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ITALIA

Black Friday. Prego Jeff, figurati!

È arrivato anche in Italia il Black Friday, grandi sconti, ma non per i lavoratori. Amazon è diventato il simbolo di capitalismo e sfruttamento e dal 1994 ad oggi ne ha fatta di strada, che sia giunta al capolinea? Resistere si può come dimostrano le esperienze di collettivi, artisti, e ricercatrici

Da qualche anno anche in Italia l’ultimo venerdì di novembre fa rima con “Black Friday”. Potremmo indagarne più accuratamente le origini: ricorrenza prettamente statunitense, “celebrazione” del giorno dopo il Thanksgiving Day (l’ultimo giovedì di novembre, appunto), l’inizio dei saldi natalizi, eccetera.

La verità è che il “Black Friday” è esploso con il commercio elettronico fino a diventare un’“istituzione” anche alle nostre latitudini. Per meglio dire, è esploso con Amazon.

Nella settimana corrente il gigante giallo offre sconti su praticamente ogni prodotto. Una tale possibilità di oscillazione che ci svela la natura “politica” dei prezzi: ci parla di come il flusso di merci e la circolazione oggi siano più importanti della produzione delle merci stesse. E in questo gioco di promesse e desideri Amazon fa il botto. E lavoratori e lavoratrici sgobbano più del solito. Punto e a capo. Arriva dicembre. La scia di acquisti continua. Amazon aumenta le assunzioni di interinali, precari e precarie che aiutano a smaltire il carico di lavoro grosso modo fino a Natale. Poi tutti a casa. Il lavoro alla spina. Chi s’è visto s’è visto e Bezos brinda, va nello spazio e ringrazia: «prego Jeff, figurati».

Nata nel 1994 con il fantomatico primo libro spedito dal garage dello stesso Bezos a Seattle, Amazon è oggi indiscutibilmente una delle aziende paradigmatiche del capitalismo contemporaneo che nelle ultime settimane sembra vedere nubi oscure all’orizzonte: costo del denaro in crescita, inflazione galoppante, crisi energetica. Diventata nota per il suo store online, un bazar contemporaneo dove è possibile acquistare di tutto, Amazon incarna oggi lo slogan logistico-toyotista che modella da qualche decennio le economie: just-in-time and to-the-point. Eppure, la parte più strettamente logistica rappresenta soltanto la metà del fatturato dell’azienda. L’altra metà comprende un mondo.

Prime video, ad esempio, ovvero il canale di contenuti on-demand che ospita, produce e finanzia film, serie tv, la Champions League e molto altro. Inoltre, del gruppo industriale fanno parte anche altre piattaforme come Twitch, prodotti come Alexa, e soprattutto i servizi informatici di cloud computing di Amazon Web Services (AWS). AWS è di fatto una infrastruttura cruciale che sorregge importanti parti dell’Internet contemporaneo e permette l’esistenza di altre aziende e servizi (ad esempio: Netflix gira su AWS). Amazon è poi intrinsecamente finanza, propone sistemi di dilazione dei pagamenti come una banca qualsiasi (“Buy now, pay later”) e spende una marea di soldi in attività politiche di lobbying. Per non parlare degli investimenti dell’azienda nel settore tecnologico, sanitario o agricolo (con Amazon Fresh), oltre a quelli personali dello stesso Bezos: dal Washington Post nel settore dell’editoria a Blue Origin in quello aerospaziale.

Se per Marx »la ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come una immane raccolta di merci», difficilmente nella storia troveremmo un’azienda che presenta al suo interno una tale concentrazione e varietà di beni e servizi. Non è un’esagerazione dire che tramite Amazon potremmo fare la spesa alimentare, ordinare qualsiasi cosa, lavorare da casa, passare il tempo libero tra un film e un videogioco, insomma vivere gran parte della nostra vita dentro Amazon.

Amazon è dunque molto di più di un’azienda di e-commerce. Ambisce a essere il mercato e a incidere sulla sfera politica, sociale e culturale. Inoltre, ambisce a essere attore egemonico del “Cloud”, una dimensione digitale sempre più intrecciata e costitutiva di quella materiale.

Abbiamo già detto di grande player digitali privati che poggiano sui servizi di AWS. Allo stesso modo, in Italia (ma il discorso potrebbe agilmente essere ampliato) attori pubblici come la Protezione Civile, la Corte dei Conti o una sfilza di comuni si appoggiano ad Amazon per gestire la propria burocrazia. Del resto, per i servizi richiesti Amazon conviene e sa fare pure bene quanto il suo lavoro. Il problema sta poi nel capire tutto ciò cosa implica.

In un libro di successo Shoshana Zuboff metteva in guardia dalla quantità di dati che questi giganti (Amazon, ma anche Google, Meta ecc., per limitarci al solo West World) riescono ad accumulare, a elaborare e a sfruttare a loro vantaggio. Miniere autorigeneranti di informazioni, queste Corporation estraggono valore economico e accumulano potere politico, diventando (tra i più) potenti attori della governance contemporanea. Con Stati e altre istituzioni ferme al palo dell’analogico, questi nuovi soggetti divengono de facto politici e si trovano davanti praterie sterminate. E non hanno certo il timore di conquistarle.

Tuttavia, questo sviluppo veloce e indubbiamente potentissimo produce anche una serie di frizioni, resistenze, attriti e conflitti. Non si può ad esempio parlare di Amazon senza registrare anche la rilevanza delle lotte di lavoratrici e lavoratori in giro per il globo. Dagli Stati Uniti all’Italia, dalla Germania alla Polonia e altrove, in un ambiente decisamente antisindacale, le proteste hanno contribuito a svelare la narrazione fiabesca dei magazzinieri rilassati che ringraziano Bezos per il posto fisso e il welfare aziendale. Un certo clamore ha avuto l’attività di sindacalizzazione in alcuni magazzini Amazon degli Stati Uniti ad aprile 2022 su spinta di Chris Smalls, dipendente del gruppo, licenziato a inizio pandemia, che nella lotta per la difesa dei suoi diritti ha trascinato decine di lavoratori Amazon dando vita all’Amazon Labour Union. Ma è soprattutto nel network Make Amazon Pay che si contano le azioni forse più significative.

