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William Pope.L, l’artista che non sapevamo di amare

William Pope.L, un artista che in Italia è quasi praticamente sconosciuto, è stato come la sua morte pre natalizia. Sempre sotto traccia, sempre presente-assente, assolutamente essenziale nel momento della sua scomparsa. Spiazzante. William Pope. L è morto all’improvviso il 23 dicembre 2023 nella sua casa di Chicago all’età di 68 anni

Andarsene, nel senso di passare in un’altra dimensione, durante le festività natalizie, è una doppia crudeltà. Un qualcosa che dovrebbe essere vietato in quanto amplifica la riflessione sul dolore nello stridente e roboante contesto della festa rischiando, quasi, di far passare sotto traccia uno dei due eventi. Uno dei due stati. Del resto William Pope.L  è stato come la sua morte pre natalizia. Sempre sotto traccia, sempre presente-assente, assolutamente essenziale nel momento della sua scomparsa. Spiazzante. William Pope. L è morto all’improvviso il 23 dicembre 2023 nella sua casa di Chicago all’età di 68 anni. Ma perché scrivere di un artista che in Italia è quasi praticamente sconosciuto e, anche negli Stati Uniti, ha raggiunto il riconoscimento dell’establishment solo negli ultimi 15 anni al punto che nel 2022 la nota marca streetwear Supreme ha realizzato una speciale collaborazione con l’artista riprendendo alcune foto tratte dalle sue performance (?). William Pope.L è quello che vedremo e di cui parleremo in futuro.

Chi (era) è William Pope.L

Per la biografia biologico-formativa rimando a quanto riportato da una delle gallerie che lo rappresentava e che ne ha dato anche la notizia della morte, ovvero, la Mitchell-Innes & Nash di New York. Cito/traduco/amplio leggermente le loro parole perché quello che ci interessa – ma che allo stesso tempo va detto come contesto – non è il dato oggettivo. William Pope. L  è nato il 28 giugno 1955 a Newark (NJ), è stato un artista visivo e insegnante la cui pratica multidisciplinare si basava sull’utilizzo di binari opposti decostruendo così quelle concezioni preconcette radicate nella cultura contemporanea. Le sue opere hanno assunto i mezzi più disparati, dalla scrittura, alla pittura, passando (in gran parte) per la performance e usando installazioni, video ed elementi “sculturali”. Basandosi sulla tradizione della performance provocatoria e assurda all’interno degli spazi urbani, Pope.L applicava quelle stesse strategie sociali, formali e performative alle sue ricerche sul linguaggio, il sistema, il genere, la razza e la comunità. Gli obiettivi del suo lavoro erano molteplici: gioia, denaro ed incertezza, non necessariamente in quest’ordine. Pope.L ha iniziato la sua carriera negli anni ’70, creando opere che si basavano sul suo vissuto personale. Ha studiato presso il Pratt Institute e successivamente ha conseguito la laurea presso il Montclair State College nel 1978. Ha anche frequentato il programma di studio indipendente presso il Whitney Museum of American Art prima di ottenere un master in fine arts presso la Rutgers University nel 1981. Le sue prime performance sono state realizzate per strada, e in seguito (molto in seguito, aggiungo io) in importanti istituzioni dell’arte contemporanea. Tra il 2019 e il 2020 gli è stata dedicata una duplice personale a New York tra il MoMA e il Whitney, più l’operazione Conquest, una marcia “strisciante” di 140 persone realizzata a Downtown Manhattan e finanziata dal Public Art Fund. Iniziamo dal fondo. Dal ventre delle cose. Facciamo come Pope.L, strisciamo verso i significati.

La performance (nera)

Nel momento del recap, del ricordo, è difficile scegliere quale delle operazioni di Pope. L siano abbastanza esaustive da spiegarne poetica ed estetica, lirica e quotidianità, problematicità e spensieratezza, riflessione nonché un termine terzo che superi la dicotomia dell’opposizione. Per affettività, sia nel senso di ciò che mi ha colpito sia di ciò a cui sono più legato, ho selezionato due lavori con la consapevolezza dell’impossibilità di rinchiudere a parole chi ha sempre fuggito l’icona. Se dovessi dunque fare un corso monografico (lo immagino e basta perché al momento mi sembra alquanto impossibile nell’università italiana) su Pope.L inizierei con la serie di performance How Much is that Nigger in the Window (1990-1992). Brevissima premessa. Pope.L sgusciando, per meglio dire strisciando, fuori dalla dinamica della (s)oggettivazione del lavoro ha usato spesso degli alter ego, degli auto/altro personaggi con i quali veicolava specifici messaggi attraverso altrettante specifiche performance (con Pope. L il senso del termine specifico va inteso come contingentato e non come limitato). I suoi due alter-Pope. L principali sono stati Mr. Poots e Mr. Mau Mau.

