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Meccanoscritto: raccontare lavoro, lotte, sfruttamento. Insieme

Venerdì 5 maggio, al Csa Astra (via Capraia 19 a Roma), incontreremo Wu Ming 2 per discutere di ‘MECCANOSCRITTO’ (Alegre Edizioni), volume a cui ha lavorato assieme al collettivo MetalMente e al giovane storico del sindacato Ivan Brentari. Un appuntamento che arriva dopo che, solo qualche mese fa, abbiamo discusso di ‘Amianto‘, un altro libro che parla di lavoro (e non solo) assieme all’autore Alberto Prunetti. “Cercare le parole per combattere lo sfruttamento”, ci siamo detti con Alberto in quell’occasione, ripromettendoci di utilizzare anche il sito delle Camere delle Lavoro Autonomo e Precario per scrivere, raccogliere, cercare queste parole. Se ne trova traccia, ad esempio, in questa istruttiva testimonianza, di una giovane precaria che ha fatto la ‘dialogatrice’ per una nota Ong. altri contributi, incontri, riflessioni, singolari e collettive ci ripromettiamo che arriveranno nelle prossime settimane e mesi.

Il libro nasce dal ritrovamento di un vero e proprio tesoro: svolgendo una ricerca nell’Achivio del lavoro di Sesto San Giovanni, Ivan Brentari si imbatte casualmente in una cartellina piena testi dattiloscritti. Si tratta dei racconti inviati dagli operai, che hanno risposto a un concorso letterario bandito dal periodico della Fiom di Milano (‘il Metallurgico’, edito tuttora), nel 1964. Nella giuria, noti intellettuali della sinistra dell’epoca, tra cui Luciano Bianciardi, e il leggendario segretario della Fiom milanese dell’epoca Giuseppe Sacchi, che successivamente sarà parlamentare per il Pci. Il giovane storico sfoglia quelle pagine e si rende conto del loro valore, così si rivolge a chi pensa possa essere sensibile all’argomento: il numero 2 del collettivo di scrittori Wu Ming. Da cosa nasce cosa e al progetto si aggrega il collettivo MetalMente, che promuove un laboratorio di scrittura collettiva sulla fabbrica, le lotte e il lavoro, tenuto proprio da Wu Ming 2. Ormai ci siamo: alle lotte di ieri, si aggiungono le lotte di oggi.

Il libro è costituito proprio dai racconti vincitrici del concorso del 1963, a cui si aggiungono i testi collettivi redatti da operai e operaie nel 2015. A cucirli insieme delle Infrastorie redatte da curatori del volume. Qui viene ripercorsa la possente mobilitazione del 1963 dei metallurgici italiani, in particolare di Milano, fulcro di quella durissima vertenza da cui nascono le storie raccolte dalla Fiom, ma anche la crisi industriale degli anni 2000, con le fabbriche che chiudono e una rinnovata resistenza operaia nel capoluogo lombardo. Si passano in rassegna titoli di giornali, nomi, episodi, fatti e volti. L’arroganza dei padroni di ieri di oggi, il calore della lotta (calore letterale: del fuoco per scaldarsi, degli abbracci, del vino) e la fantasia e l’intelligenza operaia a lavoro ai cancelli, fuori e dentro la fabbrica.

Certo, la prima metà degli anni ’60, quando riprende vittoriosa l’offensiva operaia e sindacale, si esce dal terribile ripiegamento degli anni ’50, costellati di morte e sconfitte, non sono gli anni dieci del 2000. Tante le differenze, a cominciare da quelle più banali: il lavoro di fabbrica non è più il centro della produzione; la classe operaia non è più un soggetto omogeneo al centro esclusivo del conflitto capitale/lavoro; il lavoro, di fabbrica e non, è cambiato con le trasformazioni tecnologiche e telematiche; da padroni in carne ossa e un po’ feudali a inafferrabili multinazionali. Eppure, nelle parole degli operai di ieri e di oggi ritroviamo, nei loro racconti, un aspetto fondamentale: l’intelligenza collettiva, il sapere prodotto dalla socializzazione operaia, che produce nuove parole e invenzioni.

È quello che ci accade ogni volta che incontriamo una nuova vertenza, un nuovo gruppo di lavoratori e lavoratrici. Non dentro le aziende, ma la maggior parte delle volte in strada, in qualche bar o pub. Proprio come quei lavoratori del ’63 che tenevano le assemblee fuori i cancelli, perché dentro l’azienda il sindacato non aveva ancora il diritto di riunione. Superata la diffidenza (prima di tutto tra gli stessi colleghi, e poi con questi strani ‘sindacalisti’ che vengono dai centri sociali e dalle lotte studentesche), esplode un fiume in piena di parole, fatti ed episodi. Così, piano piano, si costruiscono saperi collettivi, apprendiamo insieme norme e leggi, elaboriamo assieme le risposte. Scriviamo lettere e volantini. Costruiamo un nuovo vocabolario: parole necessarie a produrre fatti.

Ma non c’è solo il lavoro strettamente inteso: dalle narrazioni di operatori sociali, fisioterapisti, facchini, guide turistiche si aprono un caleidoscopio di questioni generali che investono tutta la società. Prendiamo una psicologa che lavora come precaria in una Asl: il suo essere precaria influisce anche sulla qualità del servizio erogato a soggetti fragili e alle loro famiglie, e porta a interrogarsi sul servizio stesso, sul monte ore complessivo, sul diritto alla salute e sui diritti di chi lavora. Quando a parlare è un operatore sociale di un centro d’accoglienza, parla allo stesso tempo del suo lavoro, ma anche del sistema perverso dell’esternalizzazione di servizi sensibili a cooperative che pensano solo ai profitti, del razzismo della società e della politica che bandisce gare al massimo ribasso, incurante degli effetti su chi lavora e sui destinatari dei servizi. Si ricostruisce così, dal basso, dal sapere e dalle conoscenze che solo chi lavora ogni giorno in determinati settori possiede, un punto di vista generale sul mondo.

Due dei racconti del 1963 Uniti si vince e I Crumiri, terminano con le note di canti e cori di lotta. Parole da tutti conosciute, di bandiere rosse e rivoluzioni, che spaventavano i padroni e rappresentavano un orizzonte comune, materiale e simbolico, per gli operai. Parole e canzoni che oggi tutt’al più appaiono come innocue o folkloristiche. Abbiamo bisogno delle nostre parole per riconoscerci e lottare assieme.