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Uno sguardo laterale su Kurt Cobain

Si può leggere la biografia e la produzione culturale di Kurt Cobain da un’angolatura anti-machista e queer?

Bisogna ritagliarsi piccoli spazi per uscire dalle narrazioni principali che prendono il sopravvento nei media e diventano a loro modo storiche. Non si tratta del vero e del falso, ovviamente: tutto vero, Kurt Cobain ebbe un problema con l’eroina, era una rock-star anomala ma pur sempre una rock-star, si suicidò. Di lì a renderlo vittima sacrificale del rock’n’roll, o artista depresso e drogato, il passo è breve. Ma basterebbe aver letto qualche biografia ufficiale per capire che esistono aspetti del personaggio molto più interessanti da discutere, rispetto a cose rimasticate per anni e valide per una vasta gamma di star riprodotte in serie. Ci sono altre cose per cui vale la pena parlare ancora di Kurt Cobain? Secondo noi sì e si tratta, come in molti altri casi, di quelle linee di racconto che sono rimaste spezzate o si sono perse negli anni. Una è quella dello spiccato anti-sessismo del leader dei Nirvana.

ADOLESCENZA E BULLISMO

Dalle biografie estraiamo un tratto particolare che ci permette di seguire la nostra linea: quella del bullismo di cui era vittima l’adolescente Cobain a scuola. Una cosa normale per chi frequenta istituti di periferia e ha un carattere non proprio uniformato alla norma. A leggere le biografie non si tratta, per la verità, di nulla in particolare (per quanto queste assumano sempre ex post un carattere di predestinazione quando si tratta di personaggi di un certo calibro), se non che – e questo ci interessa – tra le vessazioni che era costretto a subire si ritrovava spesso apostrofato come “gay”, ovviamente in senso dispregiativo. Curiosamente, la presa in giro era dovuta alla sua frequentazione con un ragazzo molto più introverso e preso di mira rispetto a lui. La reazione di Kurt fu però diversa da quella che avrebbero avuto la maggior parte degli adolescenti: invece di cambiare le sue frequentazioni, rivendicò la posizione che gli era stata affibbiata, travestendosi da donna per provocazione o scrivendo «God is gay» e «homosex rules» sui muri della città, atto per il quale fu anche fermato dalla polizia.

L’evoluzione della personalità di Kurt in senso queer ebbe dunque un inizio inverso, cioè proveniente dalla necessità di proteggersi da un attacco esterno, piuttosto che da quella di esprimere al meglio la propria sensibilità. Un’identità che va costituendosi per opposizione. La parola “gay” da quel momento diverrà quasi un’ossessione nella carriera da rock-star di Cobain, che la inserirà spesso sarcasticamente nei versi di alcune canzoni: «God is gay» in Stay Away o «What else should I say? Everyone is gay» in All Apologies. Quest’ultima canzone è quasi certamente auto-ironica, riferita al fatto che, nella posizione in cui si trova, potrebbe mettere insieme un qualsiasi cumulo di parole perché esse vengano automaticamente percepite come geniali, di modo che ognuna di esse perderebbe il proprio senso: anche affermare che «Dio è Gay» o che «tutti sono gay» diverrebbe dunque un mero prodotto dell’industria culturale, ritorcendo su se stessa l’affermazione di un’identità oppositiva. Di questo Kurt era talmente cosciente che lo fece di proposito. Ma andiamo con ordine. Lo stesso Kurt, nei propri diari pubblicati anni dopo la sua morte, scrisse appunto che non si era mai considerato come “gay”, o che comunque gli risultava difficile acquisire un’identità sessuale precisa (diremmo appunto che poteva rientrare nel campo queer), ma di certo amava proclamarsi tale per combattere l’omofobia e il pregiudizio diffuso dalla religione cattolica. Due aspetti al tempo stesso concordanti e contraddittori: da un lato l’affermazione della libertà di una soggettività in divenire, dall’altro la (op)posizione di un’identità resistente. Per ritornare alla musica, alcune canzoni del primo album “Bleach” sono una critica della piccola realtà di provincia nella quale è cresciuto (a un’ora da Olympia, la città più vicina e a due ore dal centro culturale Seattle) a partire dallo sguardo sessista della propria famiglia.

