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OPINIONI
Politica, identità e migrazione: intervista a un migrante curdo in Italia
L’intervista ripercorre, attraverso la vita di un giovane ragazzo sradicato dalla sua terra e cultura d’origine, le tante difficoltà della popolazione curda in Turchia e in Europa
Quella che segue è un’intervista di qualche mese fa a un ragazzo di origine curda, attualmente richiedente asilo in Italia. 18 anni appena compiuti, lavoro in nero da poco trasformato a tempo determinato, una passione per l’impegno politico (maturata nel paese d’origine e che lui stesso ci tiene a lasciare indefinita, ma comunque a non chiamarla assolutamente “militanza”). La storia di questo ragazzo curdo si presenta quindi come un racconto stratificato. Ma più da vicino: la storia di una crescita e di una maturazione individuale, intersecata indissolubilmente alla consapevolezza e alla traduzione nel pratico e nel quotidiano dei risvolti sociali, culturali e politici che hanno visto come protagonista il popolo curdo.
All’interno di questa storia personale, si trova dunque un piccolo pezzo della storia di un preciso gruppo socio-culturale. Ma più nello specifico: la sua lotta per l’indipendenza dalla Turchia e nel suo passaggio intermedio, il suo tentativo di vedersi riconosciuto e rappresentato democraticamente nella Grande Assemblea Nazionale (il Parlamento turco che ha sede ad Ankara). Senza dimenticare ovviamente anche i collegamenti con altre minoranze curde che insistono sulla stessa zona geografica e transnazionale come, ad esempio, quella curdo-siriana, prepotentemente emersa sullo scenario geopolitico durante la Guerra civile del 2011 e che ha dato vita a esperienze di lotta armata come le YPG, le Unità di Difesa del Popolo, attive nella zona di Kobane e non solo. Per intenderci, a meno di 150 km da dove si colloca l’inizio di questa storia.
Ben lontano da forme caricaturali di rappresentazione di questa identità storica, politica e culturale, la storia di questo ragazzo turco-curdo è quindi la narrazione di chi, per affermare se stesso, si è trovato – e si trova – quotidianamente costretto a combattere. Non solo come giovane migrante ma anche e soprattutto, a partire dai primi anni di scuola, dalle prime esperienze di vita e quindi, dalla prima infanzia vissuta in Turchia; ovvero da ben prima di riconoscersi in una precisa parte politica, come nel suo caso, nel HDP (Partito Democratico dei Popoli), i cui leader sono stati arrestati (fuori da qualsiasi forma di confronto democratico con il governo turco) nel novembre 2016, con il pretesto di un attacco bomba di fronte alla sede della polizia della città di Diyarbakir, nel sud-est del paese, ovvero la parte a predominanza curda della Turchia.
Raccolta in una singola intervista (sicuramente troppo breve e personale per potersi dire rappresentativa dell’intera situazione), la storia di questo ragazzo è dunque la storia di chi, per sopravvivere come curdo, non può far altro che vedersi e raccontarsi “dal basso”, innanzitutto come un piccolo pezzo di un quadro culturale, politico ed economico, enormemente più grande e complesso.
Per cominciare questa intervista, ti va di presentarti?
Mi chiamo Berat e sono nato nel 2007 in un piccolo villaggio a circa 100 km dal confine tra la Turchia e la Siria. Il mio villaggio d’origine si chiama Sadakalar e si trova precisamente nella Turchia centro-orientale. Sono nato in un villaggio curdo ma rimasto lì poco perché, quando avevo circa due anni, assieme alla mia famiglia mi sono trasferito a Pazarcik: una città molto più grande a circa 25 km dal mio villaggio d’origine.
Com’è la vita di un giovane ragazzo curdo in Italia?
Come sai, tante persone curde che sono in nord Italia come me, provengono da lì. Da quella stessa zona della Turchia. Per farti capire, ho addirittura dei parenti stretti che vivono nei dintorni di dove abito adesso. In un certo senso, è come se un pezzo di Kurdistan fosse venuto via con me. Per il resto, in Italia ho trovato lavoro quasi subito. E in generale devo dire che mi trovo abbastanza bene.
Se un pezzo di Kurdistan è venuto via con te, cosa significa per te essere curdo?
Per quanto mi riguarda, la cultura curda significa calore, famiglia, vicinanza. La mia identità ovviamente è anche legata tantissimo alla mia prima lingua, il curdo appunto. Mia nonna, ad esempio, non parla turco e non l’ha mai parlato, parla solo curdo. Però a Pazarcik, se vai all’ospedale oppure durante le lezioni a scuola, devi parlare per forza turco. E questo è un problema perché nel caso dell’ospedale, potresti anche non essere curato. O perlomeno, non bene. Sicuramente non con la stessa assistenza che riceverebbe una persona di origine turca.
