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ITALIA

Il buio oltre la vita

Eutanasia, suicidio medicalmente assistito, morte assistita, fine vita. Modi diversi per dire una cosa semplice e, al tempo stesso, complessa: esiste una frontiera tra la mia libertà di decidere e quella dei governi di impedirmelo. Il caso della Toscana

Ci sono molti e significativi distinguo tra queste definizioni, che per brevità chiariremo così: la differenza sta nel porre fine alla propria esistenza senza interventi esterni o, invece, farlo grazie all’aiuto di persone “autorizzate”. Fin qui, le alchimie istituzionali. Al fondo, però, la questione è quale sia il margine di libero arbitrio che ti consente di decidere quando e come farla finita o se, nel caso tu non possa o non voglia farlo direttamente, un’altra persona lo possa fare per te.

In Italia da anni l’associazione Luca Coscioni accompagna al fine vita una donna o un uomo che decide di farla finita ma, nel farlo, incorre in un reato, perché nel nostro Paese questa decisione non è legale e nessuna persona può prenderla, neppure per se stessa. Dal marzo scorso, invece, la Toscana si è dotata di una propria legge (due mesi dopo impugnata dal governo) e qualche giorno fa una persona affetta dal morbo di Parkinson in stadio avanzato ha potuto utilizzare la pratica del suicidio assistito.

La regione Toscana, prima in Italia, ha legiferato in tal senso perché dal 2019 esiste una sentenza della corte Costituzionale che consente, a determinate condizioni, di autosomministrarsi un farmaco letale.

Peccato che alla sentenza, e nonostante le molte sollecitazioni proprio da parte della Consulta, non sia mai seguita una legge dello Stato. Le ragioni sono sempre le stesse: motivi etici, difficoltà giuridiche, prudenze religiose. Noi ne aggiungiamo una quarta: la contrarietà a ritenere ogni persona padrona di compiere una libera scelta sul proprio corpo. Vecchia storia.

L’Habeas corpus, che ha sostenuto il sistema giuridico anglosassone fin dalla metà del Seicento, qui da noi non ha luogo a procedere. Ma vediamo come funziona altrove. A cominciare, proprio, dalla Gran Bretagna: il 29 novembre scorso, la Camera di Comuni ha approvato in seconda lettura, con 330 voti favorevoli e 275 contrari, il Terminally Ill Adults (End of Life) Bill che legalizza il suicidio assistito in presenza di specifiche condizioni e all’esito di una procedura che accerti la libera e consapevole volontà del richiedente, riconoscendo alle persone che malattie terminali, residenti in Inghilterra e Galles, il diritto di ricevere l’assistenza medica necessaria per porre fine alla propria vita. L’iter non è ancora terminato, dal momento che si prevedono alcuni passaggi istituzionali, ma la decisione ormai è presa.

Il disegno di legge prevede numerose garanzie, come la necessità che la persona abbia la capacità di prendere tale decisione, due dichiarazioni formali della sua intenzione di farlo, due valutazioni di idoneità da parte di due medici entro una settimana l’una dall’altra e l’approvazione di un giudice dell’Alta Corte. Le persone adulte che si prevede moriranno entro sei mesi potrebbero essere idonee e ricevere una sostanza approvata che potrebbero autosomministrarsi per morire. Il progetto di legge ha avviato un dibattito nel Paese sulle garanzie necessarie per evitare che le persone siano vittime di coercizione e sulla libertà di scegliere come morire.

In Europa, sono pochi i Paesi che consentono la morte assistita e molti di questi hanno modificato la loro legislazione solo di recente. Il primo al mondo a depenalizzare l’eutanasia è stato l’Olanda nel 2002, con la legge sulla cessazione della vita su richiesta e sul suicidio assistito (procedure di revisione). In Svizzera, invece, il suicidio assistito è punibile solo se la persona che aiuta qualcuno a morire agisce per motivi personali. Questo è il caso da quando il codice penale è entrato in vigore nel 1942.

