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Pluriverso #2 Economie comunitarie

Pubblichiamo qui la prima voce tratta dal libro “Pluriverso – Dizionario del Post Sviluppo” con Economie Comunitarie, di J.K. Gibson-Graham. Si parla di quelle economie che mirano a favorire la creazione di habitat che forniscano i mezzi di sussistenza alla vita umana e non-umana. Attraverso la realizzazione di altri mondi, qui ed ora, le economie comunitarie sfidano e allo stesso tempo eludono il dominio del capitalismo

Il termine “economia comunitaria” denota uno spazio di riflessione e azione. Le economie comunitarie sono composte da un insieme di pratiche di negoziazione etica che mirano a favorire la creazione di habitat rigogliosi che forniscano i mezzi di sussistenza alla vita umana e non-umana. Attraverso la realizzazione di altri mondi, qui ed ora, le economie comunitarie sfidano e allo stesso tempo eludono il dominio del capitalismo.

Nel 1996, in una fase in cui il capitalismo era descritto come l’unica forma economica possibile, la geografa economica femminista J.K. Gibson-Graham avanzò l’idea che il modo di rappresentare “l’economia” condiziona le azioni dirette a trasformarla. All’epoca, con la fine dell’alternativa rappresentata dal socialismo di stato, sembrava che l’unica risposta politica possibile fosse la critica del capitalismo e la ricerca di strategie di resistenza. Ma che ne era stato del progetto positivo di costruire economie più giuste e sostenibili?

Gibson-Graham volse lo sguardo a un’incredibile diversità di pratiche economiche come lavorare, condurre affari e scambiare beni e servizi, che di solito le teorie economiche mainstream trascuravano o inquadravano solo come pratiche subordinate, non in grado di trainare la dinamica economica.

Come i teorici del Sud globale, le femministe e gli antropologi sanno molto bene, è il lavoro non retribuito delle donne e di altri membri della famiglia, di piccoli coltivatori e commercianti, di gruppi indigeni che si prendono cura della terra e delle cooperative di lavoratori e produttori che “regge metà del cielo”. Tuttavia, secondo Gibson-Graham, questo insieme di pratiche economiche continuava a essere ignorato perfino dalle persone interessate a cambiare il mondo. Che cosa accadrebbe se queste attività economiche diventassero invece la base dell’analisi e dell’azione collettiva?

Il termine “economia comunitaria” fu introdotto per descrivere una vasta gamma di progetti diretti a costruire modi eticamente responsabili di sopravvivere – ovvero di provvedere ai bisogni primari– e di generare e distribuire quel sovrappiù che permette il fiorire della vita.

Attraverso l’uso di un concetto carico di significati come “comunitario” per qualificare quello dominante di economia – e rimuovendo il primato del termine “capitalista” – Gibson-Graham voleva sottolineare che, nonostante le differenze sociali e culturali, la convivenza è il punto di partenza da cui per le persone, “noi”, dovrebbero cominciare a negoziare la gestione della terra, il nostro oikos.

Nel libro Take Back the Economy (Riprendiamoci l’economia), Gibson-Graham e i suoi collaboratori sintetizzano i temi dell’economia comunitaria con le seguenti domande:

Di che cosa abbiamo davvero bisogno per vivere vite rigogliose sia dal punto di vista materiale che psichico? Come si fa a vivere bene?

Come possiamo usare ciò che rimane dopo avere soddisfatto i nostri bisogni primari? Come ridistribuiamo ciò che è in eccesso?

Che tipo di relazione abbiamo con le persone e gli ambienti che ci permettono di vivere bene? Che tipo di incontri coltiviamo mentre ci sforziamo di vivere bene?

Quali materiali ed energie utilizziamo nel processo di vivere bene? Che cosa consumiamo?

Come facciamo a preservare, ricostituire e reintegrare i doni, naturali e intellettuali, da cui tutti gli esseri umani dipendono? Come possiamo prenderci cura dei commons?

