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ITALIA
Il cuore queer di Monterotondo batte al ritmo del Papel Pride
Un Pride nato dall’impegno di una comunità, cresciuto anno dopo anno fino a portare in strada la sua prima parata. Tra interviste, storie e riflessioni raccolte durante la giornata, un mosaico di voci racconta cosa è stato – e cosa continuerà a essere – questo percorso collettivo di costruzione e riconoscimento
Sabato 7 giugno, per la prima volta, Monterotondo ha accolto una parata dell’orgoglio queer. Alla sua quarta edizione, il Papel Pride ha compiuto un passo importante, portando per le strade della città un corteo dedicato ai diritti LGBTQIA+: un momento di rivendicazione collettiva, festa e condivisione.
Alle 16, il concentramento in Piazza Roma. Da lì il corteo ha attraversato le vie principali della città fino a raggiungere il Papel, un luogo punto di riferimento per la comunità queer di Monterotondo e dei territori vicini.
«Quando ho creato il Papel, rispondevo a un bisogno che avevo io stessa: uno spazio sicuro, un luogo di incontro, confronto e libertà» racconta Laura Seneca, fondatrice del locale e ideatrice del Pride. «Mi sono presto resa conto che non era un bisogno solo mio: così è nato tutto».
Come il locale da cui ha preso forma, il Papel Pride è un progetto costruito dal basso e cresciuto grazie all’impegno della sua comunità. Partito da un piccolo nucleo di amicizie e attivismo, oggi coinvolge una rete sempre più ampia di partecipanti, sostenitori e sostenitrici.
«Dopo aver fondato il collettivo Out of the Closet abbiamo cominciato a proporre iniziative: presentazioni di libri, proiezioni, concerti» spiega Laura.
«Da lì è maturata l’idea di costruire una vera giornata di orgoglio e rivendicazione, che parlasse a noi e a tutta la comunità».
Un Pride in provincia, una sfida politica
Organizzare un Pride a Monterotondo, a due passi da Roma, ha comportato sfide impreviste. «All’inizio» racconta Laura «mi sembrava naturale proporlo nel territorio in cui vivo. Solo dopo ho capito quanto fosse importante farlo proprio qui, in un contesto che, nonostante la vicinanza a Roma, mantiene ancora tratti di isolamento e chiusura. Me ne sono resa conto quando, dopo i primi eventi, sono arrivati anche i primi attacchi: denunce, controlli, opposizioni esplicite alla nostra presenza nello spazio pubblico».
La città, precisa Laura, riflette una pluralità di atteggiamenti: «Molte persone partecipano alle nostre iniziative, vengono al Papel, sostengono il Pride. Ma esistono ancora gruppi dichiaratamente ostili». Esperienze che hanno rafforzato il senso politico della manifestazione: «Quegli attacchi mi hanno fatto capire che il Pride non è solo un momento di festa: è una necessità. Serve a tutelare chi ogni giorno deve lottare per esistere. Quando colpiscono me come organizzatrice, colpiscono tutte le persone come me. Per questo il Pride è uno strumento di autodifesa, di visibilità, di rivendicazione quotidiana».

Un sentire condiviso anche da chi ha preso parte attivamente al corteo e ha animato la giornata con performance artistiche, tra cui il collettivo comico Fraciche Queer Comedy, di cui fanno parte Simonetta Musitano, Frad e “Le recensioni non richieste”, presenze affezionate del Papel Pride. Nel corso dell’evento, hanno condiviso con noi la propria riflessione sul valore di prendere parte a questa giornata.
«È importante attraversare questi spazi» osserva Simonetta Musitano. «Si vede nei volti di chi resta a guardare dai marciapiedi, con espressioni scandalizzate. Eppure proprio questo è il senso: scuotere, rompere abitudini, lasciare un segno. Magari qualcuno che oggi non ha avuto il coraggio di partecipare, domani lo farà. È così che si alimenta la resistenza e si allarga la comunità».
