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EUROPA

Inventare la democrazia diretta, organizzarsi in contropoteri

Il resoconto dettagliato della seconda Assemblea delle Assemblee di Saint Nazaire, ma anche un’analisi del movimento dei gilets jaunes: composizione sociale e politica, insieme di rivendicazioni e forme organizzative. Ieri, martedì 16 aprile, il presidente Macron avrebbe dovuto presentare le “riforme” politiche e sociali con le quali, dopo la contestatissima consultazione nazionale del Grand Débat, intende rispondere al movimento in corso. L’incendio di Notre-Dame ha tuttavia fornito un escamotage a Macron per rinviare di qualche giorno l’annuncio delle misure, tentando così di aggirare l’impasse politica nella quale tutt’ora si trova, con un breve appello all’unità nazionale e alla riscoperta dell’identità del popolo francese. In realtà, anche la ricostruzione di Notre-Dame e gli omaggi televisivi ai magnati di lusso che hanno partecipato alle donazioni in un clima di commozione, sono subito diventati oggetto di acceso dibattito politico in un paese in cui la questione sociale e democratica sollevata dai gilets jaunes non è più aggirabile

A circa cinque mesi dall’inizio del sollevamento dei gilets jaunes, da venerdì 5 a domenica 7 aprile, più di duecento delegazioni provenienti da tutta la Francia, composte secondo il principio della parità di genere e il mandato imperativo, si sono riunite alla Maison du Peuple di Saint-Nazaire per prendere parte alla seconda Assemblea delle Assemblee (d’ora in poi, AdA), che segue la prima, svoltasi a Commercy lo scorso 26 e 27 gennaio.

 

On a tous un rond-point en commun (Abbiamo tutti una rotonda in comune)

La svalutazione della democrazia diretta si ripropone persistentemente nel dibattito attuale con l’evidenza di un luogo comune.

A un estremo, i suoi detrattori ci dicono che “democrazia diretta” sarebbe un mero supplemento della macchina della rappresentanza, entrando in gioco come suo eventuale correttivo nelle fasi di crisi – è il caso delle tante declinazioni “deboli” del termine partecipazione. All’estremo opposto, si situa invece chi ne fa un uso improprio o manipolatorio, associandola alla formula politica, tanto abusata quanto ambigua, del populismo. Così la “democrazia diretta” verrebbe ad assumere le fattezze del plebiscito o dell’acclamazione, per poi essere stretta nella camicia di forza della rappresentazione (più o meno) carismatica da parte di un leader.

Ma che si tratti dei detrattori o degli usurpatori della democrazia diretta, in entrambi i casi, essa è considerata come la fase adolescenziale di un movimento, prima dell’arrivo dell’età adulta, quella della “grande politica”.

Nel caso dei gilets jaunes, cioè di una “rivolta storica” in lotta contro un “potere isterico”, le cose stanno diversamente. È ormai risaputo che i gilets jaunes abbiano rifiutato di trasformarsi in partito e respinto ogni offerta elettorale, preferendo l’irruzione moltitudinaria negli spazi urbani, il blocco dell’economia e la sperimentazione collettiva. Il rifiuto della democrazia rappresentativa si fa in nome della democrazia stessa. Tra Commercy e Saint-Nazaire, comincia ora a delinearsi una precisa “forma” di espressione politica del movimento, che segue il suo divenire.

 

“Democrazia diretta”, assume qui una triplice valenza.

a) Innanzitutto, è il nome comune attorno al quale si sono ritrovati un insieme di gruppi locali, assemblee cittadine, capanne, case del popolo, comitati di quartiere e assemblee di banlieue che costituiscono il “corpo” di un movimento policentrico e distribuito sul livello territoriale e nelle reti sociali digitali. Il punto di origine, accanto a una petizione online, è l’occupazione della “rotonda”, il primo di un insieme di cerchi concentrici che configurano un’organizzazione di tipo orizzontale che si sviluppa secondo una logica associativa e una pragmatica degli incontri.

b) In secondo luogo, “democrazia diretta” è un modus operandi fatto proprio dall’AdA, che si è autodefinita, in apertura della tre giorni, come una «piattaforma di intelligenza collettiva», per favorire la condivisione delle esperienze, la mutualizzazione delle idee e delle pratiche e la coordinazione tra i gruppi. Il metodo del consenso, i gruppi di lavoro, la continua scomposizione e ricomposizione dei “cerchi” della discussione, hanno permesso di sostituire, nell’arte della decisione collettiva, il principio di maggioranza con quello dell’agglomerazione delle differenze su dei punti di convergenza.

c) Infine, democrazia diretta è, nel contesto politico attuale in Francia e in Europa, terreno di lotta, diremmo verticale, contro Macron e «il suo mondo», il disastro sociale ed ecologico del neoliberalismo nell’epoca del «capitalocene». Questo confronto verticale si definisce in termini di asimmetria, gli “Atti” del sabato si muovono cioè al ritmo della proliferazione di istituzioni autonome del movimento – ciò che l’AdA definisce «contro-poteri popolari e locali».

