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Dal 15M al comunismo macchinico

La pandemia di Covid-19 e riscaldamento globale stanno imponendo ristrutturazioni profonde agli stati e al capitale internazionale. Come è possibile ri-pensare un’istituzione del comune dentro le nuove reti di comunicazione transindividuali?

Il testo tradotto e pubblicato in seguito è la conclusione di Lo Absoluto de la Democracia (Subtextos, Maggio 2021), un libro che raccoglie i contributi di Raúl Sánchez Cedillo – attivista, traduttore e operatore culturale spagnolo – durante l’ultimo decennio.

Un decennio iniziato nel segno della crisi finanziaria e delle rivolte sociali. Con quelle rivolte, ha avuto luogo anche l’irruzione di una nuova logica politica legata a doppio filo con le nuove tecnologie, offerte e appropriate dalle stesse piattaforme digitali che oggi strutturano in maniera tanto evidente gli assi fondamentali della produzione.

Da questo spazio (Italia) – tempo (pandemia), è difficile riflettere in maniera non disperante sulla nuova logica che si è espressa nella politica di questo stesso decennio. Eppure, ciò avviene esattamente perché questa logica di sistema-rete si è radicata persino nei paesi come il nostro, dove le tecniche della nuova logica politica non sembrano emerse a partire da rivolte sociali nel segno della liberazione.

Il libro di Rául costituisce, come afferma Toni Negri nella prefazione, una «grammatica di liberazione» per pensare – anche incoerentemente, ma senza resa – dentro questa nuova logica. È difficile. È difficile il libro come è difficile svolgere oggi e qui tale esercizio di pensiero. Ma è proprio per non arrendersi a tale difficoltà che sarebbe prezioso tradurre interamente questo libro, che parla di dibattiti e storie – spagnole – così vicine e così lontane dallo spazio geografico-linguistico italiano. 

Siamo dunque felici di ospitare la traduzione del testo “conclusivo” del libro, che arriva a confrontarsi con la nuova irruzione eco-sistemica, la pandemia di Covid-19, da una prospettiva forgiata nell’evento 15M e nel decennio di successive trasformazioni.

Dal 15M al comunismo macchinico-dividuale   

I testi pubblicati in questo volume attraversano un decennio cruciale per un punto di vista che si situa nella scena spagnola ed europea, e fondamentalmente si presentano come un prima e un dopo il 15M. Nelle condizioni attuali, può sembrare che [questi testi] rispondano solo a una sequenza di interventi politici e discorsivi in una situazione particolare, quella dello Stato spagnolo. Oggi, mentre si vive nell’orrore polimorfo di una pandemia globale nel quadro di un capitalismo neoliberale in piena mutazione autoritaria, dove si governano società di controllo a forma statale nelle quali le regole dello stato di diritto mancano di ogni validità e realizzazione, si vive già in un altro mondo e si vive con un’incertezza massima. Tuttavia, il decennio è stato segnato da eventi di ribellione, cominciando con rivolte, sommosse e movimenti a forma di rete, con il 15M come nostro caso privilegiato.

Non è la prima volta che le irruzioni e i cambiamenti radicali del tempo politico e della protesta sociale hanno luogo nello Stato spagnolo senza trovare risonanze e ridondanze effettive in altri territori e paesi: si tratta piuttosto di una caratteristica costante della moderna formazione statale e territoriale della Spagna, sempre dissonante o con interferenza distruttiva rispetto alle fasi costruttive europee, e con interferenza costruttiva, ma debole, rispetto alle fasi latinoamericane.

Non sarebbe onesto pretendere di dare una coerenza sistematica a questi interventi. Non sarebbe nemmeno rigoroso, poiché si tratta di tentativi volti ad afferrare le congiunture e le situazioni nelle quali era in gioco la creazione politica emancipatrice, e non di saggi politici scritti [osservando] da una generalità accademica e politica.

I lettori e le lettrici attente si saranno potuti rendere conto che in essi mi sono servito di alcuni strumenti concettuali e analitici, usati come cassetta degli attrezzi e senza alcun rigore accademico. Tra questi spiccano i contributi dell’autonomia marxista e post-operaista e della schizoanalisi, insieme a quelli della scienza dei sistemi complessi e autopoietici, così come quelli della probabilità bayesiana in quanto base di un «credere nel mondo» nelle condizioni di quello che Guattari ha chiamato «l’età dell’informazione planetaria». Il resto sono le conoscenze tacite e/o provvisorie delle quali un@ si serve per intervenire con gli/le altr@ dentro le situazioni e congiunture.