Per Frad, il valore di una giornata come questa è ancora più evidente in un contesto di provincia: «Un Pride è esattamente ciò che abbiamo fatto oggi: un’esposizione di corpi, di persone che dichiarano apertamente chi vogliono essere, in uno spazio che non era certo, che non li attendeva, che non necessariamente li accoglie. È questo, per me, il senso del Pride: attraversare luoghi dove la nostra presenza non è data per scontata, per poi affermarla con forza».

Un’idea condivisa anche da “Le recensioni non richieste”: «A Roma il Pride è ormai un evento consolidato, sostenuto e riconosciuto. Qui invece conserva ancora tutta la sua forza originaria: sfilare in strade dove la tua presenza non è data per scontata, dove forse, già questa sera o domani, non ti sentiresti al sicuro. Il Pride, in contesti così, è un punto di partenza, un messaggio forte: insieme alla tua comunità puoi attraversare questi spazi, puoi farli tuoi».
Nonostante la partecipazione cresca, costruire spazi sicuri e promuovere una cultura di inclusione resta una sfida. «La strada è ancora difficile» osserva Carlo Lucidi, libraio e tra gli organizzatori del Pride. «Ma è significativo che, alla quarta edizione, il Comune abbia scelto di riconoscere formalmente la nostra presenza, concedendoci il patrocinio. È un segnale che stiamo, poco a poco, guadagnando spazio e legittimità». Un riconoscimento che però non modifica la natura del Papel Pride: «Il nostro Pride nasce dal basso, autofinanziato, costruito da chi lo desidera e lo vive» prosegue Carlo. «Il patrocinio ci tutela, certo, soprattutto in un contesto dove ci sono ancora resistenze, ma non cambia l’identità dell’iniziativa. Resta un luogo autonomo, pensato da e per la comunità queer».
Una piazza locale e transnazionale
Tra i cartelli e gli striscioni, il corteo che ha attraversato le strade di Monterotondo è stato anche capace di connettere le battaglie del territorio con le lotte globali. Dai “5 Sì” al referendum su lavoro e cittadinanza, fino a una presa di posizione netta contro il genocidio in Palestina – bandiere, cori e slogan che hanno attraversato con forza l’intera giornata. Una manifestazione che ha fatto della solidarietà transnazionale una componente viva della propria identità politica. Così, accanto ai temi dell’orgoglio queer, il Pride ha assunto i contorni di uno spazio intersezionale, aperto alle molteplici lotte che attraversano il presente: per la laicità, per l’autodeterminazione, contro ogni forma di oppressione e marginalizzazione.
Un mosaico di corpi e voci che ha riscritto la geografia simbolica di Monterotondo, trasformando le sue strade in un luogo di rivendicazione collettiva.
Nel suo intervento, Milo, formatore e attivista trans, ha sottolineato il legame tra le retoriche d’odio che colpiscono le persone trans e i meccanismi più ampi di oppressione e genocidio. A partire da un’analisi dello storico John Bradley Lastrange, che ha tracciato parallelismi tra la propaganda nazista e le narrazioni odierne della destra statunitense, è emerso come le persone trans vengano oggi sistematicamente demonizzate: descritte come “minaccia”, “predatori”, “pericolo per le donne”. Un discorso tossico che si traduce in esclusioni concrete – dall’accesso agli spazi pubblici e sportivi, al diritto al lavoro, fino al diniego di cure mediche essenziali. Nel mirino non ci sono solo i corpi, ma le vite stesse: «Negare alle persone trans l’accesso a servizi salva-vita e sottoporle a esclusione sociale e demonizzazione quotidiana rientra, secondo la definizione delle Nazioni Unite, nella logica genocidaria», è stato ricordato da Milo.
Il collegamento con la lotta palestinese è stato altrettanto esplicito: «Ci chiedono come possiamo sostenere la Palestina, sapendo che anche lì le persone queer subiscono persecuzioni. Ma è proprio questo che ci unisce: l’esperienza quotidiana dell’oppressione. Chi oggi muore sotto le bombe a Gaza – donne, bambini, persone queer – ci riguarda profondamente. Perché la logica che disumanizza e nega il diritto all’esistenza è sempre la stessa, qui come altrove».

