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Roma Kaputt Mundi: memorie di un giovane punk

Il brano è tratto da “Lo stivale è marcio”, di Claudio Pescetelli. Il libro sarà presentato giovedì 8 giugno al Forte Prenestino durante la serata a sostegno di DINAMOpress “Il futuro era marcio”.

(Tra il ’77 e il ’79) Nel vasto scacchiere cittadino, il punk inizia a propagarsi a piccole macchiette di leopardo. Nascono minuscole aggregazioni segnalabili, anziché da bandierine rosse, da piccoli grumi di saliva sputacchiati qua e là sulle tavole di Tuttocittà. Gente come gli Stigma di Steve (voce e chitarra) e Mark (batteria) che, pur nati nel 1977, dopo numerose trasformazioni torneranno al vecchio marchio col quale riusciranno a licenziare un e.p. solo nel 1985. O come gli Oersteddal cui scioglimento, nel luglio 1979, i due superstiti Luciano Antonelli (basso) e Claudia Ruti (voce e chitarra ritmica) fonderanno i Lunar Sex. O gli Apologia di Reato, nel cui magro palmares va citato a loro merito il giudizio con cui Federico Ballanti – nel n°17 di Ciao 2001 del 27 aprile 1980 – commentando una serata del 1° Festival del rock Italiano, li definiva “… un trio che è riuscito a suonare il peggior concerto della manifestazione”.

“Nel 1977/78 – racconta Cristiano Rea – noi eravamo veramente pochi e senza gruppi… e già nel 79 non eravamo più classificabili come punk… dico noi per intendere la mia banda, gli Ach Dopo/Apologia. Io sono di Roma Nord, Vigna Clara, e puoi immaginare l’ambiente: famiglia d’impiegato statale, quattro figli, uno stipendio. Cresco con i fumetti e una pila di 45 giri di mio padre dove c’erano Gene Vincent, Chubby Checker, Mina, i Giganti e altri che sono stati la mia primordiale formazione musicale. Così a 14/15 anni mi piaceva il rock’n’roll dei ‘50 mentre tutti i miei amici cominciavano a stonarsi di Genesis, Jethro Tull e compagnia bella. Il quartiere era infestato di fasci e riccastri vari, perciò non ho mai avuto una comitiva di riferimento, un baretto dove andare. Mi vedevo con i compagni di classe delle medie nella zona liberata, Ponte Milvio, ma loro erano in fissa con la politica e con la musica intellettualoide di quegli anni.

Nel ‘77 ero al primo anno di liceo Artistico, a Ponte Milvio, e tenevo per me la passione musicale poco militante, frequentavo cortei, assemblee e occupazioni ma senza sentire l’Ideale, non ancora… e sono arrivati i Ramones. Su una televisione privata c’era questo programma “Discocross”, condotto da un tale che fu coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna (!), metteva i dischi con la telecamera fissa su di lui e ti faceva vedere le copertine: mise un pezzo dei Ramones (tratto da “Leave home”, che da noi uscì con un anno di ritardo) e la fugace vista della foto di copertina fu un’illuminazione. Ero già un Ramone anch’io, il capello a caschetto da zecca ci stava, bastava strapparsi i jeans e trovare un giubbetto nero che era l’impresa più ardua a quei tempi.

Immediatamente dopo l’illuminazione ci fu un periodo – almeno tutto il 1977 – in cui veramente non potei condividere la passione punk con nessuno: stavo solo e sempre attento a vedere se qualcuno portasse un capo di abbigliamento nero o una cravattina fina slacciata al collo, una spilletta, i capelli tagliati e dritti, un segno qualsiasi di appartenenza a ‘sta cosa che doveva essere il punk. Bisogna dire che le riviste musicali (Ciao 2001, Gong) mi aiutarono a capire qualcosa in più su questa musica, misi addirittura un annuncio per segnalare la presenza di un punk anche a Roma, visto che a Milano e Torino qualcosa si muoveva. Poi ho coinvolto il mio amico d’infanzia Rik e diventammo i due punk di Vigna Clara, sbeffeggiati (ci dicevano “gay!”) e molestati dai camerati, nostri ex compagni delle medie. Con i Pistols e i Damned ci tagliammo i capelli ed elaborammo il look.