Non si tratta perciò semplicemente di recuperare un antico senso andato smarrito della democrazia diretta. L’AdA vuole avventurarsi nel sentiero della scoperta e dell’invenzione. Il video-appello conclusivo così recita: «Di fronte alla mascherata del Grand Débat, di fronte a un governo non rappresentativo e al servizio di una minoranza privilegiata, noi mettiamo in campo le nuove forme della democrazia diretta».

 

 

 

La Maison du Peuple di Saint-Nazaire

La Maison du Peuple (Casa del Popolo) di Saint-Nazaire, un edificio dismesso del “Pôle Emploi”, è stata occupata il 24 novembre 2018, dopo appena una settimana dall’inizio del sollevamento. Alcuni la definiscono come un «centro nervoso» di un tessuto connettivo ben più ampio che investe la città Saint-Nazaire come la banlieue circostante.

La Maison du Peuple è divenuta da subito un punto di raccordo delle rotonde e dei parcheggi occupati dai gilets jaunes nella regione. Un’assemblea plenaria si svolge ogni sera e solo il sabato si organizzano dei concerti, alla fine di ogni Atto. Con il tempo, la Maison si è trasformata in un’officina di auto-produzione con una serigrafia, una rete di raccordo con le cantine e gli agricoltori della regione (alcuni dei quali provenienti dalla ZAD), una piattaforma di comunicazione digitale indipendente.

L’appello dell’AdA è accompagnato da un invito a costruire delle Maison du Peuple ovunque in Francia: «Le nostre Maisons du Peuple sono luoghi di vita, di solidarietà, dove il calore del collettivo non ci fa sentire più soli, dove apprendiamo ad ascoltarci e ad accettarci nelle nostre differenze, e di cui non potremo più fare a meno. E anche se questi luoghi sono minacciati di sfratto non importa, se dovesse accadere ne troveremo altri. La Maison du Peuple non è solo un edificio, si muove con noi.

Nel 1789 il popolo insorto si ritrovava nei club e nei caffé, all’inizio del XX secolo, gli operai rafforzavano la loro solidarietà nelle Bourses du Travail (Camere del Lavoro); nel 1936 e nel 1968, le fabbriche in sciopero furono il cuore della lotta. Le nostre Maisons du Peuple si iscrivono direttamente in questa continuità».

Per ospitare l’assemblea, i gilets jaunes di Saint-Nazaire avevano fatto richiesta al consiglio comunale per avere in affidamento delle strutture pubbliche, ma di fronte al diniego, lo spazio della Maison du Peuple è stato ristrutturato per intero, buttando giù muri e allestendo un tendone da circo nel terreno limitrofo.

 

La Maison du Peuple ha proposto un metodo ispirato da quattro principi:

a) avere fiducia nell’intelligenza collettiva;

b) nessuno, preso singolarmente, ha la soluzione, ma tutti insieme abbiamo una parte della soluzione;

c) abbiamo diritto all’errore;

d) bisogna arrivare a dei punti di convergenza ma senza occultare le divergenze.

 

I promotori hanno invitato una quindicina di “facilitatori” con il compito di moderare i dibattiti in circolo e per assicurare un clima di “benevolenza” nelle assemblee plenarie. Un compito necessario considerando l’eterogeneità dei punti di vista e la diversità dei modi di praticare la “presa di parola” – per non parlare della diversità di culture politiche presenti. Dopo una riflessione sulla natura e sul funzionamento della prossima AdA, è stato raggiunto un accordo generale affinché ciò avvenga ogni mese e mezzo per continuare a consolidare il rapporto di forza in tutto il paese (la prossima AdA sarà prima dell’estate, e la successiva a settembre).