In maniera molto sintetica e retrospettiva, ci sono tre nozioni vive – che si vorrebbero comuni – che incontrano un uso fertile in questi testi e che potrebbero probabilmente avere un seguito attraverso l’incontro con il nuovo mondo che ci consegna la pandemia globale gestita all’insegna del neoliberismo autoritario. La prima [nozione] è quella formata attraverso il nesso istituzione mostro – contropotere/i. In questa convergono ben due risultati e due ostacoli della pratica e dell’analisi. Da un lato, il recupero della critica istituzionale dell’arte nell’istituzione (pubblica) critica; un processo che nel caso spagnolo è stato notevole e peculiare durante il primo decennio degli anni 2000, cominciando con il progetto di Las Agencias all’interno del MACBA di Barcellona nel 1999 e, in maniera ben diversa, al Museo Reina Sofía dal 2008 fino a oggi.

Dall’altro lato, [vi è] il rinnovamento della tematica del contropotere – o, per dirlo meglio, dei contropoteri – [sviluppata] a partire dal levantamiento zapatista del 1994, [passata poi per] la rivolta argentina del 2001 e, più tardi, il ciclo di lotte del 2011.

L’istituzione (pubblica) critica si è dimostrata incapace di rendere compatibile il proprio nesso emancipatorio con i bacini di creazione metropolitana del general intellect dal momento in cui, in quanto pubblica, continua a essere sottomessa all’interesse generale capitalista, che esige la precarizzazione, l’individualizzazione e il primato del diritto di proprietà immobiliare e intellettuale al di sopra di qualsiasi autonomia istituzionale o pulsione emancipatoria. Qui è dove l’istituzione mostro si pone come una manifestazione di conflitto con il comune attraverso la violenza dell’individualizzazione, ma anche tramite il cinismo della rappresentazione – artistica, museale – della differenza, del conflitto, dell’alternativa. Allo stesso tempo, l’istituzione mostro non può niente se non istituisce contropotere/i. L’istituzione mostro costituisce un prototipo di composizione, funzionamento e comportamento di una istanza istituzionale sovversiva nell’attualità. L’istituzione mostro non è una specificità, un esotismo o una volontà di differenza per la differenza. L’istituzione mostro è la condizione dell’istituente al giorno d’oggi. Non ha niente di metaforico o simbolico. Quindi: cos’è mostruoso? Scrive Gilles Deleuze in Differenza e ripetizione:

Qualcosa del fondo risale alla superficie, vi risale senza prender forma, insinuandosi anzi tra le forme: esistenza autonoma senza volto, base senza forma. Il fondo nella misura in cui si trova ora alla superficie è detto profondo, il senza-fondo. Viceversa, le forme si decompongono quando si riflettono in esso, ogni modellato si disfa, tutti i volti muoiono, e sola sussiste la linea astratta come determinazione assolutamente adeguata all’indeterminato, come lampo uguale alla notte, acido uguale alla base, distinzione adeguata all’oscurità intera: il mostro.

Abbiamo qui un’indeterminazione, un’ambivalenza tra sostanza e forma, contenuto ed espressione, struttura e funzione, macchina e organo, testa e corpo, eccesso e difetto. Tuttavia, senza la costruzione di contropoteri, l’istituzione mostro non è altro che pretesto e testimonianza: [ecco la] punta d’innovazione di un nuovo processo di accumulazione nell’industria culturale. Inoltre, l’istituzione mostro corrisponde necessariamente alla mostruosità del lavoro vivo contemporaneo. Né il diritto di proprietà né l’individualizzazione dell’atto creativo, né la separazione tra produzione, distribuzione e consumo, sono compatibili con questa condizione mostruosa. Per questo l’industria culturale, a partire dalle figure della piattaforma algoritmica, può solamente essere estrattiva e parassitaria, più che dialettica e recuperatrice.