CONTRO IL “MACHISMO”: L’ODIO PER I GUNS N’ROSES

La sensibilità di Cobain verso il tema dell’omofobia e del sessismo crebbe sempre di più e travalicò il lato artistico e personale, per sfociare in antagonismo politico. Non tardò a definire in diverse occasioni i Guns n’Roses un gruppo fascista, razzista e omofobo: a dargli una certa ragione sono gli stessi testi di Axl Rose, anche se va soppesato il ruolo aggressivo che le rock star rappresentano nel mondo giovanile. Certo, i Nirvana provenivano da un altro background culturale e Kurt non mancò di manifestare in alcune interviste e negli stessi diari il suo essere colto, anche se è difficile capire lo sviluppo attraverso cui ricevette un retroterra culturale ateo, femminista e di sinistra. In questo senso va segnalata certamente la frequentazione di Kurt, per un certo periodo, con Kathleen Hanna, fondatrice del gruppo punk femminista Bikini Kill (e del movimento riot grrrl che le ha seguite): a lei si deve ad esempio, per via di una scritta nella stanza di Cobain, il titolo di Smells like teen spirit. A proposito di questo va certamente ricordata la dedica a Frances Farmer. La storia dell’attrice è celebre ed è tuttora al centro di controversie legate alla veridicità di ciò che è stato raccontato di lei a posteriori, non meno che quella dello stesso Kurt. Questo fu il motivo per cui Cobain (e sua moglie Courtney Love, visto che in sua memoria chiamarono la figlia Frances) solidarizzò con lei. Una donna la cui vita, fin da giovanissima, fu caratterizzata dal parlare di altri per voce sua. Sua madre, fervente anti-comunista, disse ai giornali di disapprovare fortemente il viaggio della figlia appena 21enne in Unione Sovietica, grazie a una borsa di studio vinta per il Teatro di Mosca. La figlia, atea e, per opposizione, comunista, fu costretta, a quell’età, a rispondere alla madre sui giornali di Seattle che ciò che le interessava era diventare un’attrice. Se vogliamo paragonarlo a un episodio attuale, la continua ricerca da parte dei media del padre del giovane attaccante della Juventus Moise Kean, con il quale non ha più alcun rapporto da 7 anni, per sbattere in faccia al figlio il colore della sua pelle. O, per tornare poco più indietro, il padre violento che segnò l’infanzia dei fratelli Gallagher ingaggiato dai tabloid per comparire a una conferenza stampa degli Oasis e scatenare una rissa. Una rottura che, forse, influì sui successivi problemi psicologici di Frances Farmer che, trent’anni prima della ribellione generazionale, girava il mondo da sola, sotto attacco mediatico, nel tentativo di affermare se stessa e non ciò che avrebbero voluto di lei. «She’ll come back as fire, to burn all the liars, And leave a blanket of ash on the ground»: perché neanche da morta la lasciarono in pace.

Ai Guns n’Roses, del resto, è facile imputare l’utilizzo di un’estetica machista e l’allusione a clichés che sono facilmente annoverabili tra le manifestazioni del potere nella sua forma conservativa. Axl Rose, al contrario, era un grande fan dei Nirvana (forse attratto da quel ribellismo che però era in qualche modo ancora incontaminato), tanto da chiedere al gruppo di fare da spalla ai Guns per la nuova tournée. Cobain – che solo pochi mesi prima si era detto onorato di aprire i concerti per i Sonic Youth – rispose ovviamente picche, perché non avrebbe mai diviso il palco con un fascista: l’adesivo «Vandalism: beautiful as rock in a cop’s face» che aveva sulla chitarra è infatti un riferimento (rivisitato dall’animo punk-anarchico di Kurt) allo storico cantautore comunista americano Woody Guthrie, che sulla sua chitarra posizionò il noto «This machine kills fascists». Come vedete, un background culturale opposto.