 

 

 

Geografia sociale delle AdA

All’interno della sala dove si svolgono le plenarie è affissa una carta geografica della Francia, sulla quale ciascun comitato appone un segno distintivo. Il numero delle delegazioni è cresciuto rispetto a Commercy (da 70 a 230), come la loro diversità sociale e territoriale. In relazione alla sua provenienza, ciascuna delegazione ha condiviso i suoi modi di ritrovarsi e di organizzarsi. Nelle zone rurali sono le “rotonde” che predominano; nelle città e nelle zone periurbane, i comitati di quartiere e le assemblee di banlieue. Hanno partecipato delle delegazioni delle zone rurali agricole o ad attività turistica (principalmente del Sud-Est della Francia ma anche della regione del Centro), delle zone rurali operaie (Est e Nord), delle zone periurbane (attorno alle grandi città come Parigi o Bordeaux e delle regioni ovest del paese), delle città di media dimensione come Strasburgo, Montpellier, Grenoble o Nantes, delle grandi città come Bordeaux, Tolosa o Lione e, infine, della metropoli parigina (Regione dell’Île-de-France).

L’AdA di Saint-Nazaire ci ha mostrato che la distribuzione nello spazio territoriale dei gilets jaunes sia estremamente più ricca e articolata di quella che ci hanno proposto alcune letture mainstream, fondate su dicotomie quali urbano-rurale, città-campagne o centro-periferia.

Lungi dall’essere, socialmente o geograficamente, “periferici”, appare ormai chiaro che i gilets jaunes si pongono al centro della lotta per l’appropriazione del surplus sociale («partage des richesses», «condivisione delle ricchezze»), per la rivalorizzazione del lavoro («nous voulons vivre des nos métiers», «vogliano vivere dei nostri mestieri), e per costruire resistenza alla privatizzazione del vivente e allo spossessamento dei beni comuni («Fin du monde, fin du mois, mêmes responsables, même combat», «fine del mondo, fine mese: stessi responsabili, stessa battaglia»), mostrando nello stesso tempo come questa lotta sia inseparabile dalla riscrittura delle attuali geografie del potere politico ed economico («Réapprenons à vivre ensemble où nous habitons», «reimpariamo a vivere là dove abitiamo»).

Non è un caso se il movimento, nel corso degli ultimi mesi, abbia sempre più discusso della tematica dell’abitazione, accompagnandola con la pratica dell’appropriazione nello spazio urbano. Proprio perché gli abitanti delle città di medie e grandi dimensioni sono sempre più spinti a stabilirsi nelle aree periurbane a causa della gentrificazione e della rendita immobiliare, e quelli dei piccoli paesi privati dei servizi pubblici e della mobilità regionale, i gilets jaunes hanno orientato la loro azione nei quartieri ricchi delle principali città francesi, turbando il circuito del consumo e del turismo.

Ora, accanto agli Atti del sabato, comincia a prefigurarsi una prospettiva costituente definita municipalista (o comunalista), proposta dai gilets jaunes di Commercy e condivisa da un grande numero di comitati e gruppi. Con questa espressione si critica l’organizzazione centralistica che caratterizza lo Stato francese e si esige in primo luogo un potere di decisione sulla gestione e l’organizzazione dei servizi pubblici locali e sulle politiche urbane e territoriali. La proposta di Commercy sottolinea, inoltre, la necessità di costruire delle assemblee popolari permanenti e, nei casi dove i rapporti di forza lo consentiranno, la presentazione di liste locali indipendenti e vincolate da mandato imperativo. Su questo ultimo aspetto il dibattito è ancora del tutto aperto e nell’appello finale si invita soltanto alla creazione di assemblee popolari locali.

 

 «Gilets jaunes, quel est votre métier ?»

La tre giorni di assemblea si svolge in un clima di forte entusiasmo e determinazione collettiva. E ciò, nonostante i segni e le cifre della repressione del governo – che ora si candida a rappresentare «L’Europa che protegge» – abbiano raggiunto una dimensione inedita per la storia recente francese. La paura o il vittimismo non fanno parte delle tonalità emotive dei gilets jaunes. Tra una plenaria e un’altra, risuonano canti e grida di battaglia, tanto incoraggianti quanto ironici: «Gilets Jaunes, quel est votre métier ? Ahou ! Ahou ! Ahou !» Questo grido, comparso per la prima volta in Italia tra il 2008 e il 2010, durante il movimento dell’Onda, è ora fatto proprio da una composizione sociale ben più ampia e frastagliata: pensionati, operai, insegnanti, lavoratori delle piattaforme, disoccupati, lavoratori del settore associativo, funzionari pubblici, studenti, militanti dei quartieri popolari, piccoli agricoltori e piccoli commercianti.