In questa maniera, l’istituzione mostruosa del contropotere perde il vincolo dialettico con la forma Stato, ma anche quello produttivo e conoscitivo tra potere e resistenze nel modello disciplinare di Foucault. Da un lato, il contropotere smette di essere un doppio simmetrico di un supposto potere originario e/o unitario: dall’altro, il contropotere è una macchina ontologica, dove le lotte corrispondono a una produzione di soggettività [che opera all’interno di] un milieu biopolitico che produce sia potere che potenza.

Nel nesso tra l’istituzione mostro e un sistema di contropoteri è all’opera una de-teologizzazione del potere molto spinoziana. Il potere è, come il capitale, una relazione. E, in questo modo, se il potere non è ontologicamente uno, il Potere non è niente più che un composto di contropoteri.

Risolviamo così il problema della forma Stato capitalista? Niente affatto, perché la “soluzione” non può che essere pratica. Tuttavia, avanziamo enormemente nel problema della “transizione”, evitando i vicoli ciechi dell’autonomia del politico – “gestire” lo Stato di fronte al mercato, come se entrambi non fossero i poli di una stessa cosa – che è il correlato dell’illusione sovranista di mettere le forme Stato borghesi al servizio della maggioranza, sublimando la lotta di classe dentro e contro la forma Stato.

A ogni modo il principale dislocamento dei problemi dell’istituzione e del contropotere che le lotte di questo periodo ci hanno mostrato viene offerto dalle nozioni di corpo macchina e sistema rete (transdividuale). Da un lato, la nozione di corpo macchina ci permette di costruire i due piani dell’esistenza del lavoro vivo contemporaneo, quello di uno sfruttamento e un dominio che sono sempre più capaci di operare in tutti gli strati organici attraverso il controllo e la stimolazione algoritmica dell’attenzione e della percezione; e dall’altro lato, il corpo macchina – e qui entrano in gioco le nozioni di inconscio e asservimento macchinici – esprime altre forme di rifiuto del lavoro e di costruzione di affetti ed effetti di una cooperazione che si dà ormai nell’interfaccia tra le strutture di carbonio e silicio, tra il corpo senza organi della percezione e dell’enunciazione in rete e la macchina astratta di Turing della computazione e del calcolo. 

(commons.wikimedia.org)

In questa metamorfosi del lavoro vivo ci addentriamo in un terreno che va ben oltre quello che, nei Grundrisse, Marx descrive come “individuo sociale” proletario. Innanzitutto, il lavoro vivo del corpo macchina si presenta sotto la forma di una materia dividuale di concatenamenti di percezione e attenzione, di affetto ed effetto, sottomesse alla codificazione, alle metriche algoritmiche e alle forme temporali dell’economia dell’attenzione e della sovrastimolazione.

Per questo, guardando ai lavori di Gerald Raunig, la battaglia si centra nelle determinazioni del dividuale: cosa, come, quando, con che e sotto quali ritmi e distribuzioni dividuali cooperiamo, condividiamo, trasmettiamo affetti, e [infine] sotto quale metrica di (auto)valorizzazione [facciamo ciò] in antagonismo con l’assiomatica cangiante del capitalismo.


Il general intellect smette di presentarsi come una determinazione oggettivata del capitale fisso nel sistema di macchine termodinamiche della grande industria – così come appariva descritto nel “Frammento sulle macchine” dei Grundrisse –, per farlo ora in quanto agencements complessi che producono il mondo della vita all’interno di sistemi naturali di ennesimo grado. La rivolta e l’emancipazione del lavoro vivo si presentano ora come un problema completamente nuovo, dove le nozioni ereditate di partito, movimento, sindacato, coscienza, collettivo e individuale non possono più afferrare le nuove dimensioni che presenta l’ontologia del collettivo-transdividuale, le quali esigono macchinismi organizzativi che passano per sistemi dinamici complessi e autopoietici, fatti di singolarità dividuali. Finché gli agencements organizzativi dividuali non risolvano e/o ridefiniscano i problemi – conquiste delle lotte del lavoro vivo, relazioni tra piattaforme elettorali e movimenti, unità delle forze del lavoro, resistenza e sconfitta della fascistizzazione sociale e statale – le vecchie risposte continueranno a ritornare sugli stessi sentieri battuti.