Parole che hanno risuonato con forza, intrecciandosi al battito collettivo della piazza. In quello spazio attraversato da storie e identità plurali, i vissuti personali e gli scenari globali si sono messi in dialogo. A ogni passo del corteo, il senso profondo della giornata si arricchiva delle esperienze di chi aveva scelto di esserci.
A cogliere con forza questo intreccio è anche Javi Alonso, un ragazzo basco che trascorre spesso del tempo a Monterotondo, dove vive il suo compagno. «Mi ha colpito profondamente la presa di posizione così chiara contro il genocidio in Palestina» racconta. «Ma anche l’appello per la democrazia, per una partecipazione reale alla vita pubblica».
Per Javi, il valore di questa giornata sta anche nel gesto collettivo: «In una città come Monterotondo, non molto grande, e dove certe dinamiche sociali possono ancora essere limitanti, ritrovarsi insieme, prendersi le strade in modo rivendicativo ma festoso, solidale, è qualcosa di potentissimo».
Tracciare strade, dal quotidiano al politico
Nel coro di voci che ha attraversato la manifestazione, si distingue anche quella di Serena Cancilla e Simona Paciletti, una coppia che nei prossimi giorni celebrerà la propria unione civile. Per entrambe, una scelta che va oltre l’atto formale. «È un modo per dirci, anche pubblicamente, ciò che già ci diciamo ogni giorno» spiega Simona. La decisione di celebrare la cerimonia in Comune a Monterotondo è stata ragionata: «Avremmo potuto scegliere un rito diverso, ma per noi è importante che sia visibile, anche come esempio per chi vive qui. Soprattutto per le e i più giovani. Quest’anno ho lavorato in una scuola e ho invitato al Pride i ragazzi e le ragazze che ho seguito. Molte e molti di loro sono omosessuali o bisessuali e spesso portano con sé paure e insicurezze, il peso di doversi nascondere. Per me è importante che sappiano che vivere apertamente è possibile».

Serena aggiunge una riflessione personale: «Non avevo mai pensato di sposarmi. Oggi però l’unione civile è anche un atto politico. Nonostante la legge continui a distinguere tra unioni civili e matrimonio, abbiamo deciso di prenderci comunque quello spazio. Per noi, per chi ci è vicino, per chi ci vede anche solo di passaggio».
Negli anni questo percorso si è intrecciato con quello del coming out. «Con il tempo ho sentito il desiderio di condividere sempre più apertamente chi sono» racconta Serena. «Ho iniziato a farlo nella vita quotidiana e nei contesti professionali, senza più la necessità di nascondermi».
Per lei è un gesto che fa la differenza: «Dire: ‘esisto, e lo dichiaro con forza’ spesso disarma le chiusure. Ma non basta la forza individuale: è fondamentale costruire comunità. Si può vivere la propria realtà, con il sostegno collettivo, e costruirla ogni giorno: è nella quotidianità che si afferma la propria presenza».
Anche tra i più giovani, la giornata ha lasciato un segno. Anna, 19 anni, frequenta il liceo a Monterotondo, e racconta con entusiasmo l’emozione di vedere sfilare il Pride nella propria città. «È stato pazzesco!» dice sorridendo. «È bellissimo che in una piccola città di provincia si respiri un senso di appartenenza così forte, che altrove spesso manca. Sapere di non essere sola, sapere che c’è chi lotta insieme a te, è qualcosa di prezioso. A Monterotondo, serviva davvero». La sua presenza in piazza è tutt’altro che marginale: «Anche noi, che viviamo e studiamo qui, ci battiamo ogni giorno. Nelle province serve ancora di più, perché troppo spesso questi territori vengono dimenticati. Ma anche la provincia esiste e ha voce per farsi sentire».

