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Il suggeritore, ovvero il fantasma del palcoscenico

Mentre lentamente la scena teatrale italiana inizia a riaprire con alcuni spettacoli dopo la pausa per il Covid-19, proponiamo una riflessione su uno degli spettacoli più interessanti dell’ultima stagione. In Sopro Tiago Rodrigues mostra un teatro ormai in rovina, abbandonato, abitato da fantasmi e invaso da una natura selvaggia. Nonostante ciò, una persona è rimasta: la suggeritrice, che custode della memoria del teatro da una buca o da dietro le quinte, soffia vita sul palco

Con aria contemplativa, con un libretto in mano, il grande attore polacco Josef Tura attraversa il palcoscenico avvicinandosi al proscenio. È sul punto di declamare uno dei versi più celebri di tutti i tempi, l’inizio del monologo di Amleto, e il suggeritore prontamente gli bisbiglia la battuta: “Essere o non essere”. È una scena grottesca del capolavoro Vogliamo vivere! (in originale To Be or Not to Be) del grande Ernst Lubitsch, che ci riporta a una figura teatrale ormai scomparsa, quella del suggeritore che, alloggiato nell’apposita buca nel sottopalco, rammentava le battute agli attori con improvvise amnesie. Una figura diffusa a partire dal XVII secolo e ora quasi del tutto scomparsa. Forse perché il teatro di parola non è più preponderante sui palcoscenici. Forse perché l’arte della recitazione dopo il metodo prevede la capacità di saper gestire in scena, improvvisando e addirittura valorizzando, gli imprevisti. Ma nella vecchia Lisbona del fado, carica di saudade, tra gli antichi mestieri sopravvive l’ultima suggeritrice. Si tratta di Cristina Vidal, un pezzo di storia del Teatro Nacional D. Maria II della capitale portoghese. Su di lei Tiago Rodrigues, tra i protagonisti della nuova scena europea, nonché direttore proprio dello storico teatro lisbonese, ha costruito il suo ultimo spettacolo. Sopro, che è stato presentato per la prima volta al Festival di Avignone del 2017 e che quest’anno è stato presentato al Triennale Teatro di Milano nell’ambito di un omaggio dedicato all’autore. Sopro è parte di un percorso del regista volto alla decostruzione del teatro e del suo linguaggio.

 

 

L’ingresso di Cristina Vidal è del tutto opposto a quello solenne di un attore come quello del lubitschano Josef Tura descritto sopra. La sua presenza scenica è come annullata, privata di enfasi, di ogni qualsivoglia attrattiva teatrale. Una donna anziana con i vestiti dimessi, una tuta nera con le tasche piene di biro, come fossero delle chiavi inglesi di un idraulico che aggiusta le tubature, un tecnico che svolge il suo lavoro di routine. La suggeritrice presiederà ogni secondo dello spettacolo Sopro, con il suo copione in mano, come una burattinaia che controlla e manovra lo svolgimento dello spettacolo, rimanendo però, per la prima volta della sua lunghissima carriera, iniziata il 14 febbraio 1978, completamente visibile sul palcoscenico e non più occultata. Come un’ombra che manovra, come i servi di scena incappucciati del teatro kabuki, come un fantasma del palcoscenico che si svela per la prima volta, come un’entità che conferisce il soffio vitale ai personaggi del teatro.

 

 

Sopro è ambientato in un vecchio teatro abbandonato e in rovina, invaso dalle erbacce, un’immagine decadente riprodotta però in una scenografia stilizzata con sedie, poltrone e piante d’appartamento, come un asettico spazio da ufficio. Uno spazio dove vengono rappresentate storie di teatro, del repertorio di vita di Cristina Vidal, pezzi di spettacoli, e non solo. «Voglio costruire una drammaturgia su di te» dice un personaggio che è evidentemente il regista a una giovane attrice che in quel momento interpreta Cristina. Il tutto sempre sotto l’attenta supervisione della vera suggeritrice. Messa in scena quindi la genesi stessa dello spettacolo che stiamo vedendo, dove Cristina è personaggio e demiurgo allo stesso tempo, in un gioco di specchi metalinguistico. La narrazione in scena è spesso in terza persona con effetto straniante. Vengono rievocati episodi della lunga carriera di Cristina. L’attrice malata di cancro la cui bara verrà costruita dal falegname del teatro, la regista innamorata di un attore che non riesce a imparare a memoria le battute, le schermaglie amorose in un attore e un’attrice che riproducono le battute dei loro personaggi, Tito e Berenice, l’attrice che viene a sapere della morte del fratello poco prima della prima. Evocati personaggi come Arpagone, da L’avaro di Molière, Banquo, del Macbeth, Firs, il vecchio maggiordomo de Il giardino dei ciliegi, Berenice, dall’omonima tragedia di Racine, Antigone. Il ruolo salvifico della suggeritrice è equiparato a quello di un bagnino, pronto a salvare l’attore in panne come il bagnante che sta per affogare. E Sopro termina, dopo vari finali, con un racconto toccante, quello dell’unica défaillance di una carriera quarantennale altrimenti impeccabile come quella di Cristina. Evocato un momento in cui lei si è distratta da quel copione che costituisce un’estensione del suo corpo, incantata dalla magia del teatro, divenendo per la prima volta spettatrice. Non riuscì in quel modo a evitare una dimenticanza e lo spettacolo venne interrotto chiudendo il sipario. Ora, al culmine di uno spettacolo dove si mostra questa figura, per definizione non mostrabile, le viene data anche la parola sul palcoscenico. E lei declama proprio quel brano che avrebbe dovuto suggerire all’attore per salvare lo spettacolo. Una volta fatto esce di scena come era entrata, come l’idraulico che ha appena aggiustato il tubo.

 

 

Il teatro di Tiago Rodrigues vuole contemplare quel carattere di imprevedibilità che è proprio del teatro, in un’epoca in cui si cerca la riproducibilità tecnica delle repliche teatrali. I teatri promettono spettacoli dalla durata predefinita, un’ora e quarantatre minuti deve durare lo spettacolo, come se fosse un film. Un’esigenza puramente commerciale a uso e consumo dello spettatore che deve prenotare il ristorante per il dopo spettacolo. Cosa che richiede meccanismi di controllo per l’uniformità della rappresentazione, di un qualcosa che invece si è sempre basata sulla variabilità: ogni replica può essere diversa dalle altre per mille motivi. Nel suo spettacolo storico By Heart, Rodrigues recluta un certo numero di spettatori chiedendo loro di imparare a memoria un sonetto di Shakespeare, creando così una rappresentazione imprevedibile e diversa, per definizione, ogni volta. E ancora si mette in scena la memoria come elemento più critico di labilità della rappresentazione teatrale. Ora con Sopro, attraverso la figura più rudimentale e obsoleta concepita proprio per il controllo della rappresentazione teatrale, Rodrigues mette in scena questa tensione stessa della performance teatrale, tra meccanicismo e imprevedibilità, in quell’anelito precinematografico alla riproducibilità perfetta della rappresentazione.

 

Le foto di scena dello spettacolo sono di Filipe Ferreira