Piuttosto che limitarci a un’ennesima descrizione o a una classificazione delle categorie “socio-professionali” che compongono il movimento – ciò che spesso fa il paio con un indeterminato “inter-classismo” dei gilets jaunes – risulta più fruttuoso concentrarsi sulla soggettivazione politica, diremmo di classe, prodottasi in questi cinque mesi di lotta. Da questo punto di vista a Saint-Nazaire, due elementi appaiono ormai chiari.

 

 

Il primo è che i gilets jaunes intrecciano la rivalorizzazione del lavoro concreto e la rivalorizzazione della vita nel suo complesso. Così l’insistenza sul salario è accompagnata da una serie di altre istanze che eccedono il rapporto salariale: servizi pubblici, pensioni, sostegno ai disabili, abitazione, indennità di disoccupazione, zero senza tetto. La lotta dei gilets jaunes non si limita a denunciare lo smantellamento dello Stato sociale, ma comincia a interrogarsi, seppur in forma di bozza provvisoria, sulla reinvenzione e la socializzazione dei suoi istituti. Nello stesso tempo, la questione fiscale è agita nel senso della «fine dei privilegi». «Andare a prendere il denaro li dove si trova» significa, accanto al rifiuto della tassazione indiretta – come nel caso della «tassa carbone» e ora dell’aumento dell’elettricità – l’elaborazione di un insieme di misure volte a riaffermare l’equità fiscale secondo il principio «les gros payent GROS et les petits payent PETIT» («I grandi paghino MOLTO, e i piccoli paghino POCO»).

Viene discussa la reintroduzione dell’ISF (imposta sulle grandi fortune), il recupero del fondo economico di 40 miliardi del CICE (credito d’imposta per l’attività e l’impiego), la tassazione dei grandi gruppi del Web e delle imprese inquinanti, l’intervento contro i grandi evasori fiscali, ecc. L’insistenza sulla vita e sul lavoro, e la lotta per la fine dei privilegi (piuttosto che contro una generica “casta”) dividono l’astratta omogeneità del “popolo”, mostrando che esso si compone, al suo interno, di interessi frazionali e divergenti.

Il secondo è che la trasformazione sociale, nel senso dell’égalité, è inseparabile da quella politica. La critica, da parte dei gilets jaunes, della forma di governo della V Repubblica muove dalla consapevolezza che l’esaurimento della sua costituzione materiale sia proporzionale alla torsione autoritaria di alcuni suoi istituti e apparati amministrativi. A Saint-Nazaire i gilets jaunes intendono “funzionare”, sul piano sociale, come una molteplicità di gruppi che si oppongono alla riorganizzazione autoritaria della macchina statale (si veda ora la legge “anti-casseurs” approvata dal parlamento). La messa in evidenza della comune condizione di “povertà produttiva” indirizza il movimento verso una lotta per l’esistenza sociale, conferendogli allo stesso tempo un forza d’urto che investe il fondamento di legittimità del potere sovrano. È impossibile separare lo slogan «Macron démission !» dal canto persistente «On est là, même si Macron ne le veut pas nous, on est là» («Siamo qui, anche se Macron non ci vuole, noi siamo qui»).

Le rivendicazioni dei gilets jaunes vengono oramai racchiuse in questa formula: «giustizia sociale, giustizia fiscale, giustizia ecologica e più democrazia». I quattro livelli risultano indissociabili, nonostante i media chiedano ripetutamente al movimento di «gerarchizzare le rivendicazioni». Questo non accade, perché non si è nel quadro di una negoziazione di tipo settoriale. Lo stesso Macron, d’altronde, ha fatto della liquidazione dei corpi intermedi uno dei tratti distintivi del suo progetto di governo. Ma se i gilets jaunes non gerarchizzano le loro istanze, è soprattutto perché essi si stanno indirizzando verso una critica radicale del sistema politico ed economico, facendo della stessa “ecologia” un campo di dura contesa.

 

La moltiplicazione delle lotte attuali ci invita a ricercare l’unità d’azione

L’insieme delle proposte presentate dai comitati locali hanno avuto per obiettivo di organizzare il movimento nella durata e consolidare le sue strategie nel breve come nel lungo termine. In chiusura della tre giorni, differenti appelli sono stati redatti, approvati e pubblicati in formato testuale e video.

