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Alice a Pechino e altrove

Viaggi sui due lati dello specchio-Cina e nel flusso del tempo: una storia individuale e familiare nel libro di Silvia Calamandrei

Oggi – almeno fino allo scoppio della pandemia – è relativamente semplice nel giro di mezza giornata sperimentare Italia e Cina, senza neppure lo choc del passaggio da un sistema economico-sociale a un altro, tanto meno subendo l’effetto di superficie delle forme di vita urbana, che anzi oggi le metropoli cinesi esibiscono il futuro della provincia euro-americana sul piano dell’ipermodernità.

Così non era nel 1953, quando, bambina di sei anni, Silvia, arrivò a Pechino, dopo un interminabile viaggio ferroviario sulla Transiberiana, al seguito di due genitori illustri, Franco Calamandrei e Maria Teresa Regard, protagonisti della Resistenza romana (segnatamente dell’attacco di via Rasella) e corrispondenti dalla Cina per “L’Unità” – il Pci aveva allora un quotidiano…

La bambina Silvia, scartata l’idea di iscriverla a una superstite scuola francese di monache, viene direttamente immessa in un asilo e poi nella prima elementare cinese, dove resta per tre anni e riesce perfino a ottenere il molto ambito ingresso nei Pionieri, fino al ritorno con i genitori in Italia nel 1956.

A questo periodo appartiene un diario, poi smarrito in qualche trasloco e inopinatamente riapparso, anonimo, in rete, dopo essere stato recuperato su una bancarella da una casa editrice specializzata in riscoperte del genere.

Rivendicata la proprietà e riottenuto il diario, Silvia Calamandrei l’ha utilizzato come chiave per ricostruire il suo passato cinese – quei tre anni e i numerosi ritorni in Cina, il coinvolgimento con le posizioni politiche di quel Paese, i contatti letterari e l’attività di traduttrice, protrattisi fino a oggi e sintetizzati in Attraverso lo specchio. Cina andate-ritorni (Edizioni di storia e letteratura, Roma 2021).

Gli anni di scuola segnano un adattamento fra gioioso e giocoso al contesto maoista, il desiderio di indossare il fazzoletto rosso del pioniere, il timore di dover pagare pegno per le sue origini – soprattutto quando il personaggio più famoso della famiglia, il nonno Piero, riapre un contatto fra Italia e Cina con la sua visita nell’ambito di una impegnativa delegazione di intellettuali e politici (fra cui Fortini, Bobbio, Musatti, Cassola, Antonicelli, ecc.) nel 1955.

L’autrice ha ormai assorbito lo spirito della scuola cinese, il disprezzo per le famiglie borghesi, per l’Occidente, il rifiuto di una nuova generazione protesa verso il futuro per i vecchi costumi di una classe decadente.

Segue con zelo le ossessive campagne contro le presunte spie straniere e del Guomindang, i residui capitalistici, gli insetti, fa rumore per non far riposare i passeri (altro che seminare il davanzale di briciole, come le raccomandava la nonna Ada) e, all’arrivo a Pechino di nonno Piero, pur omaggiato dalle massime autorità dello stato e del partito, si vergogna di loro, dei vestiti e tratti occidentali (i “nasi lunghi”) che mettono in rilievo anche la sua occultata diversità.

Nota l’autrice che, in piccolo, era «una sindrome che si è forse manifestata anche in Italia nella generazione che ha voluto far rivivere la Resistenza, accusando i padri di averla tradita e rivendicando di esserne gli autentici eredi» (p. 31).

D’altronde, non era una novità: in modo non dissimile si era ribellato il padre Franco al nonno Piero sul cruciale problema della militanza o dell’attendismo rispetto alla pratica partigiana e poi all’adesione al comunismo, sia pure in una veste amendoliana, che garantiva una continuità con l’opposizione liberale al fascismo.

Quell’imbarazzo e quel dissidio, miracolosamente restituito dal ritrovamento del diario (dove quel sentimenti non era stato annotato, ma riaffiorava ora nella memoria), funziona come il lastrico sconnesso del cortile di casa Guermantes che fa tornare in mente a Proust il selciato irregolare di piazzetta San Marco a Venezia e apre il flusso dei ricordi involontari e del tempo allo stato puro. In questo caso anticipa i contrasti successivi di Silvia ormai cresciuta con il padre Franco (traduttore, appunto, di Proust) ed esponente del Pci all’epoca della contestazione studentesca del 1968, di cui la nostra autrice fu una dei leader romani, e in generale l’urto con il Pci di una generazione largamente fomentata dagli entusiasmi per la Rivoluzione culturale.

