Se al primo turno Morales ha insistito nel chiedere agli elettori di annullare il voto, al ballottaggio non ha promosso abbastanza questa strategia e le schede bianche, di fatto, sono andate in massa a favore della candidatura di Paz. Secondo Morales, il voto nullo avrebbe costretto il nuovo presidente a non distruggere lo Stato Plurinazionale né le sue conquiste sociali, a non attuare misure neoliberiste né a sottomettersi all’«imperialismo», a non criminalizzare la proteste e a governare consultando il popolo. Era una sorta di nostalgia di un governo del MAS, ma senza il MAS. Per ora, Lara ha strizzato l’occhio a questa idea nella sua prima conferenza stampa da vicepresidente eletto: «Rispetteremo sempre lo Stato Plurinazionale».

L’accoppiata Paz-Lara, oltre alle zone rurali, ha raccolto voti dai quartieri più popolari e periferici delle città, così come dalle province, vincendo in sei dei nove dipartimenti. Ha ottenuto larghe vittorie a La Paz, Cochabamba, Potosí e Oruro (con oltre il 60% dei voti) e maggioranze superiori al 50% a Pando e Chuquisaca. Da parte sua, Quiroga ha vinto nelle capitali, tra la classe media e nella sua roccaforte di Santa Cruz, una regione agroindustriale tradizionalmente avversa al MAS e con una percentuale inferiore nel dipartimento settentrionale di Beni. C’è stato quasi un pareggio nel dipartimento di Tarija, al confine con l’Argentina, terra dove Rodrigo Paz ha sviluppato la sua carriera politica e dove vive suo padre, l’ex-presidente della Bolivia Jaime Paz Zamora (1989 – 1993). Questa divisione territoriale è simile a quella delle elezioni del 2005. Il binomio Paz-Lara ha espresso meglio la richiesta di cambiamento, ma senza una restaurazione oligarchica conservatrice.
Questo processo elettorale, quindi, lascia i seguenti risultati immediati: (a) un nuovo governo (debole), che per la prima volta dal 2005 non è del MAS, ma piuttosto di centro-destra e che dovrà realizzare un incerto aggiustamento economico; (b) una riconfigurazione del campo politico, con tre forze minoritarie «che contano» nel nuovo scenario (il PDC, Partito Democratico Cristiano di Paz, Libre di Quiroga e Unidad dell’imprenditore Samuel Doria Medina, il favorito che alla fine ha ottenuto il terzo posto al primo turno); (c) una prevedibile mutazione del modello economico, che cesserà di essere incentrato sullo stato e si orienterà maggiormente verso il mercato e gli investimenti privati; (d) una conversione elettorale del campo «nazional-popolare» che per due decenni si è identificato alle urne con il MAS e oggi pende, per ragioni pragmatiche, verso la promessa di Paz di un «capitalismo per tutti»; (e) una polarizzazione persistente che solleva interrogativi sull’unità nazionale. Si tratta di una transizione nella quale la Bolivia popolare ha reagito in modo flessibile all’implosione del MAS (finora considerato il suo «strumento politico») attraverso patti con i partiti tradizionali a cui erano abituati prima dell’arrivo di Morales al potere.
Ora, al di là delle elezioni e dei loro effetti politici, qual è l’orizzonte di questa nuova fase? Ci troviamo di fronte a una combinazione di un’immagine di rinnovamento (sebbene Rodrigo Paz sia impegnato in politica e nella pubblica amministrazione da oltre due decenni, non ne è stato una figura centrale); un programma di riforme che non può tralasciare la potente economia popolare e informale; un’attenzione alla lotta alla corruzione (soprattutto sulla base della storia personale del capitano Lara); una narrazione religiosa e conservatrice (Dio e la famiglia al primo posto); infine una sfida nazionale alle élite escludenti e discriminatorie. Resta da vedere se tutto ciò sarà sufficiente per garantire un governo stabile.
In questo contesto, il nuovo ciclo guidato dal presidente eletto Rodrigo Paz si trova ad affrontare un’agenda complessa con compiti e tempi diversi. Il più urgente, senza dubbio, riguarda la crisi economica, che si manifesta in inflazione, deficit fiscale e mancanza di beni (carburante, dollari e medicinali).
Paz ha promesso che avrebbe normalizzato fin dal primo giorno del suo mandato la fornitura di benzina e gasolio, che attualmente causa interminabili code alle stazioni di servizio,. Non sembra facile se non si tiene in conto la valuta sufficiente a coprire, ancora per un po’, le ingenti sovvenzioni pubbliche che nemmeno Morales è riuscito a controvertire. In realtà, ancora non è chiaro il percorso critico di questo cambiamento, inizialmente concepito come graduale, che il nuovo governo metterà in campo.
L’agenda per combattere la crisi economica, che prevede anche la necessaria riforma normativa, richiederà una maggioranza parlamentare. Questo non sembra essere troppo complicato. La somma aritmetica dei membri di di maggioranza e di quelli di Unidad di Doria Medina, che hanno già espresso la loro disponibilità a collaborare con il nuovo governo, garantirebbe al nuovo presidente la maggioranza in entrambe le Camere. Per ottenere i due terzi, dovrà cercare accordi con il blocco di “Tuto” Quiroga. Questo scongiura il pericolo di un’impasse istituzionale. Forse l’aspetto più impegnativo sarà mantenere la coesione all’interno dello stesso blocco del PDC, acronimo utilizzato da diversi candidati e che comprende diverse fazioni e leader, tra cui il nuovo vicepresidente, Edman Lara, che avrà un proprio programma e un protagonismo particolare. Molto popolare su TikTok, è una figura dalla personalità complessa, come si è potuto constatare in diversi momenti di tensione con lo stesso candidato alla presidenza.