Axl, al quale Cobain cominciò a dare sui nervi, dichiarò allora ai giornali che Kurt e Courtney Love erano una

coppia di drogati, alla quale avrebbero dovuto togliere la tutela della figlia: detto fatto. Così – e arriviamo all’apice dell’odio – agli Mtv Music Awards (quelli in cui i Nirvana attaccarono le prime note di Rape Me, note che, per questioni di censura, non avrebbero potuto suonare), Courtney rivolse una battuta provocatoria ad Axl nei camerini, invitandolo a fare da padrino alla loro bambina. La risposta di Axl Rose non fece altro che confermare le idee di Cobain: «Dì alla tua puttana di tacere o ti ammazzo». Il diverbio continuò finché Duff McKagan cercò di circondare Krist Novoselic con le sue guardie del corpo per farlo picchiare, ma se ne andò dopo che il bassista dei Nirvana (un gigante di due metri) lo invitò a risolvere le cose faccia a faccia. Duff McKagan chiese scusa anni dopo.

VIOLENZA, CONTRO-VIOLENZA E… RAPE ME

Non è dunque un femminismo (se possiamo usare questa parola) non-violento quello di Kurt Cobain, perché il suo sarcasmo e l’aggressività dell’immagine dei Nirvana sono comunque volutamente provocatori: possiamo infatti collocarli nell’alveo della contro-violenza, se usiamo questo termine come lo usava Sartre quando la opponeva alla violenza sistemica: potremmo dire che proprio di quest’ultima i Nirvana accusavano i Guns n’Roses. Kurt Cobain e i Nirvana vengono comunque dal mondo del punk, dell’underground, della ribellione. Sarebbe troppo facile definire i Nirvana dei “rivoluzionari” limitandosi a citare Smells Like Teen Spirit («load up on guns, bring your friends»): è pieno il mondo della musica di pop-star che evocano Satana o la rivolta sul palco e poi difendono le forze dell’ordine o la famiglia davanti alle telecamere, magari facendo da costoso sponsor a qualche programma di governo (in qualche modo palesando in maniera diretta il timore per l’industria culturale che Horkheimer e Adorno preconizzavano nella Dialettica dell’illuminismo). Nei diari di Cobain si rintracciano però facilmente frasi di matrice rivoluzionaria classica («i detriti di rivoluzione bruceranno sul pavimento di Wall Street»), non certo idee riformiste.

Tuttavia, si avverte anche la sensibilità di un uomo che fa sue certe cause perché le ha avvertite nel corso della propria esistenza come immediatamente personali. Nelle note di copertina di Incesticide si invitano sessisti, razzisti e omofobi a non comprare i dischi dei Nirvana. Krist Novoselic, di origine croata, fu da sempre il più intimo amico di Kurt Cobain, a lui si devono molte delle influenze musicali dei Nirvana. Si impegnò per le vittime di abusi sessuali in Bosnia-Erzegovina dopo lo scoppio della guerra e organizzò un concerto dei Nirvana, i cui ricavi vennero interamente destinati a quelle donne. Kurt Cobain diede sempre il suo appoggio artistico a questo tipo di iniziative. Rape Me fu l’apice di questo processo di liberazione violenta contro l’oppressore sessuale: inizialmente mal interpretata, la canzone è direttamente e senza mezzi termini una condanna dello stupro e in qualche modo un’apologia della vendetta. Ma il sarcasmo che rende il testo estremamente provocatorio valse le furiose proteste della parte più agguerrita del conservatorismo americano.

C’è poi una canzone con cui bisognerebbe ricordare Kurt Cobain più di tutte le altre: Sappy, che non finì su nessun album a causa del maniacale perfezionismo del front-man. Fu registrata durante le sessioni di In Utero con il titolo Verse Chorus Verse e doveva dare addirittura il titolo al disco, salvo poi uscire dalla tracklist. Tra le molteplici allusioni del testo (l’asservimento alla religione e al potere), notiamo anche i tentativi canonici di una donna di soddisfare le esigenze del marito, salvo poi ritrovarsi umiliata nella gabbia di un matrimonio patriarcale: «He’ll keep you in a jar and you’ll think you’re happy now you’re in a laundry room».

Dunque: solo una delle tante rock-star spezzate dalla droga o c’è anche un modo diverso di raccontare la storia di Kurt Cobain e dei Nirvana?

«Never met a wise man, if so it’s a woman» Territorial Pissings