In continuità con il percorso della giornata, il pomeriggio, si è aperto a nuovi spunti di riflessione. Dopo il corteo è stato presentato il libro Rivoluzione non binaria. Viaggio nell’embyfemminismo, di Lou Ms Femme, edito da Le Plurali, casa editrice transfemminista indipendente. Un volume che accompagna alla comprensione dell’enbyfemminismo e delle identità non binarie, mettendo in luce come le categorie di genere siano il prodotto di costruzioni culturali e sociali, e non di determinismi biologici. «Il binarismo è una costruzione storica, culturale e coloniale» ha ricordato Lou. «In molte culture non occidentali, la varianza di genere è sempre stata riconosciuta e valorizzata, prima che colonialismo e capitalismo imponessero una rigida normalizzazione». Il libro si inserisce così nel lavoro collettivo di decostruzione del binarismo e di costruzione di spazi e narrazioni più libere, in grado di riconoscere e sostenere percorsi e soggettività molteplici.
Una rete per spezzare l’isolamento
Se il Papel Pride rappresenta un momento di visibilità, è nel quotidiano che la comunità queer di Monterotondo si confronta con le sfide più profonde. In un clima culturale sempre più segnato da derive conservatrici, costruire spazi sicuri resta un impegno costante.
«Viviamo un periodo in cui certe idee tornano ad attecchire, anche tra i più giovani» osserva Laura Seneca. «Ci sono stati attacchi al locale, anche solo per la presenza della bandiera arcobaleno. In questi casi posso autotutelarmi, ma sarebbe importante un riconoscimento chiaro della nostra legittimità nello spazio pubblico».
Proprio per questo, esperienze come il Papel Pride sono oggi più necessarie che mai. «Mi chiedono spesso se progetti come il nostro possano essere replicati altrove. Non solo è possibile, è indispensabile» sottolinea Laura.

A rimarcare l’importanza di costruire legami tra esperienze diverse, dal palco è intervenuta anche Silvia, fondatrice di Agrilab, un’azienda agricola nata 11 anni fa a Campagnano di Roma: «Abbiamo creato questo luogo con il desiderio che crescesse come una vera famiglia queer. Crediamo che le relazioni non si esauriscano nelle coppie, ma si nutrano anche di amicizie e collaborazioni. Oggi Agrilab è uno spazio di inclusione sociale, dove ogni persona può sentirsi a casa, senza distinzioni di genere o orientamento. Essere qui oggi per me è importante: il sostegno che sto ricevendo da queste compagne di percorso mi dà nuova forza per continuare a creare e far crescere il progetto».
Accanto al Pride, c’è la volontà di costruire percorsi stabili, che accompagnino la comunità durante tutto l’anno. «Vogliamo creare spazi di confronto aperto, in cui tutte e tutti possano sentirsi accolti, soprattutto le persone più giovani» conclude Laura.
Il progetto è condiviso anche da Serena Cancilla e Simona Paciletti, che metteranno a disposizione le loro competenze in ambito psicoeducativo. «Abbiamo pensato a incontri periodici, una sorta di gruppo di auto-mutuo aiuto, per sostenersi reciprocamente» spiega Serena. «E se necessario, attivare sportelli di ascolto e consulenze, per rendere questo spazio ancora più utile e accessibile».
Il percorso tracciato dal Papel Pride non si esaurisce nella giornata della parata. La sfida è quotidiana: costruire spazi di autodeterminazione, rafforzare reti solidali, spezzare l’isolamento che ancora segna molte vite. Un appuntamento che continuerà a crescere, passo dopo passo, insieme a chi ogni giorno sceglie di esserci e di farsi spazio, perché, come ha mostrato il corteo di quest’anno, non c’è luogo che non possa essere attraversato, riempito, trasformato.
Se il 7 giugno Monterotondo ha scritto una pagina nuova nella sua storia, è grazie alla forza di una comunità che non arretra. «Ormai il Pride lo faremo ogni anno» sorride Laura. «Mi dispiace per chi non lo vuole, ma resteremo qui. Anzi, lo facciamo anche per loro».
L’immagine di copertina è di Edoardo Felici
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