approfondimenti
EUROPA
Aliança Catalana: anatomia di un movimento indipendentista di estrema destra
Una piattaforma identitaria specifica, indipendente dal centralismo esasperato di Vox, frutto della delusione delle altre forze indipendentiste. Ma negli ultimi anni è cresciuta, e l’insistenza sulle politiche anti-immigrazione l’ha avvicinata a Vox
Negli ultimi anni la politica catalana ha visto emergere un attore nuovo e inatteso: un’estrema destra dichiaratamente catalana, capace di combinare nazionalismo, identità e retorica anti-immigrazione. La sua ascesa non nasce dal nulla, ma da una serie di trasformazioni – culturali, politiche e territoriali – che hanno lasciato spazio a un movimento capace di interpretare frustrazioni accumulate e vuoti lasciati dal crollo del processo indipendentista. Comprenderne lo sviluppo richiede guardare sia alle dinamiche attuali sia alle narrazioni degli anni precedenti. La manifestazione durante la passata Diada, la giornata nazionale della Catalogna, in cui per la prima volta è scesa in piazza l’estrema destra catalana di Aliança Catalana. Durante il periodo del processo indipendentista catalano, dal 2014 al 2018, alcuni opinionisti e analisti politici, principalmente legati all’area unionista spagnola (anche di sinistra, come Podemos), insistevano sulla narrativa secondo cui gli indipendentisti catalani erano in realtà persone di destra, populiste, o addirittura “trumpiste”. Si trattava di una lettura spesso strumentale, utile a delegittimare il movimento indipendentista e a neutralizzare qualunque processo secessionista come fenomeno reazionario.
Per una parte della sinistra spagnola – come anche di altre sinistre europee – accettare un movimento indipendentista nel proprio territorio avrebbe significato rimettere in discussione idee consolidate sullo Stato-nazione, sulla sovranità e sulla composizione sociale del proprio elettorato.
Per questo motivo, anziché analizzarlo nel merito, era più semplice bollarlo come movimento di destra. Ma questo “spauracchio”, che allora era lontanissimo dalla realtà socio-politica del movimento indipendentista, con il tempo si è paradossalmente avverato: le categorie usate per delegittimare l’indipendentismo hanno finito per preparare il terreno a un fenomeno reale che oggi diventa difficile contrastare.
Come si dice in Catalogna, “han cridat el mal temps” – hanno chiamato il maltempo. Infatti oggi esiste una destra radicale catalana consolidata, e si chiama Aliança Catalana. Fino a un anno fa era una forza marginale: l’1,3% alle municipali e il 3,8% alle regionali. Oggi, secondo gli ultimi sondaggi del Centre d’Estudis d’Opinió (CEO), arriverebbe a 19-20 seggi, alla pari con Junts per Catalunya. Un balzo che ridisegna profondamente l’equilibrio politico catalano e che ha sorpreso analisti e osservatori: da due seggi potenziali a quasi venti in pochi mesi, una progressione che molti definiscono una “rivoluzione silenziosa”. Aliança Catalana diventerebbe la terza forza del Parlamento [“regionale”, ndr], dietro PSC ed ERC e davanti allo storico partito del catalanismo moderato.
Il partito è guidato da Sílvia Orriols, sindaca di Ripoll, cittadina dell’entroterra pirenaico dove il movimento è nato e ha costruito la sua prima base militante. Ideologicamente rappresenta una novità nel panorama politico catalano: non è la destra unionista e spagnolista di Vox, né la sinistra indipendentista della CUP. Si presenta invece come una combinazione di nazionalismo catalano radicale, identitarismo etno-culturale e populismo di destra, con un forte accento su immigrazione, sicurezza e identità.
Il contesto storico che ha reso possibile l’ascesa
Per capire l’ascesa di Aliança Catalana è necessario considerare il contesto. Il catalanismo nasce tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento come risposta ai processi di uniformazione culturale dello Stato spagnolo, che cercavano di ridurre la pluralità linguistica e identitaria del paese imponendo il castigliano come lingua unificatrice. In Catalogna, come nei Paesi Baschi, in Galizia o nelle Asturie, questo processo generò una reazione. Il catalanismo difendeva la lingua catalana, le sue pratiche culturali e un senso di identità distinto. Una parte di questo movimento evolse poi in indipendentismo, convinta che solo un processo politico autonomo potesse garantire la sopravvivenza della lingua e della cultura.
Questa tensione non è mai scomparsa. Nel corso degli anni, soprattutto nelle zone più conservatrici, sono emerse correnti catalaniste xenofobe, come Plataforma per Catalunya (PxC), attiva negli anni 2000 attorno alla città di Vic con lo slogan «primer els de casa» («Prima quelli di qui», equivalente a un «prima gli italiani»). Dopo la sua dissoluzione sono rimasti piccoli gruppi identitari, alcuni già presenti ma sempre molto marginali, come il MIC.
È su questo terreno – fatto di catalanismo frustrato, crisi dell’indipendentismo e tensioni culturali – che Aliança Catalana ha trovato spazio per crescere. Durante lo stesso periodo gli indipendentisti catalani portavano in piazza quasi un milione di persone.