L’apparizione dei sistemi rete transdividuali con il ciclo di lotte del 2011 dimostra ancora una volta che le lotte del lavoro vivo anticipano le manovre del capitale. La tecnopolitica sperimentata allora fu un tentativo efficace di costruire una rivolta democratica adeguata alla contestazione del governo e allo sfruttamento dei corpi macchina, dei cervelli connessi in rete. Tuttavia, problemi fondamentali continuano senza soluzione. Il primo e più pressante di tutti è l’invasione delle reti sociali da parte del fascismo di piattaforma e la trasformazione dei processi del sistema rete in sistemi di ridondanza da buco nero fascista con le sue diverse varianti, dalla nota alt-right alle formazioni europee di estrema destra e la loro capacità di devastare gli ecosistemi di rete.

Non si tratta così solo di un problema di algoritmi, di vendita e traffico di metadati, echo chamber e meccanismi di polarizzazione; non si tratta solo del fatto che l’architettura delle reti sociali di piattaforma, basata sui profili individuali, sui ranking di prestigio e influenza, e sulla vendita di se stessi, è altamente vulnerabile ai flussi di odio e di passioni di abolizione fascista: si tratta piuttosto del fatto che questi processi hanno reso manifesto come le piattaforme delle reti sociali non costituiscono di per sé una sfera pubblica, ma un campo di lavoro permanente per i corpi macchina, sotto il governo di consigli di amministrazione e staff tecnici che non rispondono a nessun mandato democratico o carta costituzionale.

Anzi, rispondono all’estrazione massiccia di plusvalore dall’attività vitale in rete. Un sistema rete transdividuale e autopoietico come il 15M è stato possibile durante il periodo iniziale di questa cattura “neuropolitica” dell’attenzione e delle emozioni e, inoltre, nel contesto di una crisi di aspettative delle classi medie progressiste in Spagna dopo la crisi finanziaria del 2008.

Il vuoto non esiste nella politica, e ancor meno nell’anno 2021 della pandemia globale gestita nel segno del neoliberismo autoritario. I problemi della dittatura neoliberale e del fascismo coloniale assumono un’importanza crescente e le reti sociali, così come gli spazi pubblici di piazza, soffrono la medesima deturpazione che impedisce di pensare a repliche di un sistema rete di enorme capacità di contagio nelle piazze e nelle strade e per il quale non esistono antidoti immediati, come invece ci furono nel 2011. Oggi non solo possiamo aspettarci interventi repressivi [ordinati] da dentro i consigli di amministrazione delle piattaforme, oltre che da parte dei governi, forze di polizia ed eserciti. In qualche caso il fascismo di piattaforma sarà associato a Stati e corporations, con le proprie milizie di bots e la propria produzione di risonanza fascista.

(commons.wikimedia.org)

Le reti sociali sono entrate a pieno nell’ambito delle nuove forme di guerra degli Stati, sia all’estero che contro i suoi nemici di classe interni, [perciò] la tecnopolitica dei sistemi rete non può smettere di affrontare di petto questa situazione per inventare nuove macchine da guerra di soggettivazione, contagio e rivolta, ma anche di protezione, anonimato e clandestinità tattica, cura e confidenza, imprevedibilità e mascheramento. Una nuova figura di hacker, spogliata del nichilismo maschile ed eterosessuale del periodo cyberpunk, una generazione haqueer è assolutamente necessaria, non solo per la tecnopolitica, ma per il processo di trasmissione – con cura ed amore – di saperi produttivi di cui abbiamo bisogno per autogovernare la produzione antropogenetica dentro e contro il capitalismo mondiale integrato – e sempre più fascistizzato.



Il secondo problema è, giustamente, quello della consistenza trasformativa di un sistema di contropoteri che si dispiega nello spazio-tempo a partire dalla presa di consistenza di un sistema rete transdividuale, frutto di un evento di rivolta contagiosa.

Nei testi di questo volume ho tentato di mostrare come il sistema rete è capace di trasformarsi, espandersi, rendersi più complesso e appropriarsi di sempre maggiori piani della realtà sociale, sviluppando contropoteri, capacità di lotta, producendo ed estendendo collettività e creando territori esistenziali e transizionali finiti, fatti di affetti e percezioni comuni. Ho provato a mostrare anche che il sistema rete è tanto oggettivo come soggettivo, che è capace di riconoscere blocchi, risolverli e prendere decisioni sulle distribuzioni dividuali adeguate, sugli avversari e sui territori di lotta. Decisioni che si basano su gradi di credenza che seguono logiche bayesiane di incertezza probabilistica, di finitezza delle conoscenze e degli esperimenti e che, per tanto, mancano di garanzie di successo: possono sbagliare, possono fallire.

