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EUROPA

Spagna: i socialisti cercano di quadrare il cerchio per formare un nuovo governo

A tre mesi di distanza dalle elezioni dello scorso 27 luglio, per formare un governo Pedro Sánchez del PSOE, dovrà risolvere un complesso rompicapo: trovare il sostegno tra gli ex-soci di governo di Sumar e avere l’appoggio degli indipendentisti catalani di Junts

Più di ottanta giorni sono passati dalle elezioni politiche e del 27 luglio e in Spagna non è ancora chiaro se ci sarà un nuovo governo o se si tornerà a votare. In questi tre mesi di attesa, tutto quello a cui si è potuto assistere è stata una doppia sconfitta di Alberto Núñez Feijóo, leader del Partido Popular (PP). Nonostante essere il primo partito ed essere stato incaricato dal re Felipe di formare il governo, il popolare non ha trovato altri sostegni se non nel partito di estrema Destra Vox, non ottenendo i voti a sufficienza per venire eletto. Il turno è passato quindi a Pedro Sánchez, del Partito Socialista (PSOE), che dovrà risolvere un complesso rompicapo: trovare il sostegno tra gli ex-soci di governo di Sumar e avere l’appoggio degli indipendentisti catalani di Junts.

Un ritorno al bipartitismo imperfetto

Il risultato elettorale del 23 luglio scorso aveva mostrato chiaramente una Spagna che voleva tornare, in qualche modo, a quell’imperfetto bipartitismo PP-PSOE che era stato caratteristico dell’epoca democratica fino poco prima della pandemia. Vinceva il Partito Popolare, guidato da Alberto Nuñez Feijóo, ma solo con 136 seggi.

Subito dietro il PSOE di Sánchez con 122 seggi, seguito da Sumar, la nuova “piattaforma” politica della Vicepremier Yolanza Diaz, con 31 seggi. Crollava Vox arrivando a 33 seggi, contro ogni pronostico, perdendo così la capacità di essere quel sostegno necessario per un governo del PP (come già sta succedendo nei governi regionali del Pais Valencià, Baleari e Castilla y Leon).

Alla sinistra dell’emiciclo, lo scenario non era cosi roseo, considerando che i Socialisti, assieme all’ex-socio di governo Sumar, non sono comunque sufficienti per arrivare a una maggioranza, ma dovrebbero unirsi ai molti partiti indipendentisti catalani e baschi (come Esquerra Republicana de Catalunya, EH Bildu, Partido Nacional Vasco, fra gli altri).  E se le relazioni tra il socialisti e alcuni partiti indipendentisti sono buone, per altri non così tanto.

Gli scenari possibili

Anche se può sembrare uno scenario complesso, a ben vedere restano solo due soluzioni possibili. La prima è il ritorno alle elezioni. Nella difficoltà o non volontà di arrivare a un accordo sicuramente il PSOE ne uscirebbe beneficiato. Infatti, poche settimane fa, il Centro de Investigaciones Sociológicas (CIS) mostrava in uno dei suoi ultimi sondaggi un sorpasso in numero di seggi del PSOE al PP, se si tornasse a votare. Con questi numeri, Sánchez guadagnerebbe centralità e non dovrebbe negoziare con tutti i partiti indipendentisti, ma solo con quelli con cui ha più affinità.

L’altra soluzione, più complessa, sarebbe quella di raggiungere un accordo tra socialisti, progressisti di Sumar, e tutti gli altri indipendentisti, baschi e catalani. Per ora non c’è un accordo esplicito e la differenza principale è data dalle non ottime relazioni tra i socialisti e gli indipendentisti catalani di Junts. Una tensione che risale al 2017, durante il processo indipendentista catalano, che per alcuni ancora non è concluso. Basti pensare che l’ex- presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, nonché  uno dei leader di Junts,  si trova ancora in esilio in Belgio.

Per risolvere queste tensioni si parla di un accordo: l’amnistia. Annullare cosi le condanne e i processi penali in corso che hanno colpito i leader politici indipendentisti, ma anche i più di 1000 attivisti che negli ultimi anni sono stati condannati per azioni in solidarietà alla causa catalana. Ma alcune correnti storiche del PSOE, estremamente nazionaliste, non vedono di buon occhio: l’insulto fatto alla nazione non può essere comunque tollerato.

E come se non bastasse, questo scenario apre a una alternativa ancora più perversa. Nel caso in cui Sánchez arrivasse a un accordo con gli indipendentisti, potrebbe smettere di negoziare con Sumar. Forzando cosi Diaz ad accettare qualunque condizione, pur di non riportare il paese alle urne (e venire responsabilizzata della instabilità del paese, con tutte le conseguenze elettorali che può comportare).

In queste settimane di negoziazioni basti pensare alle prime dichiarazioni pronunciate dalla vicepresidente Yolanda Diaz, nel momento in cui Sánchez veniva designato come nuovo candidato: «siamo molto lontani dall’accordo con il PSOE», aveva affermato, spiazzando tutti i giornalisti che davano una alleanza PSOE-Sumar quasi per scontata. Per l’analista del giornale “El Salto” Pablo Elorduy «Sumar è arrivato un po’ in ritardo per chiedere il suo compenso e per mettere le sue condizioni sul tavolo». Ma non solo «l’affermazione può voler dire solo dure cose: o Sumar sta guardando più ai suoi interessi e non vede granché sul tavolo delle negoziazioni del PSOE; oppure c’è già la consapevolezza che si ritorna a votare e riinizia la campagna elettorale».

Sumar tra tensioni interne e contraddizioni sull’amnistia

Perché infatti dentro Sumar, molte sono ancora le tensioni interne proprio per la propria struttura. I rappresentanti eletti vengon infatti da una lista che unisce due soggetti politici: Podemos e Sumar. Ma proprio questa lista guidata da Yolanda Diaz, viene da un processo di scissione interna di Podemos, che già aveva mostrato un complesso logorio nella ultima decada: dalle prime rotture tra Iglesias ed Errejón nel 2016, alla centralizzazione del partito e la poca utilità delle piattaforme cittadine partecipative, fino a poi l’abbandono del leader Pablo Iglesias nel 2021, dopo il primo governo di coalizione. Diaz, che era stata dentro Podemos, proprio in quel 2021 aveva iniziato a preparare un nuovo «Progetto di paese», che poi aveva portato alla nascita di Sumar. Un nuovo soggetto politico leggermente a destra di Podemos e centrato nella sua persona. Proprio per questo, per candidarsi assieme in una unica lista con gli ex compagni di partito, ci sono state riunioni interminabili, veti incrociati e una mancanza di trasparenza profonda (senza neppure una primaria) che in parte ha lasciato ferite profonde dei militanti e l’elettorato.

Queste tensioni, tra l’organizzativo e il politico, sfociano anche nelle nuove proposte per arrivare a un accordo. Per Sumar, infatti, l’amnistia non solo sarebbe per gli attivisti e leader catalani, ma anche per gli agenti di polizia che son stati processati per torture, abusi e aggressioni. Senza contare poi un profondo revival di proposte sui diritti civili già presenti nel passato accordo del governo di coalizione che non sono andare in porto (come l’abolizione della legge bavaglio contro le libertà di protesta o un blocco di tutti gli affitti).

Mancano ancora molti giorni fino al 27 novembre, data limite in cui Sánchez dovrà presentarsi per ottenere sostegno al suo governo. Vedremo come continueranno le negoziazioni e se si svilupperà un nuovo fronte ampio di sostegno al socialismo spagnolo.

Immagine di copertina di Openverse