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Sui “Fratelli Michelangelo”
Nell’ultimo libro di Vanni Santoni, “I fratelli Michelangelo” (Mondadori), quattro fratelli accorrono alla chiamata del padre forzando distanze geografiche e umorali.
E allora proviamoci a raccontare le gesta di questi fratelli che affrontano il mondo iperconnesso all’epoca della crisi dei subprime e tentano la loro strada. Hanno qualcosa da dire da manipolare da strutturare. Novelli Crusoe escono dall’anonimato per intraprendere, un progettarsi continuo diventato per alcuni quasi estenuante, il metodo diventato ormai scopo, il costante saltello degli inuit sui blocchi di ghiaccio della precarietà planetaria, lo sbattimento continuo.
L’orizzonte geografico dei protagonisti si muove su due livelli: quello internazionale che apre al pianeta e velocizza le connessioni, immerso nel tempo economico e votato alla competizione; l’altro, che si “placa” nella dimora dove convengono i richiamati, un alter-luogo in cui la fusione a freddo dei componenti familiari si mostra in tutta la sua complessità. Se nel mondo globale le smanie di cambiamento fanno a botte con rivalità e alto rischio di esclusione dai giri che contano, al Saltino di Vallombrosa si assiste al ritrarsi di questo continuo errare e il movimento assume differenti andature e connotazioni al cospetto della figura che ha chiamato a sé i figli per una ragione imperscrutabile. Il microcosmo di una Toscana un po’ fuori dai suoi canoni architettonico-paesaggistici viene presentato dall’autore attraverso una natura che offre molto ai sensi, permette di toccare con mano quei venticelli serotini che accompagnano le passeggiate dei protagonisti, i profumi della natura in festa, e allo stesso tempo accoglie e introduce all’incertezza che aleggia sull’appuntamento, sugli anni andati e le loro conseguenze, una Toscana più gotica che da cartolina, scenario perfetto dove far precipitare le geografie e le storie dei convenuti.
Nel tentativo di viversi quel microcosmo sta l’irrequieta zona cuscinetto tra le due dimensioni geografico/esistenziali. La generazione dei viaggiatori del globo infatti, ha di fronte e in parte contiene, la Provincia, qui intesa come dimensione geografico-esistenziale.
Dove lo scenario è immerso nell’apparente serenità del Saltino, sembra che siano proprio i convenuti, e non il padre, ad essere arrivati là a fare (de)i conti. Vallombrosa diventa progressivamente un contraltare interiore dove giungono le varie inquietudini di chi vive all’estero: l’innesco è determinato da Antonio Michelangelo, anziano personaggio più evocato che immerso nell’azione, di cui si raccontano le gesta artistiche e professionali d’un tempo, figura che affiora e scompare nello specchio, e fantasma a sua volta evocatore di ogni bilancio dell’eterna relazione col padre. Tutti i fratelli si rapportano al passato ingombrante e al presente imperscrutabile di quest’uomo e, data l’ermeticità della lettera che li ha convocati, ciascuno di loro sta fluttuando tra ipotetici schemi futuri che affollano i pensieri. E se Santoni in tale bilancio ha tenuto a bada la tradizionale freccia scagliata verso la generazione dei padri, accusa che pur avendo non poche ragioni risulta essere infertile, nei Fratelli Michelangelo risuona più volte, come sottotraccia quel mai troppo rimpianto richiamo di Wallace alle giovani generazioni sul «tornare a essere genitori».
Ne consegue che l’intensa progettualità di se stessi è l’unico parto possibile per umani autocentrati, poco inclini a coabitare nuclei stabili; rappresenta una dinamica talmente vorace da generare ecosistemi insicuri, nelle epiche da grandeur dei consessi commerciali internazionali che si sgretolano strada facendo come nella ricerca artistica che non riesce ad approdare, che sta ai margini e desidera, che si fa coraggio, cambia e non approda.