E così, il principale fallimento del sistema rete nel caso spagnolo venne per mano delle questioni dello Stato, della rappresentanza politica e del governo. Però anche, o soprattutto, dal fatto che non si produsse un contagio europeo, motivo per cui, nonostante alcuni tentativi, il 15M restò confinato come un movimento dello Stato spagnolo. È qui che i due poli di attrazione della ripetizione storica, da un lato quello dell’autonomia del politico nello Stato-nazione capitalista, e, dall’altro, la concezione leninista del doppio potere e della soluzione rivoluzionaria della conquista del potere dello Stato, hanno contribuito a impedire che la storia del sistema rete desse un indirizzo pratico a questi problemi.

Ci sarà chi pensa che il limite naturale di consistenza [del sistema rete] sia il “sociale”, o meglio, il “sociale” così come esiste nel contesto democratico liberale. E che, insieme alla reazione fascista e coloniale dentro piattaforme e movimenti, il giro di vite repressivo della forma Stato pone fine alla fattibilità pratica dei sistemi rete transdividuali.

Tuttavia, questo mi sembra un modo di scappare dalle principali difficoltà, che sono, in primo luogo, la violenza politica dello Stato e dei movimenti fascisti, e, in secondo luogo, l’esercizio di autogoverno dei processi di emancipazione basati su sistemi rete e sulle forme di “coesistenza” che questi possono tenere con sistemi di Stati autoritari appoggiati da squadracce fasciste dentro i sistemi di Stato e nelle connessioni tra questi.

Siamo entrati in questo orizzonte in modo irreversibile, almeno in Europa? 

Il governo della – e nella – pandemia globale è servito tanto per accelerare i processi di controllo algoritmico di piattaforma come per rinforzare il potere degli Stati e delle corporation sulle popolazioni. Le ragioni di questo non sono semplici né lineari. In buona parte perché le relazioni tra sistemi di produzione, mercati e Stati stanno entrando in una enorme tensione che non può smettere di avere enormi conseguenze politiche e istituzionali nel mondo del neoliberismo occidentale. È qui che un approccio schizoanalitico, che tenga in considerazione i diversi tipi di agencement di enunciazione, di produzione e di potere in gioco, può aiutarci a pensare insieme le tensioni e gli antagonismi all’interno delle società e tra i sottoinsiemi politici del pianeta. Detto in altro modo, la necessità di un cambiamento nell’assiomatica del capitalismo – nella quale vanno considerati i parametri della lotta contro riscaldamento globale, le strutture di quello che Marazzi e altri hanno chiamato la produzione antropogenetica (il trasmettere e ricevere affetti nei processi educativi, sanitari, di cura, affettivo-sessuali, delle reti sociali etc.), i movimenti migratori planetari, il limite e l’insostenibilità delle fonti di energia etc., mentre si mantengono in piedi le dinamiche estrattive di valorizzazione (finanziarie, di dati, di materie prime e risorse) sull’insieme della produzione biopolitica globale e dei suoi ecosistemi – è il nodo cruciale nel quale si coniugano le alternative fondamentali.

Più che la fattibilità di un compromesso riformista equiparabile al New Deal o al modello fordista dei Trenta Gloriosi, quel che è interessante è vedere come l’immaginazione capitalista di una nuova assiomatica è inseparabile dalla comparsa di attori di enunciazione coloniali, transfobici, misogini, suprematisti, che tendono a dare una piega fascista al nuovo patto sociale, in termini di un apartheid globale, nel quale lo Stato e le piattaforme o i sistemi di Stati riprendono il proprio predominio sulle piattaforme in quanto operatori di un compromesso di sopravvivenza di geometria variabile sulla base di una matrice coloniale, bianca, cristiana e patriarcale dell’accesso ai diritti-rendita.

Questo mi sembra il risultato più probabile della soggettività capitalista occidentale con il crollo dell’illusione neoliberale dell’efficienza dei mercati finanziari e con il collasso dei servizi fondamentali di fronte al riscaldamento globale e alla pandemia di Covid-19.