Nel quadro di un appello alla mobilitazione per il 1° Maggio e una “settimana gialla di azioni”, così come di una convergenza con il movimento climatico e le lotte per l’abitazione, la prospettiva di un «movimento sociale ecologico e popolare» sembra riunire le diverse richieste di “giustizia” all’insegna dell’unità dell’azione.

Nell’appello dedicato alla «convergenza ecologica» si afferma che è la logica di sfruttamento infinito del capitalismo che distrugge gli essere umani e la vita sulla Terra. La limitazione delle risorse spinge il movimento a porsi la questione della loro condivisione nonché del controllo della produzione. La “tassa carbone”, afferma l’AdA, è l’esempio perfetto di una finta ecologia punitiva che colpisce coloro che non sono responsabili, se non in minima parte. Così, i gilets jaunes invitato tutti coloro che vogliono mettere fine all’accaparramento del vivente ad agire contro il sistema attuale.

 

 

Le elezioni europee sono state discusse come l’occasione per denunciare il carattere anti-democratico delle istituzioni della UE e come un terreno di mobilitazione su scala europea. Considerando il periodo elettorale come un «Atto di riconquista democratica», i gilets jaunes rifiutano ogni indicazione di voto, per proporre una presenza nelle strade e nelle piazze durante l’intero periodo elettorale (è prevista anche una manifestazione a Bruxelles per fine maggio-inizio giugno).

 

 

Inoltre, un appello è dedicato all’annullamento delle pene per le migliaia di persone imprigionate e condannate nel corso del movimento dei gilets jaunes o di altre lotte che vertono sul bene comune, lotte dei quartieri popolari, ecologiche o che costruiscono una democrazia diretta. Si insiste dunque sulla costruzione di una campagna per la difesa delle libertà pubbliche e dei diritti fondamentali e si propone una piattaforma nazionale per censire i casi di repressione giudiziaria, e sostenerne la difesa in sede legale.

 

 

A lungo termine, come si è detto, la prospettiva municipalista (o comunalista) è stata proposta dai gilets jaunes di Commercy. Anch’essa si presenta sotto forma di appello condiviso dall’Ada: «Noi invitiamo a creare in ogni comune francese o dove sia possibile una o più assemblee cittadine e popolari. Perché questo potere ci è stato confiscato come lo constatiamo in molteplici ambiti: ecologia, pubblico/privato (privatizzazioni), democrazia, ecc».

 

 

L’insieme delle proposte, degli strumenti di lavoro e degli appelli condivisi dall’AdA dovrà ora essere ridiscusso da ciascun comitato o assemblea locale presente a Saint-Nazaire. Il riferimento alla necessità di «uscire dal capitalismo», contenuto nell’appello finale, ha provocato una vivace discussione. In particolare, alcuni hanno espresso la loro perplessità perché l’uscita dal capitalismo non è una rivendicazione da agire nei confronti della controparte ma un obiettivo di fondo che si conquista con la forza materiale della lotta. Altri, pur dichiarandosi espressamente anti-capitalisti, hanno invece segnalato l’esigenza di preservare l’eterogeneità del movimento, esprimendo nell’appello solo le istanze più largamente “consensuali”. Altri ancora, all’opposto, hanno affermato che l’uscita dal capitalismo è una conseguenza logica delle rivendicazioni dei gilets jaunes. La proposta è stata approvata e ora dovrà essere sottoposta ai comitati locali, come tutto il resto.

In conclusione, occorre anche sottolineare che la “gruppolosità” dei gilets jaunes vada ben al di là dell’insieme dei comitati che si sono ritrovati a Saint-Nazaire. L’AdA si configura, dunque, come un’ipotesi di lavoro e l’espressione di una tendenza all’interno del movimento dei gilets jaunes, senza pretendere di “rappresentarne” la complessità.

Questa si manifesta in molteplici pratiche di lotta e modi di esistenza politica: negli “Atti” del sabato, nell’uso politico delle reti sociali, nella piattaforma digitale alternativa del “Vrai Débat”, nelle “assemblee cittadine”, nei picchetti di fronte ai pedaggi, ai depositi della logistica, alle sedi di Amazon e ai centri commerciali, negli incontri pubblici alla Bourse du Travail di Parigi e nelle sale comunali nei piccoli centri, nei “punti fissi” di informazione nei quartieri e nei mercati rionali, nella costruzione delle capanne nelle rotonde e nelle piazze delle città.

 

 

Foto di Yves Monteil dal sito Reporterre