Pope definì How Much is that Nigger in the Window come un qualcosa di fairly innocent che poi perse la sua direzione, come una protesta che si trasforma in una sommossa. Questa sua prima crawl nasceva dell’esigenza del fare sul parlare, inteso come linguaggio preordinato. Il crawl, letteralmente l’azione di muoversi lentamente e faticosamente sulle mani e sui piedi, come fa un neonato o un animale, secondo Pope.L  ha un valore edificante e ispirante e aggiunge: «se non l’avete mai fatto dovete provarci». Strisciare nello spazio urbano – non uso pubblico perché è una definizione coloniale e bianca nel senso di ipocrita che proprio artisti come Pope.L  hanno aiutato a smantellare – è tanto semplice quanto impossibile, tanto moralmente deplorevole quanto spiritualmente liberatorio. In occasione della personale del 2019, Pope.L   ha raccontato la genesi e l’evoluzione di How Much is that Nigger in the Window che definisce interamente come performance nel senso anche della sua messa in scena. Pope.L sostiene che quando si performa si assume un carattere che si deve esplicitare rispetto al contesto in cui si agisce, si performa il sé-fuori. Questo carattere, Mr. Poots, era un uomo nero che stava andando al lavoro e dunque era vestito, con un completo (in lana) e portava con sé un piccolo vasetto con una pianta di tarassaco (dente di leone). Il suo lavoro era proteggere quella pianta ma anche portare al lavoro quella pianta. Così Pope.L – Mr. Poots iniziò a strisciare lungo la strada che costeggiava il Tompkins Park nell’East Village. Come ha sempre sostenuto l’artista, parlando anche delle sue azioni/crawl di gruppo come appunto Conquest del 2019, l’atto dello strisciare non ha un obiettivo, non è una maratona o una marcia che si deve finire.

E così How Much is that Nigger in the Window è terminata quando un passante ha cercato in tutti di modi di aiutarlo, facendolo così uscire dal suo personaggio e riportandolo a una realtà fatta di spiegazioni. Spiegazioni, certo, perché se il détournement situazionista non ha mai richiesto spiegazioni di tipo morale o sociale, un uomo nero che striscia per le strade di New York porta a domandarsi sull’effettiva percezione del luogo, sul possesso del luogo stesso, dei suoi utilizzi e dei suoi costumi. Così a proposito di costumi, tra il 2001 e il 2009 Pope.L si è travestito da Superman – tuta blu imbottita, mantello rosso e uno skateboard sulla schiena – per la sua crawl performance The Great White Way. Ogni stereotipo deve essere decostruito a partire anche dalla sua messa-in-ridicolo. Il super eroe bianco, la whiteness machista, l’eroe white collar creato subito dopo la grande depressione (il primo fumetto è del 1933) per risollevare il morale della classe media. L’eroe anti-abilista – considerando che Christopher Reeve uno dei Superman più celebri rimase paralizzato dopo una caduta da cavallo – che sfida i preconcetti non ponendosi su di un piedistallo, o assurgendo per l’appunto a una posizione eroica, ma dal suo esatto contrario. A terra, per terra, schiacciato al suolo così come Georges Bataille descriveva l’informe «l’informe non ha diritti suoi in nessun senso e si fa schiacciare dappertutto come un ragno o un verme di terra» [G. Bataille, Documents, Dedalo, Bari, 1974, p.36.]

Foto da Flickr

L’anti-posizione eroica, l’anti-posizione: la postura.

La seconda operazione è quella grazie alla quale ho conosciuto il lavoro di Pope.L e quindi quella alla quale, in questo momento di perdita, attribuisco un ruolo generativo. Stavo preparando una lezione sul fallimento della città di Detroit, sul suo razzismo e sulle sue macerie quando mi sono imbattuto nell’operazione Flint Water Project del 2017, un’operazione tanto meta-artistica quanto socialmente impegnata nonché assurdamente ironica.

Pope.L è intervenuto su una delle questioni più scottanti negli ultimi anni di politica americana, vale a dire l’inquinamento dell’acqua di Flint (Michigan) un vero e proprio caso di environmental justice nonché di vero e proprio razzismo ambientale. Il caso rientrava nella più ampia questione della bancarotta delle città di Detroit che, tra le altre cose, portò al cambio di approvvigionamento delle acque nella contea di Geenese di cui Flint è capoluogo. In questo cambio di fonte idrica non vennero applicati i cosiddetti inibitori di corrosione all’acqua, il che portò al rilascio di piombo dalle tubature invecchiate, esponendo circa 100.000 residenti a livelli elevati di piombo, legionella ed escherichia coli. Nei successivi due anni venne dichiarato lo stato d’emergenza per l’intera contea e studi governativi hanno rilevato che tra i 6.000 e i 12.000 bambini sono stati esposti ad acqua potabile con elevati livelli di piombo. La maggior parte della popolazione afflitta dell’inquinamento dell’acqua era, logicamente, nera. Così nel 2017, chiamato dalla galleria What Pipeline di Detroit, Pope.L decise, ovviamente mi verrebbe da dire, di installarvi un negozio di acqua “minerale”. Lo spazio della galleria non solo divenne un temporary shop ma anche un luogo di formazione e incontro per discutere sulla crisi idrica che colpiva la città e le sue conseguenze e implicazioni da un punto di vista sociale e politico. L’acqua di Flint venne cosi imbottigliata in bottiglie firmate e dalla grafica accattivante, a loro volta inserite in scatoloni di cartone come versione politica delle Brillo Boxes di Warhol. Tra il settembre 2017 e il gennaio 2018 il progetto ha raccolto $30,000 che sono stati donati ad associazioni come United Way of Genesee County e Hydrate Detroit. Tra queste due azioni descritte ci sarebbero altri momenti, letture, interventi, performance come eRacism o The Black Factory che hanno davvero contribuito a scrivere delle pagine fondamentali dell’anti-estetica o dell’estetica iconoclasta nera. Tuttavia, in un momento come questo, rischierebbero di diventare materiale da elegia per la celebrazione di un mito. Ma Pope.L non ha nulla di mitologico e, anche se in un futuro lo dovesse diventare, anche se qualcuno lo dovesse feticizzare, divorare e risputare, lui sarebbe in grado di conservare tutte le sue ossa.