La cultura e l’identità curda non vengono accettate in Turchia? Hai voglia di dirmi meglio che significa questa cosa?
Lo Stato turco non riconosce il Kurdistan, figuriamoci i curdi che sono circa 60 milioni, sparpagliati in tutta la zona. Per noi, il Kurdistan, invece esiste, è una realtà. E vivere dentro questa realtà, è come essere sempre considerati cittadini di seconda categoria perché come ti dicevo, la nostra identità, in Turchia, non viene assolutamente riconosciuta. Anzi, spesso è una cosa che ti porti dietro con grande fatica e sofferenza perché è come se una parte di te non potesse mai davvero esistere. Ma c’è, e la popolazione curda ne è la prova vivente.
Questa cosa succede solo in Turchia o anche altrove?
Questa cosa purtroppo, non succede solo in Turchia. Anche all’estero è la stessa cosa. Ti faccio un esempio: l’anno scorso, in una città in Germania, una cantante di origine curda è stata aggredita da una passante turca perché la lingua curda la stava offendendo. E quindi, quella signora turca l’ha aggredita in mezzo alla strada. E questo è solo un esempio, potrei fartene altri che mi riguardano più da vicino ma preferisco non farlo.
Ti va di raccontarmi qualcosa legato a questa situazione?
Le due popolazioni in Turchia vivono praticamente separate. Per farti capire meglio, durante la mia infanzia tutti i miei amici erano curdi oppure aleviti [corrente mussulmana di derivazione sciita, nda] che solitamente sono un po’ più aperti. Di mentalità ma non solo, anche di pensiero politico, che è praticamente opposto a quello dei nazionalisti turchi che governano il paese.
In Turchia quindi vivete separati? Turchi da una parte e curdi dall’altra?
Ovviamente nelle città più grandi non si può far altro che mischiarsi, ma la tendenza è quella di vivere separati. E questo, a volte, può essere un grosso problema. Non ho bisogno di spiegarti perché, puoi capirlo facilmente da solo.
Dal punto di vista personale, tu come hai vissuto questa separazione?
Quando ero bambino a Pazarcik, mi capitava spesso che altri bambini turchi mi prendessero in giro e mi dicessero che dovevo andarmene via perché la mia famiglia era curda. Ad esempio, anche sul lavoro, in una fabbrica dove ho lavorato per qualche mese, venivano considerati di più i turchi. Nel senso che le nostre opinioni, come lavoratori di origine curda, non erano minimamente prese in considerazione.
Hai voglia di raccontarmi un evento in particolare?
Durante un turno di lavoro, una volta mi ricordo di aver parlato apertamente a favore del partito filo-curdo HDP (Partito Democratico dei Popoli). In quell’occasione, ero stato immediatamente avvertito da un collega curdo che per quella cosa, mi avrebbero potuto licenziare. Ed era meglio non farlo più, soprattutto se avessi voluto mantenere il mio lavoro e non passare dei guai. In pratica, non ero libero di esprimere apertamente il mio pensiero politico.
Perché era meglio non farlo?
Per farti capire meglio, il capo di questo Partito di cui stavo parlando si chiama Selahattin Demirtaş ed è stato messo in prigione nel novembre del 2016 perché stava avendo un grande successo tra i curdi (e non solo, anche tra i turchi aveva tanti elettori). C’era molta speranza e come avrai capito, anche io ero un suo sostenitore. Tuttavia, a seguito di una serie di attacchi da parte del governo, ha dovuto lasciare il suo incarico.
Perché ha dovuto lasciare la politica?
L’hanno incolpato di supportare le rivolte in Rojava, soprattutto quella di Kobane durante la fine dell’estate 2014. In più, c’è stata una serie di attacchi bomba a Istanbul e in tutta la Turchia, per i quali hanno incolpato direttamente i curdi. Per molto tempo c’è stato un clima di forte tensione. Adesso chi guida il Partito Democratico dei Popoli è la moglie Başak, che continua il lavoro di suo marito di rappresentanza del popolo curdo.
Tu cosa ne pensi della decisione del PKK di proporre allo stato turco il “cessate il fuoco”?
Rispetto a quello che è successo all’interno del PKK, per prima cosa ti devo dire che Öcalan non è più la figura centrale e c’è tanta gente che non è d’accordo con lui. Per questo motivo, non credo che deporre le armi sia la cosa che vogliono fare tutti. Sicuramente dopo l’arresto del sindaco di Istanbul e il tentativo di colpo di stato del 2016, che ha causato una grossa mobilitazione politica e una repressione violenta da parte della polizia, molti curdi possono aver pensato che l’opposizione turca (ad esempio quella che sosteneva il sindaco arrestato dalla polizia di Erdoğan) poteva essere un alleato. Ma io non credo. In queste cose, credo si debba essere più realisti e guardare i fatti.