C’è un lumicino fioco e intermittente in lontananza, qualcosa che inizia ad allontanarsi dall’oggetto e dalla ricerca di un oggetto/senso materiale, una ricerca più improntata al filosofico/trascendente, senza centri esistenziali da conquistare o proteggere né olimpiadi del protagonismo a cui partecipare. È una luce appena accennata, deve farsi largo illuminando a stento le macerie familiari da cui spesso viene oscurata, ma nel suo emergere denota una scelta di parte. Qualcuno prova a non farsi impigliare nella tela: il faticoso percorso verso il Nulla sperimentato più volte nelle peripezie dei giovani protagonisti emerge come via tortuosa verso una comprensione diversa del proprio posto nel mondo; la scelta del mantenere una certa distanza dagli eventi – dimensione permessa realmente solo a uno dei fratelli – come riappropriazione forse più solitaria ma che non interferisce con violenza nel già impossibile equilibrio tra le forze dei Michelangelo in campo. Sono attimi di pura sospensione, sono break nel flusso inebriante della prosa, la prevalenza di un’apparente quiete sulla cascata di conflitti che governano questo romanzo familiare.
Santoni ci sta dicendo qualcosa a proposito dell’affermazione di sé e della sua ricerca spasmodica, e di come questa legittima aspirazione sia, forse, il vero corredo paterno ereditato in forme molto diverse dai fratelli. Tuttavia, oltre al fatto che la smania “novecentesca” di Antonio Michelangelo è avvenuta in condizioni socio-politiche inimmaginabili nel periodo storico in cui si sviluppa il romanzo e quindi è inconfrontabile con quella dei figli, è un’affannosa futilità l’immagine che sul lungo termine promana dal nomadismo delle loro esistenze. Nomadismo che la cultura postmoderna aveva sacralizzato come essenza effettiva dell’uomo contemporaneo, istituendo oltretutto una netta e ironica distanza da un mondo che aveva perso i suoi centri ideologici. Se però il nomadismo è eterodiretto dal violento gioco della competizione, locale o globale che sia, di endorfine se ne producono davvero poche e l’inquietudine supera di molte lunghezze i rari istanti di felicità.
Il passaggio all’indietro dal mondo globalizzato verso il Saltino è cruciale. Lo è come tema letterario, contribuendo a quella letteratura che indaga la “fuga” ma prova ad affrontarla con un temporaneo ritorno a casa e tutto il carico di bilanci che ne consegue. Lo è dal punto di vista psicologico, perché lo smarrimento dovuto al continuo saltellare sui lastroni di ghiaccio e l’adattamento della psiche umana alla forte instabilità non viaggiano alla stessa velocità, creando i presupposti per aspettative deluse e autocritiche castranti. Lo è da quello politico, perché il sogno neoliberale, che auspicava la fine della società e la persistenza dei soli individui con le loro aspirazioni, mostra il suo castello di carte che si regge su persone ben lontane da appagamento e serenità.
Sarebbe stato una total gothic novel se, nei confronti dei protagonisti, lo sguardo dell’autore verso le peripezie, i successi raggiunti e i crolli più spettacolari non fosse stato benevolo, colmo di flussi di coscienza o dialoghi che attingono da un arsenale di ironia e comicità di spettro largo, dove enormità e stravaganze camminano a braccetto con il racconto delle quotidianità più minute e insomma avviene un incantesimo, perché l’orizzonte tragico delineato fin qui viene piacevolmente fatto a pezzi da questa benevolenza della scrittura, che non giudica e dunque non condanna, semmai accompagna con una diffusa empatia i percorsi dei fratelli. Per farle spazio c’era bisogno di mettere nell’angolo un po’ di cinismo a buon mercato e anche in questo pare che l’autore si sia impegnato. Perché il tocco leggero con cui Santoni plasma il disastro di alcune storie e produce un’ampia quantità di fulminazioni che portano spesso al (sor)riso nella lunga esposizione dei Fratelli Michelangelo, non riduce di un millimetro l’apprensione e la dimensione ansiogena emanata dalle vicende e il disastro assume, se osservato a debita distanza, un carattere ancor più devastante.
Se il mondo che scompare lascia pochi appigli disgregati e malfunzionanti, quello che si insedia appare restio a scrollarsi di dosso l’intraprendenza competitiva che si è radicata al tempo dei padri e si è resa legge sociale totalizzante in quello attuale. Per adesso non c’è via di fuga.