Exhilarating but scary. Esilarante ma non troppo

Pope.L   aveva coniato uno slogan, uno statement personale per definirsi come artista, ovvero, “The Friendliest Black Artist in America” (L’artista nero più amichevole in America) e già da questo si può capire il doppio binario della sua pratica. Alcuni parlano di black humor ­– che in questa accezione anglofona avrebbe a sua volta una doppia accezione umoristica – ma si potrebbe parlare anche di umorismo della blackness o sulla blackness, ovvero, la nerezza il fulcro principale di tutto il suo essere. Il non-essere altrimenti. Come cercherò di articolare in queste ultime righe, con Pope.L non si può parale né di simbolo né di posizione, al massimo di postura. La nerezza, come ogni oggetto discorsivo, non viene mai presa o data per scontata soprattutto se questo significa portarla a una feticizzazione ed esporla nuovamente ad un processo di cooptazione. La nerezza è opposta alla bianchezza (whitness) non come scontro ma come riposizionamento proprio per uscire dalle categorie che la bianchezza impone anche al discorso nero. Del resto, come scrive anche la poetessa e attivista Audre Lorde, «The Master’s Tools Will Never Dismantle the Master’s House».

La pratica di Pope.L  è stata, e sarà, un continuo atto di scetticismo fisico fatto con strumenti altri.

In un’intervista del 2015 la studiosa Rizvana Bradley, autrice del recente testo Anteaesthetics Black Aesthesis and the Critique of Form (2023), chiese a Pope.L come il sospetto (suspicion) di cui spesso parlava si fosse esteso e avesse informato la sua pratica artistica fino a oggi. Pope.L rispose: «My undergraduate philosophy teacher once said its usually the things we take for granted or hold as a matter of course or first principle or unstated implied premise – it is these things with which we should be most critical. So – do I still maintain that position? Yes. How has this “suspicion” informed my practice? Hmm. Well, I think it has made me realize, over time, that it is very likely that I am not the most important node in my practice.” [Intervista completa]

Il sospetto, come scetticismo critico, ha fatto sì che Pope.L si mettesse in dubbio come soggetto stesso della sua pratica. Il dubbio che lui non fosse il centro della sua pratica, che il mezzo non fosse il messaggio, che il messaggio fosse altro dalla sua emittente, che il messaggio continuasse anche senza di noi. Molto dell’opera di Pope.L potrebbe essere definito come iconoclastia o afropessimismo, come rifiuto del visuale – e della visualizzazione simbolica – nei termini di mitizzazione e conseguente feticizzazione. Iconoclasta nella visione fanoniana dell’uomo nero come non-uomo e quindi non rappresentabile con le categorie bianche della rappresentazione corrente. Iconoclasta/performer nel senso di quella performatività nera espressa da Fred Moten o bell hooks, una doppiezza che lo sguardo colonizzatore ha imposto e che solo nella privatezza (sia nel senso di privacy che di privazione) della casa trova la sua vera essenza. Nel suo non-essere simbolo, o per meglio dire simboleggiabile, maneggiabile come uno strumento di culto che viene usato durante un rituale.

Performare il nero che il bianco può tollerare, da qui il suo slogan “The Friendliest Black Artist in America”, per evitare che diventi icona del suo (bianco) mondo. Strisciare per non essere “affascinanti” per non piacere, per non lasciarsi comprare o innalzare a simbolo. Attraversare la città, il concetto stesso di cosa sia effettivamente pubblico – in una nazione endemicamente razzista – con il ventre a terra, senza statue alla memoria o monumenti equestri.  Tutto nega tutto, tutto deve negare ogni cosa di quel mondo il cui presupposto razzista, classista, elitario, abilista e costantemente divisorio, non può rappresentare. Se dunque non c’è soggetto – sia perché non riconosciuto da altri, sia perché non lasciato riconoscere in termini di possesso da noi a loro – non può esserci rappresentazione.

Ed in questo Pope.L, come a mio avviso anche David Hammons, ha fatto scuola – nel senso di forma di educazione – all’interno di un mondo fatto solo di rappresentazioni e simboli.

Grazie Pope.L, ti ho conosciuto troppo tardi per non continuare ad amarti.

Immagine di copertina da Flickr