Tu hai mai partecipato a manifestazioni di protesta?
Dal punto di vista della mia partecipazione personale, Pazarcik era una città piccola per cui le proteste non erano così grosse. Sicuramente nelle città più popolose il movimento di protesta curdo è molto più forte e sicuramente più organizzato di quanto non lo fosse nella città dove vivevo.
Torno un attimo sulla differenza tra curdi e turchi. Hai voglia di approfondire questo tema?
Rispetto alla differenza tra un curdo e un turco, quello che ti posso dire è che molte volte non te ne rendi neanche conto. Nel senso che non ci fai davvero caso, se uno è turco e un altro è curdo. Magari te ne accorgi dall’accento, dal genere musicale che ascolti, oppure anche dal modo di vestire, soprattutto durante i matrimoni; ad esempio. I vestiti tradizionali curdi sono più legati ad altri paesi dell’Asia centro meridionale, come ad esempio l’Afghanistan. Quelli turchi invece, solitamente sono più occidentali. Durante le celebrazioni cerimoniali quindi, è più facile. Ma credimi, nella vita di tutti i giorni è quasi sempre impossibile distinguere un curdo da un turco.
Come mai hai parlato proprio di matrimoni?
La questione dei matrimoni è molto forte nella cultura curda perché è ancora la famiglia che organizza il matrimonio. Tra l’altro, il legame di sangue tra i due sposi è dato per scontato. Nel senso che ci si sposa quasi sempre con un parente. Anche lontano, ma comunque l’importante è che faccia parte della famiglia allargata. Come ragazzo curdo, te lo dico: questa secondo me, culturalmente parlando, è una delle cose che sono rimaste di più e che rimarrà più a lungo.
Adesso cambiamo argomento. Che lavori hai fatto prima di arrivare in Italia?
Dal punto di vista del lavoro, i curdi sono impegnati soprattutto nei lavori manuali, quelli più faticosi e che vengono pagati meno in fabbrica oppure in agricoltura. Entrambi lavori che ho già fatto in passato. Ma adesso, con la migrazione di massa, molti curdi come me si sono spostati per raggiungere luoghi dove possono vivere in condizioni migliori. Anche il terremoto del 2023 è stata una forte causa di migrazione, soprattutto per i più giovani che si sono trovati senza un futuro, se non quello dello sfruttamento.
Pensi che la migrazione avrà degli effetti sulla tua appartenenza culturale?
Se devo pensare alla mia appartenenza alla cultura curda, devo dire che probabilmente sono uno degli ultimi che la vedrà ancora. Già i miei fratelli più piccoli non parlano curdo ed è molto probabile non lo impareranno mai. L’impressione che mi sono fatto è che, per quanto riguarda la mia famiglia, la cultura curda sia destinata a scomparire. A pensarci bene, devo dire che la cosa mi rende molto triste, ma la verità è che nella nostra vita quotidiana l’identità curda è molto spezzettata. Come ti dicevo, in casa i più piccoli parlano solo turco. Solo io, i miei genitori e il fratello più grande continuiamo a parlare curdo ma lo facciamo tra di noi.
Hai ancora contatti con persone curde che vivono in Turchia?
Quando mi capita di telefonare ai pochi amici che sono rimasti a Pazarcik non parliamo quasi mai di politica perché preferiamo parlare di altro. Questioni un po’ più materiali come, ad esempio, il lavoro. Discutiamo tanto anche della crisi economica che c’è adesso in Turchia perché quella che vivono i ragazzi della mia generazione è una situazione difficilissima. Le persone che sono rimaste dopo il terremoto stanno veramente soffrendo molto. Per noi curdi è un momento difficile ed è anche difficile ribellarsi e protestare per far valere i propri diritti. Per cui, ecco, la situazione è molto problematica.
E rispetto a quelli che sono migrati in Europa?
Per il resto dei miei amici che sono emigrati in Europa (soprattutto Germania, Italia e Inghilterra), l’identità curda rimane attiva principalmente attraverso celebrazioni religiose e racconti del passato. La verità è che c’è molta voglia di integrarsi e di migliorare le proprie condizioni di vita. I ragazzi della mia generazione tendenzialmente vorrebbero rimanere in Europa, sopratutto quelli che sono arrivati con tutta la loro famiglia. Quelli che invece sono arrivati in Europa da soli, è più facile che vogliano ritornare in Turchia, un domani non lontano. Il motivo è che fanno molto più fatica ad avere una vita stabile e tranquilla, soprattutto con i documenti che sono molto difficili da ottenere.
Hai voglia di condividere cosa pensi rispetto al tuo futuro?
Sinceramente non troppa. Come sai bene, preferisco pensare al presente.
Ti ringrazio per l’intervista. In bocca al lupo.
Grazie a te.
L’immagine di copertina è di Milos Skakal
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