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Sollevarsi per cosa? Su contingenza e strategia in Michel Foucault

Riceviamo e pubblichiamo un ulteriore contributo al dibattito sull’eredità foucaultiana, che dialoga con l’articolo di Valentina Antoniol

Il bell’articolo dedicato da Valentina Antoniol ai novant’anni di Michel Foucault, purtroppo solo virtuali, mette a fuoco con precisa sintesi i punti cardinali che il pensiero critico contemporaneo ha prevalentemente recepito all’interno della, complessa e stratificata, biografia intellettuale del filosofo di Poitiers.

Due sono sostanzialmente gli assi in cui si articola tale ricezione, inevitabilmente preferenziale, l’uno sincronico, l’altro diacronico: da un lato un’idea di un potere inteso come sempre dato nella forma di un rapporto tra forze antagonistiche, dall’altro una concezione del lavoro storico e teorico, si potrebbe dire del ruolo dell’intellettuale, come essenzialmente impegnato in un’opera di descrizione dei limiti del presente, delle condizioni che lo rendono contingente. Foucault insegna insomma come per una volta, rispetto a molte tendenze del discorso pubblico egemone, ad essere precarie siano le forme dell’assoggettamento piuttosto che le vite degli assoggettati, e quanto le relazioni di potere nelle quali siamo inscritti risultino fragili e reversibili.

Eredità capitale, il cui peso e la cui influenza non possono però nascondere alcuni prezzi che questa concezione della politica paga al raggiungimento delle importanti conclusioni che Antoniol mette in luce. Ogni teoria ben formata e intellettualmente onesta, come ha insegnato tra gli altri proprio Foucault, è composta di inclusioni ed esclusioni: risponde ad alcune domande ignorandone altre. Siamo certi che le nostre domande siano ancora quelle a cui la ricerca genealogica di Foucault si proponeva di rispondere?

Prima questione, il potere come rapporto di forza, la politica come conflitto. Ma quale conflitto, e quale forma della relazione? L’avvicinamento tra politica e guerra, nella descrizione dell’antagonismo sociale, che Foucault ha proposto attorno alla metà degli anni ’70 rinnovando una grande tradizione (da Clausewitz a Schmitt ma, più ampiamente, da Machiavelli a Mao), ha permesso di rilevare il carattere “aperto” e inesausto della lotta tra fazioni perdendo però per strada un aspetto qualificante del conflitto sociale: l’irriducibile eterogeneità, della forza ma anche degli obiettivi, tra le parti in gioco. Lo ricordava già nel 1974 Étienne Balibar:

«Proletariato e borghesia, nella lotta che li oppone entro ciascuna congiuntura storica, non hanno mai la stessa ‘base’ di partenza, la stessa ‘base d’appoggio’. Ciò ci permette anche di comprendere, nel suo principio, l’ineguaglianza caratteristica della lotta di classe […] nel duplice senso dello sviluppo ineguale delle classi e dell’ineguaglianza del loro rapporto di forza, che la lotta stessa trasforma. […] Ma questi due avversari, per dirla metaforicamente, non sono di fronte, non si fronteggiano mai esattamente, perché i loro obiettivi e le loro armi non seguono né le stesse condizioni né la stessa ‘logica’. […] La storia della lotta di classe tra borghesia e proletariato non è soltanto l’evoluzione di un rapporto di forza, è anche lo spostamento del luogo stesso della lotta […].»¹

Non siamo uguali al nostro nemico, non ne abbiamo i mezzi ma non perseguiamo neppure gli stessi fini, non attuiamo le medesime pratiche di lotta, non vogliamo, insomma, le stesse cose. Il dominio capitalistico e la resistenza ad esso non si combattono ad armi pari, ma soprattutto non guardano nella stessa direzione: riproduzione del rapporto per l’uno, distruzione per l’altro. Su questo terreno le relazioni sempre uguali di Foucault, mutevoli certo, ma in fondo indistruttibili, forse non aiutano in questo senso a pensare la trasformazione della nostra vita.

Seconda questione: la storia come storia del presente, la genealogia come sua critica. Se dunque il presente, l’attuale, è contingente, fragile e precario, come superarlo? Come progettare ciò che viene dopo? La genealogia non guarda, programmaticamente, al futuro. Troppa la paura, comprensibile, di una riattivazione di filosofie della storia che, attraverso lo sguardo teleologico della necessitàdelle loro leggi, rinviavano il cambiamento sempre al domani. Un cambiamento che, comunque, sarebbe sicuramente giunto. Sappiamo che non è così, e Foucault, come altri, lo ha diffusamente illustrato. Ma la “resa contingente” dell’attualità è l’opposto o l’altra faccia dell’eterno presente del potere e della “fine della storia”? Entrambe le posizioni non hanno a disposizione, come si vede, un’idea di futuro, di come costruirlo. Potrebbe forse essere utile tornare a riflettere, certo in modalità non teleologiche, su questo aspetto: sullo spazio aperto davanti a noi e sull’avvenire generato dal rapporto tra le nostre pratiche politiche e il presente. Come, insomma, l’azione collettiva si fa progetto consapevole non dello spostamento di un rapporto di forze, ma di un’integrale trasformazione dell’attualità, in un futuro le cui forme siano pensabili. Dove si vuole andare, e come arrivarci.

Louis Althusser riteneva ad esempio che su questo terreno Machiavelli avesse molto da dirci:

«Non abbiamo più a che fare con la pura oggettività mitica delle leggi della storia o della politica. Non che esse siano sparite dal discorso di Machiavelli, al contrario: egli non smette di invocarle, e di inseguirle nelle loro infinite variazioni, per far dire loro cosa sono, e questa ‘caccia’ riserverà delle sorprese. Ma le verità teoriche così prodotte sono prodotte solo sotto lo stimolo della congiuntura e, non appena prodotte, sono modificate per il loro intervento in una congiuntura interamente dominata dal problema politico che essa pone, e dalla pratica politica che essa richiede per raggiungere l’obiettivo che propone. Ne risulta quello che si potrebbe chiamare uno strano vacillamento nello statuto, filosoficamente tradizionale, di queste proposizioni teoriche: come se esse fossero minate da un’istanza diversa da quella che le produce, dall’istanza della pratica politica […].»²

1 É. Balibar, Cinque studi di materialismo storico, De Donato, Bari 1976, pp. 196-197. Corsivo dell’autore.

2 Machiavelli e noi, a cura di François Matheron, manifestolibri, Roma 1999, p. 39. Corsivo dell’autore.