Gli altri Paesi europei che consentono la morte assistita sono Belgio, Lussemburgo, Germania, Spagna, Austria e Portogallo.

Il Belgio ha depenalizzato l’eutanasia dopo i Paesi Bassi nel 2002, sempre a condizioni specifiche. La o il paziente deve essere in grado di esprimere la propria volontà, non avere prospettive di miglioramento e riferire sofferenze insopportabili. La richiesta deve essere volontaria, ponderata, ripetuta e fatta senza pressioni esterne. Nel 2014 è stata estesa anche alle e ai minorenni. Il Lussemburgo ha depenalizzato l’eutanasia o il suicidio assistito nel 2009, mentre la Spagna ha approvato una legge nel 2021 che consente entrambi per le persone con sofferenze insopportabili. Il parlamento portoghese ha approvato una legge che consente l’eutanasia nel 2023 dopo un lungo dibattito e dopo il veto del presidente del Paese.

Nel 2020 la Corte costituzionale federale tedesca ha dichiarato incostituzionale una legge che criminalizzava i servizi di suicidio assistito perché il legislatore doveva «garantire uno spazio sufficiente affinché l’individuo possa esercitare il proprio diritto a una morte autodeterminata e perseguire e portare a termine la decisione di porre fine alla propria vita alle proprie condizioni».

La legge austriaca è stata modificata nel 2022 a seguito di una sentenza che ha stabilito che il divieto di suicidio assistito viola il diritto all’autodeterminazione. Altri Paesi europei hanno avuto recenti dibattiti sulla morte assistita, tra cui la Francia, che continuerà a discutere la legislazione sulla morte assistita che include un maggiore supporto di cure palliative nel gennaio 2025.

Anche in Irlanda una commissione speciale ha raccomandato al governo di «introdurre una legislazione che consenta la morte assistita». Il parlamento irlandese ha votato per prendere nota del rapporto nell’ottobre 2024, ma non hanno ancora introdotto una nuova legislazione.

Ma torniamo in Italia e vediamo come pensa di risolvere il contenzioso con la Consulta, prima ancora che con la Toscana, il governo.

Tutto è ancora un “si dice” e “trapela negli ambienti” ma pare che tutto si riduca alle cure palliative e poco più.

Peccato che la legge 38 su questo aspetto sia già in vigore dal 2010 e preveda, contemporaneamente, come nella migliore tradizione, l’obiezione di coscienza da parte dei medici e l’istituzione di un comitato etico nazionale i cui componenti verranno scelti attraverso un decreto del presidente del consiglio (!). 

Tutto questo, forse, farà il suo solenne ingresso al Senato a partire dal prossimo 17 luglio. Anche le opposizioni hanno annunciato un loro disegno di legge (primo firmatario il senatore Pd Alfredo Bazoli) che potrebbe procedere di pari passo con quello della maggioranza.

L’ultima, lo scorso anno, quando il GIP di Firenze avanzò questioni di legittimità costituzionale alle quali la Consulta rispose così: «Nella perdurante assenza di una legge che regoli la materia – si legge – i requisiti per l’accesso al suicidio assistito restano quelli stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, compresa la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, il cui significato deve però essere correttamente interpretato in conformità alla ratio sottostante a quella sentenza. Tutti questi requisiti – (a) irreversibilità della patologia, (b) presenza di sofferenze fisiche o psicologiche, che il paziente reputa intollerabili, (c) dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, (d) capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli – devono essere accertati dal servizio sanitario nazionale, con le modalità procedurali stabilite in quella sentenza».

Ancora una volta la palla torna al governo che, a causa della propria latitanza, aveva indotto l’associazione Luca Coscioni a promuovere nel 2021 un referendum sull’eutanasia legale che prevedeva la parziale abrogazione dell’articolo 579 del Codice Penale dal titolo e che avrebbe permesso a chi si trova in condizioni di sofferenza insopportabile, ma pienamente capace di intendere e di volere, di scegliere la morte medicalmente assistita con somministrazione del farmaco letale da parte del personale sanitario, senza il rischio di condanne per chi avesse fornito questo aiuto. La stessa Corte costituzionale, presieduta da Giuliano Amato, lo aveva però dichiarato inammissibile.