Una nuova identità politica
Il partito si dichiara indipendentista, ma lo fa con un approccio etnico, parlando di “nazione catalana” come comunità culturale da difendere contro la “minaccia islamica” e contro il multiculturalismo, che Orriols identifica come un pericolo per la coesione sociale. Da qui derivano proposte come il divieto del velo nelle scuole, richieste di espulsioni e politiche di “reemigrazione”, critiche alla presenza di minoranze e una visione della Catalogna come territorio da proteggere da “derive comunitariste”. È un discorso che richiama le nuove destre del Nord Europa più che la tradizionale destra spagnola.
Aliança Catalana si è presentata alle elezioni del 2024 con l’indipendenza come asse portante del suo programma elettorale, ma l’ultimo barometro del CEO rivela che più della metà dei suoi simpatizzanti è contraria ad avere uno Stato proprio. Questo dato è particolarmente significativo: dimostra che per molti suoi elettori l’indipendenza non è più un obiettivo centrale, bensì un contenitore identitario dentro cui proiettare paure culturali e insicurezze sociali. L’indipendentismo come progetto politico si svuota, lasciando spazio alla sua versione identitaria e reattiva. Infatti, un anno e mezzo dopo il suo arrivo in Parlamento, l’attività legislativa del partito di Sílvia Orriols evidenzia l’abbandono della questione indipendentista: la formazione non ha presentato alcuna mozione relativa all’indipendenza e si è concentrata sulle politiche anti-immigrazione. Per quanto riguarda le iniziative degli altri gruppi, 19 delle 28 mozioni che Aliança ha emendato provengono da Vox, con cui condivide le posizioni di rifiuto dell’Islam.
La crescita del partito non è omogenea. Aliança Catalana è molto più forte nelle zone rurali e nelle comarche interne di Girona e Lleida che nelle aree metropolitane.
La Catalogna concentra circa metà della popolazione nell’area di Barcellona, che attira investimenti, servizi e progetti di integrazione. Le zone interne, invece, soffrono spopolamento, precarietà, tagli ai servizi pubblici e cambiamenti demografici rapidissimi. Qui l’identità catalana è spesso vissuta in modo più viscerale, e il messaggio “difensivo” di Aliança Catalana trova un terreno fertile. Nelle grandi città, invece, il partito incontra maggiori difficoltà, pur cercando di conquistare un elettorato giovane e disilluso.
Perché Aliança Catalana cresce: una catena di cause
L’ascesa di Aliança Catalana è il risultato di una combinazione di fattori che si alimentano a vicenda. La crisi dell’indipendentismo tradizionale, seguita alla repressione del 2017 e aggravata da anni di promesse mancate e divisioni interne, ha prodotto una dispersione dell’elettorato: sia ERC sia Junts appaiono oggi incapaci di offrire una prospettiva chiara. Questo vuoto di rappresentanza ha spinto una parte dei loro sostenitori, delusa e disillusa, a cercare alternative più radicali e a rivolgersi verso forze politiche capaci di esprimere messaggi netti e identitari.
In questo contesto, Aliança Catalana ha saputo proporre un discorso emotivamente potente, fondendo temi di identità, sicurezza e immigrazione in un linguaggio diretto e polarizzante, molto più semplice e immediato rispetto alla complessità del processo indipendentista. Il suo posizionamento anti-establishment – contro il “blocco unionista” ma anche contro la “vecchia politica indipendentista” – le consente inoltre di attrarre elettori provenienti da sensibilità diverse, sfruttando un diffuso sentimento anti-élite.
A tutto questo si aggiunge la capacità organizzativa del partito: in pochi mesi Aliança Catalana ha costruito una rete militante sorprendentemente attiva e una comunicazione aggressiva che le ha garantito una visibilità crescente, trasformandola da forza marginale a protagonista della scena politica catalana.
Il rapporto con Vox
Il rapporto con Vox è uno degli elementi più significativi. Se non fosse per la difesa del catalano, Aliança Catalana e Vox condividerebbero gran parte del discorso politico. Entrambi associano immigrazione e insicurezza, parlano di “invasione migratoria”, denunciano l’“islamizzazione” dei quartieri popolari e propongono espulsioni non solo dei migranti irregolari ma anche dei figli di stranieri nati in Catalogna. Diversi sono gli opinionisti che vedono una similitudine sempre più profonda tra Aliança Catalana e VOX. I dati del CEO mostrano che il 38% dei potenziali elettori di Vox e il 26% di quelli di Aliança Catalana considerano l’immigrazione il principale problema della Catalogna.
Entrambi gli elettorati sono fortemente maschili, ma differiscono per età: Vox attrae molti giovani tra i 18 e i 24 anni, mentre Aliança Catalana è particolarmente forte tra gli uomini di 35-64 anni.
Fenomeno stabile o bolla passeggera?
Resta da capire se Aliança Catalana sia un fenomeno stabile o un’onda passeggera. Il rischio di isolamento politico è alto: quasi tutti i partiti hanno evocato un possibile cordone sanitario. Il sistema elettorale catalano premia i partiti radicati e penalizza quelli con consenso disomogeneo. Inoltre Aliança Catalana e Vox competono per lo stesso spazio politico, un fattore che potrebbe complicare la fidelizzazione del voto. Ciononostante, un dato è ormai evidente: l’estrema destra catalana esiste, è organizzata e oggi cresce più di qualunque altro attore politico regionale. La domanda decisiva è se rappresenti una reazione temporanea all’esaurimento del ciclo indipendentista o l’inizio di una nuova fase, in cui identità, sicurezza e conflitto culturale diventano il motore della politica catalana.
L’articolo e la copertina sono stati originariamente pubblicati sul profilo substack “Barcellona chiama Italia“
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