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Mi troverai dove si suderà. Ciao Sigaro.

Dalla Banda Bassotti alle strade e ai palchi di questa città, un saluto al cantante muratore

Ieri sera, all’età di 62 anni, ci ha lasciato Sigaro, al secolo Angelo Conti, voce e anima della Banda Bassotti, collettivo di muratori e musicisti nato nei cantieri edili della periferia ovest della città nei primi anni Ottanta. Un impegno militante cresciuto nella solidarietà internazionale, a partire dalle Brigate di lavoro a sostegno dei movimenti rivoluzionari dell’America latina.

Il primo ricordo di Sigaro (e di Piero, Fabrizia, Picchio e Fabio) è un concerto improbabile (per l’acustica) del 1990, nei corridoi del liceo scientifico Levi Civita, al Prenestino, in quei giorni occupato. Banda Bassotti e Filo da Torcere affondavano i colpi in levare e le distorsioni combat davanti a un pubblico giovanissimo. Si trattava degli stessi gruppi che da lì a poco, insieme a Red House e AK 47, avrebbero pubblicato la compilation Balla e difendi, per la Gridalo Forte records.

Non si può capire il valore di questa storia se non si illumina la scena sulla città di quegli anni, sulla nascita degli spazi sociali, la Pantera, i rigurgiti neofascisti, le trasformazioni delle periferie, la necessità dell’antirazzismo, l’angusto panorama culturale e musicale.

Nelle strade si combatteva una guerra per gli spazi di agibilità, si contendevano territori fisici e virtuali, si lottava per il diritto a ripensare la sovversione. Nel paese di Craxi, Andreotti e la vendetta della Fiat di Romiti, c’era anche una guerra sull’immaginario negato, conteso da canzoni che mettevano al centro gli invisibili: poveri, operai, uomini e donne piegati dalla fatica della sveglia mattutina, barboni, avanzi di cantiere.

Una colonna sonora di formazione e di politicizzazione per un’intera generazione, che riprendeva la lezione di Joe StrummerJohnny Cash, la mescolava con la cultura skinhead e l’ondata revival ska, per contaminarla con le storie di vita e di lavoro della città “Caput mundi dell’infamità”. Davanti a tutti, questo scugnizzo con gli occhi trasparenti, il ghigno da impunito e le mani da carpentiere, che impugnava la sua Les Paul contro “i mercenari al soldo dello stato”, inventando ritornelli, liriche e melodie entrate nella vita quotidiana di migliaia di persone.

Una scrittura semplice ma potentissima, una linea poetica di grande sensibilità, spesso al di là e nonostante i richiami ideologici senza sfumature, in cui i “pellerossa d’Italia (che) ogni mattina vanno a fa le città” sognano il riscatto dell’Armata rossa. Una scelta di appartenenza – ideologica, politica e sociale – che lo ha portato a vivere in un mondo non privo di contraddizioni, che ha sempre affrontato e pagato, senza sconti, in prima persona.

Mille palchi, mille città, mille spazi occupati e mille feste comuniste, in Italia come in Europa, in America latina come in Giappone, Sigaro e la Banda portano il suono diretto della strada mai separata dalla vita, sigillata nell’inno “Giunti tubi palanche e ska”.

Nascono i sodalizi con i con baschi Kortatu e Negu Gorriak, il gemellaggio musicale con i sardi Kenze Neke, le collaborazioni con i Gang dei fratelli Severini, 99Posse e Assalti frontali. Poi la pausa di fine anni Novanta, alcuni progetti paralleli, il ritorno straordinario all’ex Mattatoio del marzo 2001, nei giorni della battaglia di Napoli del Global Forum, che anticipò la mattanza genovese. Un live reso immortale da un disco che si apre con la dedica di Sigaro “ai ragazzi che hanno fatto gli scontri per le strade di Napoli”. E poi i cambi nella band, l’aggiunta di una sezione fiati di grandissimo livello, nuove canzoni dell’altra faccia dell’impero, i riconoscimenti internazionali e mille altri concerti sempre spesi per una giusta causa.

Sigaro è stato un grande autore, compositore e musicista, che ha interpretato la sua Banda come naturale prosecuzione della guerra di classe con altri mezzi.

Una persona umile e generosa, mai perso in una posa da artista puro, autocelebrativo. Rocker comunista, nella sua coerenza assoluta ai valori di uguaglianza, fedele alle amicizie e agli affetti che lo hanno accompagnato fino alla fine. In questi momenti di spaesamento e di rincorsa della memoria, ci avrebbe rassicurato con il suo sorriso sornione: “Sveglia compagni, più animo!”.