Cominciava a piacermi l’aspetto nichilista del punk, che la stampa enfatizzava con orrore, avevo bisogno di uscire dalla cappa ideologica di quei giorni e trovare un modo per esprimere dissenso, verso i maledetti fasci e verso i monolitici compagni. Mi piaceva l’idea di un punk italiano, con le sue specificità, non esterofilo: nei nostri primi tentativi di suonare i testi erano sempre in italiano, dovevamo farci capire altrimenti a chi rompevamo il cazzo? E poi dovevo trovare le mie radici… non credevo a niente, va bene… però ci voleva un libro, qualcosa cui appigliarsi per argomentare. Ci misi un po’ ed arrivai a Max Stirner (senza peraltro capirci un granchè), però dopo mi dichiarai sempre nichilista… diciamo che sono stato un punk un po’ cervellotico, infatti già dal ‘78 restò l’abbigliamento nero ma le spille e le zip sparirono. Questo passaggio l’ho fatto insieme alla mia prima banda, gli Ach Dopo, con Rik, Mario e Massimiliano…

Al Johann Sebastian Bar (vicino San Pietro) abbiamo fatto la prima uscita da minorenni io e Rik (siamo entrambi del 1962), per andare a vedere gli Elektroshock in concerto – sarà stato il ‘78 – attenti a raggiungere il posto rispettando le regole delle strade da evitare, delle piazze dove non passare. Fu una serata proficua, dentro era pieno di freak e compagni, gli unici punk eravamo noi e, appena entrati, ci si para davanti un coattone con un collare da cane al collo, i baffi alla mongola, capelli lunghi e un gilet di pelle: era Max, felice di vederci… non altrettanto noi, debbo dire. Il Max marcava abbastanza male: rocker ante litteram, trasteverino, di qualche anno più grande di noi, ci fece conoscere gli Stooges, le New York Dolls, Lou Reed e con lui per un certo periodo tentammo di unire queste influenze musicali a un discorso ‘politico’ che, già nel nome, avrebbe delineato una certa appartenenza: l’Apologia di Reato

Comunque gli Elektroshock fanno il loro show, compreso di schizzata di sangue del povero Augusto che se lo tira in diretta con una ‘spada’ durante il pezzo “Blood sacrifice”... a fine concerto, non ricordo come ma siamo rimasti in accordo con Max di ribeccarci perché ci doveva far conoscere alcuni suoi amici nostri coetanei. Questi abitavano nei pressi di Piazza Cavour ed erano i fratelli di Steve, compagno di liceo di Max e batterista del suo gruppo di allora: i Nich (da Nietzsche). La cameretta di Mario e Massimiliano diventerà il ‘covo’ del primo gruppo che mettiamo in piedi: gli Ach Dopo. In quel periodo frequentavamo anche i Trancefusion, ma poco dopo per vari motivi li mollammo visto che cominciavano ad avere dei risultati con il gruppo, e secondo noi – che eravamo delle pippe – se la tiravano troppo… con loro abbiamo cominciato a frequentare il Titan. Massimo Costa il boss del locale ci faceva entrare gratis e abbiamo visto suonare Adam and the Ants, i Decibel, i Revolver e i Trancefusion stessi.

Con gli Ach Dopo suonavamo (poco) e facevamo immersioni notturne per Roma, tra tossici e loureediani di Trastevere, schivando i posti di blocco e dividendo i pochi soldi tra noi. Ci siamo fatti un nome perché proprio nel momento in cui si aprivano dei minimi spazi per i punk, i mod, gli skin e i ragazzi erano felici di potersi esprimere, noi già rompevamo il cazzo che era tutta una moda e odiavamo tutti. Dagli Ach Dopo passammo ai Colditz, un altro gruppo ‘fantasma’ compo-sto da me alla batteria, Rik alla voce, Max al basso e Fausto Donato alla chitarra, che poi entrò nei Raff. Ma anche questo fu un progetto temporaneo e quando effettivamente abbiamo mandato tutti a cagare, fu con la nascita di un vero gruppo musicale, l’Apologia di Reato: era il ’79 – con a capo il buon Max, no-stro nume tutelare – e nella prima forma-zione c’era anche Mario degli AchDopo, alla voce e alla chitarra, ma nel 1980 uscì dal gruppo e rimanemmo in tre.

Max era, nonostante la passione furiosa per il rock, un compagno e l’idea che aveva era di fiancheggiare musicalmente la rivolta armata (!). Per la nostra apparizione al Primo Festival Rock Italiano, al Cinema Espero nel 1980, l’organizzatore ci chiese esplicitamente di non mettere in scaletta due brani, promessa non mantenuta: uno parlava del postino delle BR e l’altro inneggiava alla rivolta con le parole di Che Guevara. Poi una sera, in un bar di Trastevere Max mi comunicò che ero fuori dal gruppo, perché troppo individualista: andò bene così… iniziava un’altra avventura, stavo con una pischella e a tutti e due ci piaceva Faust’O, c’era il Uonna sulla Cassia ed io disegnavo le locandine per le serate… ma le cose erano fatte, la strada spianata, il punk sdoganato anche dai compagni, c’era già la new wave…”