Si tratterebbe di un’assiomatica del capitale dove lo Stato-piattaforma o i sistemi di Stati gestiscono gradi di precarizzazione dell’esistenza e di accesso a quote di rendita pubblica e finanziaria, di servizi, diritti soggettivi e politici etc. Per dirlo attraverso una forma più semplice, si tratta dell’istaurazione di un’apartheid coloniale nelle stesse metropoli postcoloniali invecchiate, in un contesto di guerra fredda permanente tra i vari sottoinsiemi – occidentale, cinese, russo – e di una guerra più o meno aperta contro il sud globale e i suoi movimenti migratori e di emancipazione, nel contesto della crisi climatica e energetica globale. L’assiomatica del capitale ha bisogno oggi, per sopravvivere, di un reload degli enunciati e delle soggettività del fascismo e del colonialismo, sotto pena di non riuscire a evitare forme di ribellione che inevitabilmente ripartiranno dai risultati dei sistemi rete transdividuali. Ha imperativamente bisogno di ciò che Felix Guattari ha chiamato neoarcaismi.

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Pensare, in queste condizioni, un processo comunista transnazionale e transcontinentale che parta dalla produzione del comune e dalle sue istituzioni di contropotere in quanto sistemi rete transdividuali è il compito che ci tocca praticare con urgenza. E questo compito convoca nuovi attori collettivi di enunciazione. Indagando nella microfisica che dette luogo al 15M, per esempio, potremmo identificare diverse figure di intermediazione e altre con competenze che furono decisive per la presa di consistenza del sistema rete. A partire da@ educat@ sociali e di strada, l@ attivist@ dei centri sociali, quell@ della cultura libera e degli hacklabs, per non citarne che alcune tra le moltissime. Figure di invenzione pratica, di connessione, di assemblaggio cooperativo e affettivo tra le singolarità. Oggi mancano figure equipollenti per intraprendere i nuovi compiti.

Essi passano per la riappropriazione della capacità di costruire piattaforme di cooperazione biopolitica, senza escludere le capacità di esproprio e sabotaggio delle piattaforme digitali esistenti, attraverso i mezzi legali e illegali disponibili.

Le alternative energetiche di sostenibilità di un sistema rete costituente, insieme alle alternative tecniche di costruzione delle architetture, della produzione e del controllo degli algoritmi usati, così come la gestione democratica del comune dei dati, sono assolutamente necessarie affinché i sistemi rete siano in grado di sviluppare la capacità di interrompere il controllo e l’esclusione delle reti di piattaforma – pubbliche o meno. Inoltre, si dovrebbe parlare del machine learning, delle sue distorsioni [bias] e delle finalità dell’apprendimento. Tuttavia, questi non sono piani di ingegneria sociale, ma problemi che soltanto nuovi attori collettivi di enunciazione sono in grado di intraprendere

Se qualcosa mi sembra chiaro, come risultato e orizzonte aperto da questo decennio, è l’approfondimento del nesso tra democrazia della moltitudine e reinvenzione del progetto comunista dopo il socialismo reale e lo stalinismo. Il decennio cominciava con una parola così tanto maneggiata come democrazia, aggiungendole l’aggettivo “reale” come un’operazione semiotica minima, ma che in realtà produsse una divisione in due delle democrazie liberali della proprietà. Oggi sappiamo che la democrazia assoluta – omnino absolutum imperium, secondo Spinoza e Negri – è il polo schizofrenico, il corpo senza organi della potenza di produrre il comune dalla vita delle singolarità umane. Il comunismo recupera il suo posto tra le alternative dell’umanità a partire da questa metamorfosi antropogenetica e dividuale, e da una relazione di antagonismo assoluto con le forme di Stato della proprietà, di rendita parassitaria, di individualizzazione e con le passioni fobiche fasciste, razziste, coloniali e patriarcali, che costituiscono il polo paranoico che si pone al di sopra del corpo senza organi della potenza dell’umanità, ne è la surcodificazione: dispotica, fascista, socialista?

Ancora non possiamo predire quale sia l’esito più probabile. Quello che sappiamo è che l’autogoverno di una moltitudine globale, necessariamente mostruosa agli occhi dell’assiomatica capitalista in formazione, è inseparabile dalla democrazia assoluta e che questa per vivere ha bisogno della crescita imprevedibile del rizoma ecocomunista planetario.

Traduzione a cura di Alberto Manconi.

Testo pubblicato in collaborazione con il sito Euronomade

Immagine di copertina da commons.wikimedia.org