Ma il movimento che attorno al tema si è costituito non molla e ha dato vita alla campagna “Liberi subito” che si rivolge in particolare alle Regioni.

Infatti, dopo la Toscana, altre Regioni, come il Veneto e la Puglia, hanno discusso proposte di legge, ma non hanno ancora legiferato in materia. In Puglia, il tema del fine vita è regolamentato da una delibera della Giunta regionale del 18 gennaio 2023, che attua le disposizioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019 riguardo al suicidio medicalmente assistito. Dal 2019, sono state presentate sette richieste di fine vita in Veneto, di cui due hanno seguito il percorso previsto. Ma, mentre il presidente Zaia si è trincerato dietro la necessità di una legge nazionale, una proposta di legge di iniziativa popolare sul fine vita è stata presentata al Consiglio regionale del Veneto, ma è stata rinviata in commissione. 

Il 15 maggio scorso la Commissione Sanità del Consiglio regionale della Sardegna ha avviato l’esame della proposta di legge sul fine vita n. 59/2024 (Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019).

In Emilia Romagna la Giunta ha emanato delle linee di indirizzo per le Asl ma la proposta di legge di iniziativa popolare è decaduta per fine legislatura a causa dello scioglimento anticipato dell’Assemblea regionale. Anche se, nonostante l’assenza di una legge, ci sono stati tre casi con parere favorevole, uno dei quali conclusosi con l’accesso alla morte volontaria assistita.

Infine, la stessa regione Toscana ha deciso di rilanciare e il 22 maggio scorso si è costituita in giudizio davanti alla Consulta dopo che il governo, l’8 maggio, aveva annunciato di aver impugnato la legge regionale 16/2025. «Con questo atto – si legge in una nota – vogliamo ribadire con coerenza il valore della nostra legge: una norma che disciplina modalità organizzative, nel pieno rispetto delle competenze regionali in materia sanitaria. Riteniamo infatti legittimo che una Regione, nel rispetto della sentenza costituzionale n. 242 del 2019, definisca regole oggettive e termini certi, per assicurare a tutti i cittadini pari accesso e dignità nel percorso di fine vita».

Fin qui il tira e molla di partiti, Governo, Regioni, associazioni. Ma per le persone che hanno bisogno di essere aiutate, cosa resta?

Dai dati raccolti dalla associazione Luca Coscioni, a oggi sono 51 le richieste pervenute in diverse regioni con esiti variabili tra approvazioni, dinieghi e procedure in corso. 51 persone la cui vita (e morte) è appesa alle prudenze e alle opportunità politiche.

Cosa resta da fare? Innanzitutto il testamento biologico, noto anche come disposizioni anticipate di trattamento (DAT), un documento in cui una persona maggiorenne e capace di intendere e volere esprime le proprie volontà riguardo alle cure mediche da ricevere nel caso in cui non fosse più in grado di farlo autonomamente. 

Serve a garantire che le scelte terapeutiche siano rispettate, anche quando non può più comunicarle direttamente. Si tratta della legge 219 del 2017 (detta anche legge sul fine vita), entrata in vigore il 31 gennaio del 2018 ed è una procedura molto semplice: si può fare di proprio pugno o scaricando e compilando l’apposito modulo. Con il testamento biologico si può anche nominare una persona di fiducia che dovrà far rispettare le tue volontà. Dopo aver compilato il biotestamento lo si può consegnare personalmente all’ufficio di stato civile del Comune di residenza oppure rivolgersi a un notaio. In entrambi i casi, una volta depositate, le DAT saranno inserite e conservate nella banca dati nazionale dedicata.

L’immagine di copertina è di dumplife (Mihai Romanciuc)

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