Silvia Calamandrei recupera così un rapporto con la Cina che era stato interrotto dal suo ritorno in Italia nel 1956 e partecipa di quegli entusiasmi collaborando negli anni ’70 alle Edizioni Oriente alla rivista “Vento dell’Est”, salvo poi prenderne le distanze e tornare a un rapporto più critico e culturalmente riflessivo nei decenni successivi – in cui, fra l’altro, si sarebbe dedicata, oltre alle traduzioni dal cinese, a un’instancabile attività di cura e promozione, insieme a M.T. Regard, del lascito letterario del padre Franco, del nonno Piero e dell’ambiente azionista.

Il tutto scandito dalle “andate-ritorni” fra “i due lati dello specchio”, a partire dal 1974, in momenti diversi dello sviluppo della storia cinese e delle varie fasi del Pcc prima e dopo la morte di Mao, l’avvento di Deng, il massacro di Tien An Men, l’impetuoso sviluppo capitalistico odierno.

E le persone, italiane e cinesi che in queste vicende vengono coinvolte o testimoniano con le loro storie private la grande storia di un intero Paese.

Il recensore stesso ebbe la fortuna di partecipare a uno di questi viaggi di presa d’atto dei successivi cambiamenti, anche se io non ero in grado di comparare le fasi, quando nel 2010 fui accompagnato a Shanghai fra le meraviglie vittoriane, déco e brutaliste del regno sefardita di Sassoon e Kadoori sul Bund e le Concessioni e quelle avveniristiche di Pudong, sull’altra riva dello Huangpu.

Ai resoconti autobiografici si intrecciano le valutazioni dell’esperienza cinese, fra adesione iniziale al maoismo e riflessioni più scettica sulle dinamiche interne di quella fase, particolarmente del periodo 1974-1978 in cui si consuma la svolta denghista e il vacillamento delle illusioni del maoismo occidentale.

Giustamente nella fase terminale della Rivoluzione culturale e nell’allegorica rievocazione del contrasto fra scuola confuciana e scuola legista l’autrice enuclea il tema della forma giuridica della dittatura del proletariato e della transizione al comunismo, ovvero la critica del diritto borghese considerata all’ordine del giorno anche nell’Occidente illegalista e tumultuoso post-68.

Con il paradosso che Piero Calamandrei era stato il massimo esponente di un uso progressista del diritto borghese contro il fascismo prima e poi contro il clericalismo atlantico e che, una volta sconfitto il maoismo e avviata impetuosamente la Cina sulla via di un capitalismo con caratteristiche cinesi, un pipistrello rifondarolo avrebbe costruito, proprio nella fatal Wuhan, un micidiale laboratorio niente meno che di diritto romano…

D’altra parte, la riscoperta, prima polemica e poi apologetica, di Confucio consente di riportare l’attenzione alla dimensione millenaria della Cina, alle sue costanti profonde e specialmente ai processi culturali e nazionali che avevano fatto seguito al “secolo delle umiliazioni” e troppo frettolosamente erano stati liquidati o dati per estinti.

In questa dimensione si muovono gli interessi nelle decadi successive dell’autrice, molto attenta a recuperare figure travolte nei vari sussulti della Rivoluzione. Comincia già la madre, Maria Teresa, a registrare, in un “ritorno” del 1985, la riabilitazione quasi alla vigilia della morte del critico letterario Hu Feng, la cui condanna, prima ideologica e poi penale, aveva sollevato molte perplessità fra i partecipanti al famoso viaggio del 1955.

Seguono altri casi che appassionano la figlia Silvia, fra cui il più notevole è l’amicizia con la scrittrice Yang Jiang e del marito Qiang Zhongshu. L’ultimo incontro con lei, in procinto di compiere 100 anni, apre la parte conclusiva del libro, che passa in rassegna alcune recenti valutazioni sulla Cina nella stagione della “via della seta”, da un esilarante Rampini ancora incitante agli investimenti e all’amicizia con la Cina prima di arruolarsi con Trump e alle analisi sull’uso avanzato dell’informatica in Red Mirror di Pieranni.

Le ricadute repressive di queste tecnologie di controllo sarebbero apparse chiaramente durante l’ultimo viaggio schedato, quello nel Xinjiang uiguro, un test impressionante del nuovo regime autoritario e centralistico instaurato da Xi Jinping.

Immagine di copertina di lyubov Popova