Come preserviamo e usiamo ciò che è in eccesso in modo da sostenere le persone e il pianeta? Come gettiamo le basi per il futuro?

Queste domande guidano molti tra i progetti innovativi in corso, esperimenti concreti e movimenti sociali che cercano di rendere possibili “altri mondi”. Si pensi ad esempio ai movimenti per il reddito di base, le città di transizione, il movimento per l’economia solidale, i progetti di buen vivir, quelli di commercio equo e di consumo sostenibile, le comunità abitative sociali, le banche etiche e i modelli di finanza comunitaria, le cooperative gestite dai lavoratori e i progetti di rigenerazione delle terre.

Ovunque troviamo persone che danno vita a modi per soddisfare i propri bisogni e quelli degli altri senza distruggere l’ambiente e trascurare le generazioni future. Di solito questi movimenti si fondano a partire da questioni locali che coinvolgono particolari gruppi di persone, specie e territori. Ma sono anche in grado di creare concatenamenti che hanno forza politica a livello nazionale e globale.

Consideriamo, ad esempio, l’impatto multi-scalare delle reti di commercio equo. In questo caso, si rinegoziano di continuo nuovi standard attraverso regolamenti internazionali per garantire che le transazioni commerciali non danneggino le persone e gli ambienti. Un altro esempio è la volontà comune delle coalizioni internazionali che hanno condotto agli accordi per regolare l’uso dei cloro-fluoro carburi e sono dunque riuscite a riparare i commons atmosferici danneggiati dal buco dell’ozono.

Il concetto di comunità – distinto dall’economia capitalista – offre una cornice trasformativa per ripensare il cuore della ragione economica. Mette in primo piano le profonde relazioni di interdipendenza che legano gli esseri umani tra loro e con esseri non-umani, le specie animali e vegetali, le comunità di funghi e batteri, i sistemi geologici e quelli che regolano il clima del pianeta.

Può la logica delle economie comunitarie sostituirsi all’egemonia del pensiero e dei comportamenti capitalisti?

Di certo, un prerequisito per tale sostituzione è un modo diverso di conoscere, rappresentare e parlare delle realtà economiche. Di certo, sperimentazioni concrete di economie comunitarie offrono ispirazione per il futuro.

Una rete in espansione di studiosi e attivisti oggi si interroga sulle relazioni prodotte dalle economie comunitarie. L’obiettivo è modellare sistemi di adattamento complessi, animati non dal capitale ma da negoziazioni etiche attente ai bisogni di mondi più-che-umani. Attraverso la condivisione delle nostre capacità, mettendo in comune pensieri e azioni, abbiamo aperto una strada che conduce “oltre lo sviluppo” come l’abbiamo conosciuto fino ad ora.

Parole chiave: diversità, commoning, negoziazione etica, habitat

Approfondimenti:

Community Economies Research Network, www.communityeconomies.org. Ultimo accesso16-11-2020.

J.K. Gibson-Graham, The End of Capitalism (As We Knew It): A Feminist Critique of Political Economy, Blackwell, Oxford 1996.

J.K. Gibson-Graham, Jenny Cameron and Stephen Healy, Take Back the Economy: An Ethical Guide For Transforming Our Communities, University of Minnesota Press, Minneapolis 2013.

J.K. Gibson-Graham, Commoning as a Post-Capitalist Politics, in Releasing the Commons, A. Amin e P. Howell (cur.), Routledge, London, New York 2016.

J.K. Gibson-Graham è lo pseudonimo condiviso da Julie Graham, scomparsa nel 2010, e Kathrine Gibson, docente all’Institute for Culture and Society della Western University di Sidney. J.K. Gibson-Graham è co-fondatrice del Community Economies Collective da cui si è sviluppato il Community Economies Research Network, una rete in crescita a livello internazionale.

Immagine di copertina: mensa comunitaria in Argentina, foto di Gaston Bejas

Immagine nell’articolo: Medios Libres Cali