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Proletkult: un’utopia imperfetta

Si chiama “Proletkult”, l’ultima fatica di Wu Ming: un romanzo russo su Bogdanov. Una storia sovietica e interplanetaria fatta di archeologie del futuro e lotte per l’avvenire

«Sarà che i suoi romanzi si possono leggere come saggi e i saggi sono pieni di idee da romanzo», scrivono i Wu Ming in Proletkult, il romanzo russo appena uscito, descrivendo l’attività editoriale di Aleksándr Aleksandrovič Malinovskij. È lui uno dei protagonisti, l’uomo che cambiò diversi nomi nel corso della lunga cavalcata verso la Rivoluzione d’Ottobre e che alla fine si fece chiamare Bogdanov. Diciamo subito che per parlare di questo libro dobbiamo parlare di un altro libro. Si tratta di Stella Rossa, in cui Bogdanov descrive il comunismo realizzato su Marte. Quel romanzo è del 1908 ma già parla di un comitato centrale. Soltanto che l’organismo viene descritto come un apparato tecnico, un ufficio statistico che ha il compito essenziale quanto puramente consultivo di diffondere le informazioni che possano consentire ad assemblee autonome, comitati civici, nuclei di scienziati e consigli di lavoratori di istruire le loro discussioni e prendere le decisioni più giuste. Ognuno è libero di fare il lavoro che più lo appassiona, sulla Stella Rossa. I genitori hanno la facoltà di prestare l’amore paterno e materno in Case dei bambini, dove si prendono cura indistintamente dei figli di tutti. Non mancano i rischi: la possibilità che le risorse naturali, sfruttate da mirabolanti scoperte tecnologiche si esauriscono fa sì che i marziani prendano in esame la possibilità di colonizzare il Pianeta Terra. Un’utopia, ma imperfetta. Una storia tutt’altro che pacificata per eroi imperfetti. Non ci troviamo di fronte alla fine della storia ma soltanto all’inizio, le contraddizioni si ripresentano in forme nuove e nulla è risolto per sempre.

Soltanto da poco  è venuta fuori la storia di come in Urss, praticamente in contemporanea agli statunitensi, fossero in corso esperimenti per creare una rete telematica.  L’Internet dei sovietici doveva essere una rete per facilitare o addirittura rendere integrale l’automazione dell’economia pianificata.  Dunque, a differenza del progetto americano, la rete sovietica assomigliava un poco alle teorie bogdanoviane e al suo comitato centrale statistico: doveva interconnettere i main frame installati nelle fabbriche, non nelle università. L’Internet che conosciamo è stato pensato come modello cibernetico del cervello. Viceversa l’Internet dei sovietici doveva essere il sistema nervoso del corpo. È come se gli scienziati sovietici si fossero resi conto, ormai a tempo quasi scaduto, che l’economia pianificata non poteva funzionare e che dunque cercassero di porvi rimedio sostituendo al partito una rete tra i mezzi di produzione. Come è noto, il progetto non andò in porto. Non sappiamo cosa sarebbe successo se ai soviet fosse stata data la rete telematica, ma sappiamo che ancora oggi la Russia è uno dei pochi posti in cui si studia la cibernetica economica. E in cui si sono adattati, seppure in forma autoritaria e a fini di controllo, ai sistemi complessi e alle guerre asimmetriche.

La rete sovietica è una di quelle materialissime archeologie del futuro (per dirla con Fredric Jameson) che attraversano Proletkult e si prendono la scena al centro del racconto, quando una sequela di tecnologie sferraglianti, di razzi metallici e «balene di latta» si succede nella «Prima esposizione mondiale di apparecchi e macchine interplanetari». L’evento si tiene nel 1927, l’ultimo anno dei venti in cui si svolge il romanzo. Si comincia nel 1907, quando Bogdanov sostiene la necessità di radicalizzare lo scontro contro gli apparati zaristi e Lenin, assieme ai menscevichi, teorizza la necessità di utilizzare ogni mezzo a disposizione, anche le elezioni. Comincia un duello tra i due, rappresentato nella notissima partita a scacchi sull’isola di Capri, che affonda in due concezioni filosofiche diverse. Bogdanov, l’uomo che per primo aveva tradotto in russo Il Capitale, stabilisce la priorità di conquistare la cultura, perché «conoscere il mondo è già cambiarlo». La lotta per il comunismo non si risolve in una battaglia campale contro il capitale. Si risolve in azioni positive, nella creazione di relazioni che mettono insieme la condizione del proletariato. Da qui il ruolo centrale del sapere. Mentre gli scienziati borghesi producono discipline specifiche che non entrano in relazione, il lavoratore che edificherà il socialismo dovrà essere in grado di fare interagire le conoscenze in un insieme coerente. Bogdanov pensa che le singole discipline possano essere unificate osservandole in un sistema di relazioni e indagando l’unico sistema di principi che le determina. Mette in pratica queste teorie per tutta la vita, anche nei suoi scritti che interagiscono tra di loro indipendentemente dal genere: che si tratti di testi filosofici, di speculazioni biomediche o, appunto, di romanzi. Per Lenin tutto questo anteporre la scienza alla pratica puzza di idealismo: egli sostiene la centralità del partito come avanguardia dei lavoratori che si organizza per afferrare la realtà materiale e oggettiva, per controllarla invece che costituirla pezzo a pezzo, con la coscienza diffusa delle scuole e la formazione contro ogni disciplina come teorizzava Bogdanov. È uno scontro che si traduce anche nella differenza radicale delle forme di organizzazione: focalizzarsi sulla presa del potere oppure accompagnarla alla produzione di conoscenza e alla diffusione di coscienza?

Dopo la rivoluzione americana di Manituana e quella francese de L’Armata dei Sonnambuli i Wu Ming si cimentano con la grande rivoluzione russa. «Avere spodestato lo zar non significa che lo zar non ci sia più», dice Bogdanov mentre l’Unione Sovietica compie i suoi primi dieci anni. Nel frattempo si aggira per Mosca, una città piena di anfratti e umanità, inseguitori e gente in movimento. Assieme a una strana donna di nome Denni va alla ricerca dell’uomo che gli ispirò la scrittura del romanzo di fantascienza che lo ha reso famoso. Attraverso quella donna e mediante gli eventi che si succedono in Proletkult la trama di Stella Rossa si intreccia a quella della vita del suo autore e alla torsione staliniana che sulla rivoluzione stessa incombe. Bogdanov è disilluso, si è ritirato coi suoi esperimenti e nella retroguardia della battaglia culturale, in passato ha pensato anche al suicidio e non è detto che voglia sottoporsi come cavia alle sue teorie sulla trasfusione come rigenerazione medica e forma di lotta radicale a ogni individualismo. Il finale è davvero aperto. E non poteva essere altrimenti. Perché chiunque sa che la rivoluzione che è arrivata dopo le trincee della prima guerra mondiale, che «è sorta da quell’abisso per riscattarlo» è un bene prezioso. E «il fatto che duri da più tempo di quanto sia durato il conflitto con gli imperi centrali e poi contro i Bianchi è il segnale più incoraggiante del secolo».