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Le due facce del Capitale Animale tra industria della carne e settore culturale

“Capitale animale. Biopolitica e rendering” (Tamu, 2023) di Nicole Shukin si inserisce come squarcio nella geografia degli studi culturali animali, fornendo una lettura dell’eterno sfruttamento dei corpi animali attraverso la doppia accezione di rendering: processo di copia grafica di un’immagine e riconversione degli scarti animali in materia utilizzabile dal sistema capitalista

C’è stato un tempo in cui l’unica cosa in grado di riflettere era l’acqua. Poi è arrivato l’Animale, figura trasparente e incorporea, resa specchio dell’Uomo, delle sue conquiste e dei suoi guai. Ci si è accorti subito dopo della carne di questo soggetto, delle sue proprietà digeribili e assimilabili da un potere che non solo lo utilizza come campo esteso di metafore, ma riesce a convertire il suo essere-corpo, il suo essere-animale, facendone tracollare la stessa ontologia.

La capacità annientante del Capitalismo di captare ogni frequenza dell’esistente e convertirla in profitto è ormai un’evidenza. Non c’è forma in sé o assemblaggio, anche in divenire o in antagonismo, su cui il sistema capitalista fondato sulla resa non sia in grado di intervenire tramite lo smembramento, in parti sempre più piccole e raffinate, dei corpi di cui si appropria, continuando a valorizzarli all’interno del sistema economico neoliberalista. La biopolitica, l’insieme di meccanismi di comando sul vivente, esercita il suo controllo indistintamente su corpi umani e non umani, ma esercita su questi ultimi le sue ideologie più efferate, legittimate dalla storia. Non è un caso che il termine capitalismo derivi proprio da caput, capo di bestiame: esiste una stretta correlazione tra le forme di sfruttamento perpetrate dal capitale e l’assoggettamento animale, inteso come traffico materiale e valuta semiotica.

Capitale animale. Biopolitica e rendering (Tamu 2023) di Nicole Shukin – tradotto con precisione tagliente da Bianca Nogara Notarianni – tenta la sfida di un tracciamento storiografico del dominio umano sull’animale a partire dalla doppia accezione di rendering. Termine cardine nel pensiero di Shukin, il rendering è sia il processo di riconversione degli scarti della macellazione animale (ossa, peli, cartilagini, unghie, pelle, denti…) in materiale utile (ossia in capitale), che il rendering rappresentativo, l’atto mimetico di copia grafica di un’immagine: il suo scollamento dal reale, la sua manomissione e il suo reinserimento all’interno di una rappresentazione. Le parti che l’industria della carne non riesce a utilizzare del corpo animale, vengono così reimpiegate nell’industria culturale, in un processo ad libitum di appropriazione, frammentazione e ricollocazione nel circuito economico del cinema, della comunicazione, della letteratura. E questo impiego, questo farsi di un animale senza più anima, sta nella soglia tra astrazione e materiale, tra figurazione simbolica (pensiamo ai porcellini col grembiule e il cappello da cuoco nei manifesti pubblicitari delle macellerie) e potenza carnale (Shukin ci rivela come nel cinema la fotosensibilità della pellicola delle macchine da presa analogiche fosse data proprio da una gelatina di origine animale). Se l’esercizio della biopolitica ha l’obiettivo di rendere docili superfici di iscrizione i corpi (come singoli e come comunità) è meno evidente come questo potere, oltre a portare a una cancellazione – ontologica e letterale – sia anche produttivo: i corpi, nell’era capitalista, vengono fatti vivere anche nella loro morte. E Shukin, conscia dell’eredità di Foucault in questa riflessione, si posiziona proprio nel suo punto cieco, quella centralità animale nella ri/produzione biopolitica del capitale che il filosofo non aveva ancora afferrato.

Il libro, a cura di Massimo Filippi e Federica Timeto, si lega alle ecologie di violenza congiunturale del capitalismo industriale dell’Antropocene. Shukin individua queste pratiche all’interno di tre settori, attraverso cui delinea una genealogia della sovradeterminazione storica dell’animale all’interno della cultura capitalista: l’automobilità (dove l’autrice si concentra sulla distribuzione delle automobili e l’industria cinematografica nordamericane), quella della telemobilità (dove mette a confronto l’impatto ecologico delle telecomunicazioni e la circolazione della valuta dell’affetto animale) e della biomobilità (intesa come campo contemporaneo di relazione tra le narrazioni sulle zoonosi e la conservazione della biodiversità, entrambe conseguenze e sintomi dell’egemonia del capitale). Attraverso la corrispondenza tra la diffusione di massa di queste culture, Shukin presenta il rendering come strategia performativa per creare connessioni politiche tra le economie, andando a scavare e a scovare nella storia della cultura quegli scarti dai e dei corpi animali.

Nel saggio l’idea di scarto, in particolar modo, confluisce in modo interessante all’interno di una figura che l’autrice chiama spettro animale [animal specter], come raggio uniformante e dimensione fantasmatica. Facendo un passo in più rispetto all’elaborazione di Derrida, Shukin descrive gli animali inseriti nel circuito del capitale come una “corporeità paradossale” o dei corpi senza corpi che avanzano su un altro piano, come fiumi carsici, la propria azione infestante. La sopravvivenza dell’animale come fantasma non può superare la morte, figuriamoci l’annientamento materiale e ontologico dell’animale nella modernità. Può forse, però, aprire a una specificità delle esistenze capace di superare l’universalizzazione dell’Animale, soggetto generale privo di un mondo affettivo (anch’esso rendibile, come riporta Shukin nel capitolo sulla telemobilità), capace di essere parte della formazione di atmosfere nelle retrovie dell’Antropocene. Può, sicuramente in questo testo, farsi potenza di liberazione, campo di forze invisibili capace di spostare il movimento di uno sguardo verso modelli o programmi che danno valore a un’altra forma di vita nella morte.

Capitale Animale è un libro che come uno squarcio porta luce sui metodi necropolitici di una devastazione. Nicole Shukin, illustrandoci le tecniche del governo capitalista sugli animali, ci risveglia alla consapevolezza di quanto i nostri corpi morenti siano intrecciati a quelli della morte animale, in un ecosistema transindividuale dove nessuno si salva davvero da solo.

In copertina un’immagine del film “Lassie Come Home” (1943) di Fred M. Wilcox