Strutturatosi durante la pandemia, Make Amazon Pay consiste in un network di lavoratori e lavoratrici «unite e uniti nell’impegno a far sì che Amazon corrisponda stipendi equi, versi le tasse e paghi per il suo impatto sul pianeta».

Per il “Black Friday” 2022 il network annovera proteste che andranno in scena da Paliwal Park ad Agra (India) dove una marcia di lavoratori del Hawkers Joint Action Committee si dirigerà al distretto municipale, fino a Breslavia in Polonia, dove OZZ Inicjatywa Pracownicza Amazon e Wolny Związek Zawodowy “Jedność Pracownicza” protesteranno per l’intera settimana contro il recente licenziamento di attivisti sindacali; dai cortei di Filadelfia e Portland alle proteste di Londra contro «Amazon’s exploitation of workers, communities, and our planet». Queste solo per citare alcune iniziative di una certa rilevanza che meritano di essere seguite, e va evidenziato che si tratta di lotte che non si definiscono solo come conflitti sul lavoro, ma che articolano una molteplicità di istanze che vanno dal tema ecologico a quello dei territori.

In Italia le prime proteste si contano a partire dal 24 novembre 2017 (il “Black Friday” di quell’anno) per poi proseguire a singhiozzo negli anni successivi fino al primo sciopero nazionale del 22 marzo 2021, in una settimana particolarmente significativa per le proteste del mondo logistico. Attori che vanno dal sindacalismo confederale a quello di base provano con fatica ad avviare azioni all’interno dei magazzini, anche se il turnover lavorativo eretto a normale sistema di gestione e controllo del lavoro rende difficile il radicamento.

A partire da questa generale panoramica, con Into the Black Box stiamo provando a dare un piccolo contributo sia nell’inquadrare Amazon quale punto strategico di osservazione e analisi politica del capitalismo contemporaneo, sia nel provare a sollecitare azioni culturali e politiche a sostegno di chi lavora e lotta dentro l’azienda. Non siamo gli unici a farlo, vale la pena menzionare il lavoro di inchiesta portato avanti da Punto Critico nel mappare la presenza di Amazon in Italia. Vogliamo però segnalare due iniziative che stiamo portando avanti, con la speranza che si moltiplichino in termini sia di impatto che di efficacia.

La prima nasce da un gruppo di inchiesta su Amazon (un osservatorio permanente in costruzione, potremmo dire), un percorso nato nel 2021 all’interno del ciclo annuale di seminari “Alle frontiere dell’Amazon-capitalism” e che darà anche vita a un libro nei prossimi mesi. Compagne e compagni, ricercatrici e ricercatori da ormai un anno si incontrano periodicamente per condividere approfondimenti, ma anche interviste a magazzinieri o driver assunti direttamente da Amazon, o che con Amazon hanno indirettamente a che fare nella rete di subappalti che spesso strutturano il sistema di consegna dell’ultimo miglio. Con questo gruppo di inchiesta, a partire proprio da oggi, venerdì 25 novembre diffonderemo un bollettino che ha l’ambizione di monitorare e far conoscere a lavoratrici e lavoratori le iniziative critiche (anche internazionali) che nel mondo Amazon si sviluppano.

La seconda iniziativa invece gioca maggiormente su un registro artistico, un tipo di intervento che abbiamo iniziato a esplorare da qualche tempo. L’obbiettivo è per noi importante: raccontare la molteplicità dei volti dietro la consegna di ogni pacco. Ispirati dalle interviste con drivers Amazon, imbucheremo nel giorno del Black Friday centinaia di lettere contenenti storie e volti di chi dà materialmente vita alla logistica di Amazon per contrastare la “spersonalizzazione del lavoro”, che è poi una strategia chiara dell’azienda statunitense: celare il lato umano del lavoro in favore della magia dell’e-commerce. It’s a kind of magic .

Sembra che il pacco arrivi a casa da solo, senza soluzione di continuità rispetto al nostro click sul sito. E soprattutto, senza la fatica e lo stress di migliaia di driver costretti anche a 250, 300 consegne giornaliere.

Quello che vorremmo contribuire a costruire con queste azioni si muove su due livelli. Da un lato la definizione di una contrapposizione al modello-Amazon che sviluppi forme di critica nuove, in grado di non cadere in tentazioni moralistiche ma che colgano possibilità di riappropriazione del potere e della ricchezza accumulati da Amazon stesso.

Ci sembra infatti che una contestazione ad Amazon basata su una critica al “consumo” non sia in grado di cogliere il “nuovo livello” su cui ci sta portando il “capitalismo 4.0”. Che, insomma, si rischi troppo spesso di cadere in una visione sostanzialmente negativa dell’innovazione tecnologica perdendo di vista i comportamenti di classe e le possibilità di contro-uso e di appropriazione delle nuove ambivalenti frontiere del capitalismo.

Dall’altro lato, l’importanza di rafforzare le dimensioni di solidarietà e complicità con chi in Amazon e nei nuovi giganti del capitalismo logistico-digitale globale lotta per un nuovo presente. Insomma, permetteteci di chiudere con l’auspicio di un “Black Friday” diverso: «Strike Hard, Have Fun, Make History”» Prego Jeff, figurati!

Immagine di copertina da Flickr di War in Want