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Questo mondo non mi renderà cattivo

Dopo “Strappare lungo i bordi” l’autore romano torna con una nuova serie targata Netflix. Sei episodi, ancora un intreccio tra personale e collettivo per raccontare la storia di un amico che torna a casa dopo venti anni e gli scontri intorno a un centro d’accoglienza a Roma Est

[Contiene vaghi spoiler non invalidanti per la visione]

La vita congelata del personaggio Zerocalcare, di Sarah, del Secco è sconvolta da due eventi apparentemente slegati: il ritorno a casa di Cesare dopo 20 anni in comunità e l’arrivo in un centro di accoglienza di un gruppo di persone sbarcate dalla Libia, spostate da quartiere a quartiere finché non approdano in questo lembo di Roma Est. Seguono polemiche, l’estrema destra che soffia sul fuoco, lo sciacallaggio dei media, abitanti che cercano di capire come affrontare i cambiamenti, i movimenti che si organizzano. Intanto Cesare cerca di ritrovarsi con i vecchi amici e reintegrarsi in un quartiere che non riconosce più. Intorno a questo canovaccio, in Questo mondo non mi renderà cattivo, la nuova serie disegnata e scritta da Zerocalcare per Netflix, si muove il solito mondo di personaggi, temi, riferimenti culturali, da Don Matteo a Calamandrei e Angela Davis. 

Diciamolo subito: chi aveva comprensibilmente paura che dopo aver condensato nell’oretta e mezza di Strappare lungo i bordi tutto un mondo che arrivava dai fumetti e che quindi rimanesse poco da dire, può stare tranquillo. Se anche qui tornano i temi fondamentali dell’universo zerocalcariano, non siamo davanti a un catalogo (come in parte era Strappare), ma a una storia che parte ancora da quel mondo e va oltre, ponendo questioni precise: come ci si rapporta con il passato, come ci si riconosce quando si è stati lontani tanto tempo e le vite sono cambiate, che conti si fanno alla soglia dei quarant’anni, tra precariato e necessità di trovare il proprio posto nel mondo. Ispirata alle tante vicende di quartieri di Roma protagonisti di incontri/scontri all’arrivo di migranti e richiedenti asilo, la storia che struttura tutta la serie è come sempre nelle opere di Zerocalcare ricostruita in modo che sia comprensibile sia a chi vive queste vicende, sia a chi le vede da fuori e/o da lontano. Questo aspetto è fondamentale visto che quello di Michele Rech, specie quello delle serie tv, è un pubblico intergenerazionale ma anche internazionale, e basta frequentare le pagine Facebook dei gruppi di fan per capire come, anche in Italia, non tutti i lettori e spettatori del fumettista romano siano politicamente formati e sensibili – su questo si scherza in modo molto autoconsapevole anche nella serie. 

I personaggi sono gli stessi di Strappare, Sarah, Secco (sì, con la sua battuta ormai marchio di fabbrica storpiata da non-romano-parlanti di mezza Italia), la madre Lady Cocca, fanno rapide apparizioni anche l’amico cinghiale e altri noti. Da un punto di vista narrativo, la storia è ricostruita a partire da un arresto e interrogatorio dei personaggi principali. L’arresto (o meglio un breve fermo), lo capiamo piano piano nella serie, è dovuto agli scontri con i nazisti che hanno convocato una manifestazione per protestare contro l’arrivo dei migranti. Questo canovaccio si intervalla con flashback in cui i personaggi raccontano i fatti, il passato, quello che è successo nella periferia romana – siamo naturalmente in una riconoscibile Rebibbia. Infatti, dalla centrale di polizia (si notino gli splendidi poster), il protagonista ripensa non solo agli episodi recenti ma anche a vari pezzi della sua vita. Se in Strappare tutte le voci erano di Zerocalcare fino all’ultima, decisiva, puntata, in questo caso c’è un lavoro altrettanto interessante sul doppiaggio: il passato è tutto recitato dall’autore (a parte come sempre l’Armadillo Valerio Mastandrea), mentre le scene ambientate nella centrale sono doppiate da vari attori e attrici, incluso un credibilissimo Silvio Orlando nei panni di un poliziotto della Digos. C’è più respiro, rispetto a Strappare, puntate più lunghe di una decina di minuti e una storia più elaborata, con momenti anche di rallentamento e lentezza. Il ritmo funziona, la storia scorre benissimo e terrà incollate davanti allo schermo migliaia di persone. Anche in questa serie appaiono qua e là pezzi di giornale e altri inserti non animati.

Se il personaggio Zerocalcare, come in Strappare, stagna, ristagna, si chiede come mai la vita degli e delle altre sembra andare avanti e la sua no (vita congelata, diceva un anno e mezzo fa), l’autore Zerocalcare porta in questa serie, forse più che altrove, i suoi dubbi e il suo posizionamento: un costante chiedersi cosa fare, discutere e questionare il suo privilegio di artista ascoltato e rispettato, il suo barcamenarsi tra ideali e leggi del mercato. Se questo si trova in tante altre opere, è chiaro che con la prima serie per Netflix qualcosa sia cambiato, raggiungendo un pubblico più ampio e molto lontano dalle dinamiche politico-culturali di Roma, della militanza, del mondo dei movimenti – che però sta lì, basta aguzzare gli occhi, guardare le scritte sui muri dedicate a Salvatore Ricciardi o Dax. Da qui la necessità di argomentare e spiegare (e gli intermezzi “spiegone”, affidati spesso al contrasto tra Armadillo e personaggio Zerocalcare, funzionano come sempre benissimo) ma anche di chiedersi costantemente qual è il proprio ruolo, cosa fare, e perché. Questo Zerocalcare quasi quarantenne e artista di successo si fa naturalmente domande diverse rispetto a una decina di anni fa, quando la fama lo colse forse impreparato, ma la forza è sempre quella di introdurre qualcosa di nuovo restando legati quasi ancorati al proprio mondo (il punk, la politica, la periferia di Roma nord-est) e ai riferimenti culturali con cui si è cresciuti – sì, ci sono i cartoni anni Ottanta/Novanta, Giancane i Clash e gli 883, snake [per i più giovani, trattasi di videogioco presente su molti telefonini pre-smartphone, in particolare Nokia], i poster, e via dicendo. Parte della storia nel passato ruota intorno a una sala giochi, esperienza formativa per tanti maschi nati negli anni settanta e ottanta. C’è come sempre Roma, con i gabbiani che si mangiano i topi (ma non con quello sguardo coloniale e orientalista di certi autori), e tutte le sue contraddizioni da vivere e abitare – 12 km, la stessa profondità della fossa delle Marianne, separa il centro dal raccordo anulare, ci racconta un giovane Zerocalcare. La droga e le dipendenze sono raccontate con pudore e attenzione, ricostruendo la discesa all’inferno di un personaggio, ma anche l’impatto della cocaina della Roma degli anni Duemila. Ma non c’è solo la droga: il passaggio iniziale sulla ludopatia, non problematizzato ma molto evidente, dimostra un lavoro sul tema per niente banale.

Questa nuova serie insomma si pone sì in continuità con Strappare, ma senza ripetere, senza esserne un seguito (come lo stesso autore ha più volte sottolineato), piuttosto componendo un dittico che può senz’altro espandersi visto che questo modo di raccontare le storie, diverso ma complementare ai fumetti, sembra funzionare molto bene. In Questo mondo non mi renderà cattivo Zerocalcare accenna alla produzione di un film animato, impresa provata da pochissimi in Italia. Lo aspettiamo, sperando che non sia solo un espediente narrativo.