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Arditi, disertori e invisibili

Recensione del nuovo libro dei Wu Ming “L’invisivile ovunque”

Sabato 16 gennaio, DINAMOpress ha presentato in anteprima romana “L’invisibile ovunque”, l’ultimo libro del collettivo Wu Ming. L’audio dell’evento sarà disponibile in podcast su questo sito grazie a RadioSonar. Qui a seguire la recensione del libro.

Per la maggior parte degli italiani, quest’anno è cominciato con una piccola illusione collettiva: per motivi puramente commerciali – forse dovuti a contratti pubblicitari, di certo legati alla dura legge della concorrenza – il dirigente del servizio pubblico televisivo ha deciso di anticipare l’inizio del 2016. Un piccolo sobbalzo, una specie di micro-jet lag, ha investito l’orologio sociale, portandoci prima avanti e poi indietro nel tempo di un minuto, con tanto di bestemmia in sovrimpressione e titolo beffardo: “L’anno che verrà”.

La cosa ha scatenato qualche protesta e molta ilarità, rendendo palese un meccanismo che si produce spesso. Magari non spostando in maniera grossolana le lancette dell’orologio all’indietro (come nella celebre, e giustamente ricordata, scena del primo Fantozzi), ma gettando nell’agone del dibattito pubblico e dell’immaginario scenari e situazioni che affondano in passati più o meno rimossi, con l’effetto da capogiro di far scivolare all’indietro il discorso, di ri-mettere in scena il già visto dentro contesti nuovi. È accaduto proprio dopo Capodanno, quando i commenti sulle violenze di Colonia hanno addirittura anticipato la cronaca dei fatti. Quanto accaduto andava ancora ricostruito e messo a verifica, ma negli elzeviri già si potevano sfoderare i peggiori stereotipi della supremazia bianca e della difesa dall’invasore barbaro.

Il centenario della Grande Guerra è stato l’occasione per un’altra immersione nel tempo che fu e nelle retoriche nazional-reazionarie che la accompagnarono. Quel grande corpus di narrazioni, metafore, schegge di storia si affaccia ad ogni tornante dell’intricata vicenda italica. Ma se Marinetti si prefissava l’obiettivo di fornire la «sintesi ideale della guerra» evocando l’immagine da trincea di «un alpino che canta spensierato sotto una volta ininterrotta di shrapnels», i Wu Ming de L’invisibile Ovunque, spalleggiati dal Wu Ming Contingent col nuovo album , ricombinano quelle schegge di Shrapnel sparse sui campi di battaglia dell’inutile mattanza che ha dato il via alla catena di eventi del secolo breve: dai fascismi alla Seconda guerra mondiale fino all’assalto al cielo, con conseguente sfracello, della rivoluzione sovietica.

Si diceva prima delle cebrazioni mediatiche. Nel suo libro sul linguaggio del nazismo, Victor Klemperer spiega come il Terzo Reich sia «fatto solo di solennità», che il nazifascismo «soffra di mancanza di quotidianità e che la sua malattia sia come quella di un corpo che soffre per mancanza di sale». Ecco le quattro storie che compongono L’Invisibile Ovunque sono il sale sulle ferite di un corpo martoriato dalla propaganda e intossicato dalle narrazioni ufficiali.

Si parte esattamente dalla quotidianità, quella rimossa dalla retorica. Il libro comincia con un racconto che si confronta una narrazione “classica” (alla Rigoni Stern) e che comincia inscenando riti quotidiani della vita di un contadino contrapposti alle solenni celebrazioni belliche, il lento scivolare della fuga verso la morte di un semplice uomo che diventa Ardito. Più pidocchi tra i capelli che tempeste d’acciaio, per il soldato Adelmo Cantelli. Ma in battaglia la tensione di tramuta in energia «forte, compressa, direzionabile». Nasce un sentimento cameratesco, «ma non sempre una buona amicizia è fatta dalla risonanza di sentimenti buoni». L’altra via di fuga dalla trincea è la follia. Dentro le pieghe del disagio, degli eterni Comma 22 della diserzione e della pazzia militare, si agita il secondo racconto, che in mezzo alla narrazione tradizionale inserisce note bibliografiche, fatti reali, campionamenti di realtà.

«E dunque?», dirà qualcuno arrivato a metà del libro. Offrendo l’occasione di procedere e di dire che la sperimentazione dell’Invisibile Ovunque, dentro e oltre la storia e i suoi generi, prevede il procedimento logico del dunque ma anche quello surrealista, che avanza per «analogie e giustapposizioni« del come, del quale si parla nella terza storia, quella che ricostruisce un fatto reale in forma letteraria, ripercorrendo l’amicizia tra André Breton e Jacques Vaché, strappando l’avanguardia agli scivoloni guerreschi per restituirla alla sua natura sovversiva, pacifista e non pacificata.

La quarta parte è un mockumentary, un saggio storico finto, che raccoglie dal racconto precedente il testimone del riferimento al surrealismo, alle avanguardie artistiche, alla commistione tra arte e vita quotidiana, tra cultura e guerra. Anche queste sono pagine infarcite di riferimenti che paiono assurdi ma sono realissimi, basta una breve ricerca per capire come le parti più incredibili siano fatti storici. Il saggio borgesiano contiene una critica alle (sanguinosissime) battaglie campali. «L’esposizione al nemico per annulla la distanza che ci separa da esso, nella ricerca di un impatto tra moli di forza opposta, è la meno economica e la meno efficace delle risorse possibili», scrive il protagonista in uno dei suoi testi dedicati alle tattiche di mimetismo e camouflage sperimentate dal pittore Lucien-Victor Guirand de Scévola. Tra l’andare incontro alla morte e voltare le spalle al fronte per essere fucilati c’è una terza via: quella di addentrarsi nelle linee nemiche per sparire, inabissarsi, rendersi invisibili. La grande opera della Linea Maginot, costruita proprio all’indomani della Grande Guerra, ci prepara alla necessità di aggiornare tattiche e strategie. Il che non fa che rimandare alle inutili magnificenze dei grandi apparati politici e comunicativi novecenteschi che ereditiamo.

Ogni scheggia contiene per temi evocati e stili narrativi una articolazione degli oggetti narrativi non identificati wuminghiani, il cui ultimo approdo ci veniva consegnato nel Quinto Atto de L’Armata dei Sonnambuli. L’invisibile ovunque chiude il ciclo del romanzo storico, ma in qualche modo ne rappresenta una sua forma specifica. I quattro movimenti del volume, scritti ognuno da uno dei membri del collettivo, vanno letti insieme, messi uno accanto all’altro e lasciare che il cervello metta in moto le sinapsi. Siamo davanti una specie di romanzo storico decostruito, pronto ad essere smontato e rimontato, con pilastri solidi e cunicoli appena accennati, mappe di romanzi possibili tracciate, connessioni tra vite e trame che scavano tra un capitolo e l’altro. Perché «la verità storica non coincide con la verità dei singoli esseri umani. E non ce n’è una sola per capire come andarono davvero le cose».