La storia democratica boliviana, però, soprattutto durante l’era della cosiddetta «democrazia pattata« degli anni ’80 e ’90, ha ampiamente dimostrato che i patti parlamentari, e persino le coalizioni di governo multipartitiche, sono insufficienti a garantire la governabilità nelle strade. Nel 2003, il presidente neoliberista Gonzalo Sánchez de Lozada godeva del sostegno di diversi partiti che insieme detenevano oltre i due terzi dei seggi al Congresso, ma ha finito con il dimettersi nel mezzo della cosiddetta «guerra del gas» [proteste popolari del 2003 contro le politiche di sfruttamento di un giacimento di gas scoperto nel dipartimento di Tarija – ndt] e fuggire negli Stati Uniti. Pertanto, Paz dovrà ottenere larghe intese con i settori sociali e con le organizzazioni di base che lo hanno votato e con attori territoriali come Santa Cruz, che in maggior parte non lo ha sostenuto. Questo compito è più arduo, soprattutto considerando il programma di aggiustamento economico, i suoi costi sociali e i prevedibili scenari di conflitto.
Nelle loro prime apparizioni pubbliche la sera delle elezioni, Paz e Lara hanno lanciato messaggi di unità e riconciliazione. «La campagna elettorale è finita, la nostra bandiera è la Bolivia», ha dichiarato Lara. «Oggi, da questa vittoria, tendiamo la mano per governare con tutti», ha aggiunto Paz. Tuttavia, questo messaggio si scontra con un contesto di polarizzazione e divisione. Nonostante lo sconfitto Quiroga abbia riconosciuto il risultato e si sia congratulato con Paz, i suoi sostenitori più radicali hanno rapidamente fomentato accuse di brogli con retorica divisiva, incitamento all’odio, espressioni razziste e, seppur isolati, atti di violenza. Questo è andato a aggiungersi a diversi tweet pubblicati dal candidato alla vicepresidenza di Libre, Juan Pablo Velasco, in cui chiedeva di uccidere i collas» [epiteto degli abitanti delle zone di confine con Perù e Argentina – ndt]. Indigeni e cholos hanno bloccato ancora una volta le aspirazioni di un settore della élite percepito come revanscista.
Ma c’è un altro programma che, pur non essendo in prima linea tra le questioni urgenti, è strategico e deve essere affrontato il prima possibile in questo nuovo ciclo: il programma di riforme politiche e istituzionali, a partire da una trasformazione completa del sistema giudiziario, attualmente in uno stato di crisi terminale. Oltre alla crisi economica, principale preoccupazione dell’opinione pubblica al centro della campagna elettorale, si sta verificando una sorta di débâcle istituzionale che richiede una serie di riforme, tra cui possibilmente un cambiamento costituzionale. Tra le altre cose, sono in agenda riforme riguardanti la rielettività, l’iperpresidenzialismo, la mancata elezione popolare delle alte autorità giudiziarie, la struttura delle istituzioni pubbliche, la natura della Corte Costituzionale e la rappresentanza politica diretta delle organizzazioni indigene. Sono necessari anche adeguamenti nell’organizzazione territoriale dello Stato e nel modello autonomo, nonché nel sistema economico. Per ora, è salutare che il duo eletto non abbia aderito alla falsa e inutile bandiera del «ritorno alla Repubblica» al posto dello Stato Plurinazionale (che equivarrebbe a una repubblica senza indios né diritti collettivi), come fatto invece da “Tuto” Quiroga e dal candidato della destra Manfred Reyes Villa (quinto dopo il voto del primo turno) [con il partito APB, Autonomia Per la Bolivia – ndt]
Cosa succederà dopo il ballottaggio e il cambiamento politico consumato, senza un partito dominante o un progetto egemonico? Se la gestione del governo e le future politiche pubbliche propendessero maggiormente verso un approccio «nazional-populista», Paz e Lara potrebbero formare un governo di cambiamento con una visione verso il futuro e non soltanto di transizione. Per raggiungere questo obiettivo, dovranno affrontare la pressione delle élite, soprattutto quelle di Santa Cruz, e un contesto regionale e internazionale avverso. Se, invece, propendessero maggiormente verso un’agenda restauratrice, è probabile che si sfaldino dall’interno. Dovranno rendere conto a chi li ha votati, anche se soltanto per pragmatismo, proprio per evitare questo epilogo. Per ora, la cosa più importante è fornire segnali di certezza e ricostruire la fiducia (nella politica e nell’economia).
In ogni caso, a prescindere dal percorso intrapreso da questo nuovo governo di centro-destra, l’enorme questione di come ricostituire la sinistra popolare plurinazionale rimane ancora aperta. Questo richiede qualcosa rimasto in sospeso fin dalla congiuntura critica e dalla sollevazione civico-poliziesca del 2019: autocritica. Ovviamente, è anche urgente far emergere nuove leadership e rigenerare le organizzazioni sociali (attualmente divise e soggette a logiche di cooptazione statale), insieme a una visione per il futuro: non è più sufficiente proporre un ritorno all’età d’oro del MAS, quando l’economia cresceva del 5% annuo e la Banca Centrale traboccava di riserve. Tuttavia, l’implosione del MAS tra feroci lotte interne, rimanda per ora questo progetto, mentre va ridefinendosi il ruolo di Evo Morales nella politica boliviana, ora «autoesiliatosi» nella regione di coltivazione della coca del Chapare.
Immagine di copertina da wikimedia commons
Articolo pubblicato originariamente sulla rivista Nueva Sociedad, che ringraziamo per la gentile concessione. Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress
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