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C’era una volta la putrefazione

Con “Tortura concreta”, da poco pubblicato per Tlon per la cura di Gioele Cima, il filosofo Reza Negarestani prova a ripensare la pratica dell’astrazione attraverso l’arte di Jean-Luc Moulène. In questo saggio l’astrazione viene ripensata non come modalità di estrazione della forma della materia, ma come procedura per consegnare il pensiero alle forze esteriori della materia. Così che l’astrazione possa tornare a essere crudeltà: torsione e tortura concreta

Jean-Luc Moulène, Bleu Gauloises Bleues: 216 pacchetti di sigarette Gauloises (6 in altezza, 6 in larghezza, 6 in profondità, tutti spogliati della loro etichetta) a formare un macropacchetto, parallelepipedo leggero di colore blu e bianco. Non tenute assieme da niente, semplicemente, giustapposte, dalle piccole scatole vengono dedotti marca e il nome: il marchio. Sottratte al ciclo delle merci, le sigarette in questione sono precipitate in un diverso tipo di circolazione. «I miei oggetti sono superfici, prive di interno o esterno, semplici buchi», afferma l’artista. «Inizi o prove sono i buchi più inesorabili della trama; possono restare nell’aria anche dopo che una storia è sfumata via», scriveva invece Reza Negarestani in Cyclonopedia. E, «se non posso passare attraverso questi buchi della trama, allora è meglio che lasci i miei buchi», proseguiva. Forar le montagne anziché scalarle, l’invito di Deleuze e Guattari, invito che sembra raccogliere, in uno stesso avvallamento gravitazionale, l’artista e il pensatore e che spinge il secondo a dedicare al primo Tortura concreta. Jean-Luc Moulène e il protocollo dell’astrazione, che Gioele Cima ha curato e tradotto per Tlon. «Non sento il bisogno di dominare i materiali», continua Moulène raccontando la sua opera, fatta di resine, rame vetri e pietre, opera di cui pare non disporre, ma con la quale piuttosto collide.

Immaginiamo un blocco di cera, un blocco di cera appena estratto dall’alveare, suggeriva Descartes in uno dei primi esercizi della modernità. Estratto e all’ape sottratto, questo non ha ancora perduto la sua melliflua dolcezza. Ebbene, dovrebbe: dovrebbe perderne anzitutto l’aroma e il sapore, e ancora il colore, e ancora la sua particolare pastosità. Immaginiamo: primo esercizio della modernità, sua meditazione, è sottrarre la cera all’ape, più facile ancora che rubare caramelle aə bambinə e astrarre, dalla cera, l’ape. Ossia tutto quel che i fini e sottili «sensi del più piccolo degli animali» potrebbero cogliervi a riguardo – un tono, una sfumatura acre o una rotonda fragranza. Al fondo della cera, di questo buco estratto, scavato, penetrato con forza rimarrebbe l’astratta estensione: il suo corpo nudo e spoglio e per questo (almeno per i metafisici) purificato e puro. Con questa cera, o suo restante simulacro, io sigillo e suggello la mia umanità: «Quando, invero, distinguo la cera dalle forme esterne […], allora sì veramente, per quanto si possa ancora incontrare qualche errore nel mio giudizio, non mi è dato tuttavia percepirla se non mediante la mente umana», afferma perentorio il filosofo francese. Diverso sarebbe, molto probabilmente, se invece non sentissi il bisogno di dominare il materiale. Se la cera rimanesse straripante – di cera, appunto. Se l’artista – come fa Moulène e come ne dice Negarestani – scegliesse di farsi quale il più piccolo degli animali o quale la materia che manipola, se ne farebbe a sua volta manipolare e troverebbe suggello e riprova di nulla, se non breve traccia dell’avvenuta manipolazione stessa.

Un altro tipo di astrazione. «Da un punto di vista storico», racconta Negarestani, «il concetto di astrazione come operazione scientifica può essere fatto risalire alla dialettica tra forma (matematica) e materia sensibile (fisica)» (p. 46). Sotto l’influsso di una storia dell’arte lunga, coriacea e autoriflessiva l’astrazione ha finito per perdere il carattere di dialettica, di procedura, per diventare semplice estrazione – estrarre la forma dalla materia, o imporre alla materia la forma del mio pensiero, è pura astrazione e pura estensione o thesis (istruzione che ha la forma della necessità e del comando, dimostrazione chiara e distinta), ben altro insomma che la più medievale quaestio (forma immersa nel suo contesto per esplorarne tutti i possibili). La pura astrazione è anche un’estrazione di valore, come quella che già in Cyclonopedia si nascondeva dietro alle apparenti aperture del pensiero: «“Sono aperto a te” si può riformulare come “ho capacità di sostenere il tuo investimento”, posso permettermi [afford] te”». Posso permettermi l’esame della cera, posso permettermi di astrarne le qualità sensibili, di sottrarle ogni effluvio e collosità: posso permettermi appunto di dominare il materiale e, quindi, di riceverlo e reciderlo con il pensiero, – astrarlo da la contingenza in cui è situato e di cui è parlante espressione. «Se eccedi la mia capacità di affordance, sarò però spezzato, lacerato e aperto»: Moulène ricolloca l’astrazione nella materialità da cui proviene e da cui è stata evocata e spogliata. Il che avviene quando il pensiero, non più puro, si fa contaminare dalla materia cui si applica – se eccedi la mia capacità di affordance, di quel che posso ricevere senza però darmi in cambio, avrà luogo (prenderà corpo!) una misura per misura, equivalenza estranea all’accumulazione di un plusvalore riguadagnato sullo scambio, concrezione di lavoro morto. E io (!) sarò, però, spezzatə, laceratə e apertə: l’astrazione non è paradossalmente un pensiero astratto e il pensiero che astrae la materia deve in cambio qualcosa alla materia cui si applica – deve cioè lasciarla astrarre, estrarre, qualcosa d’equivalente da se stesso: «Ritagliando una libbra di carne dal sensibile, la materia penetra nel pensiero» (p. 70).

Sarò quindi ancora mente umana, padrona di sé e del materiale o sarò piuttosto il più piccolo degli animali – inebriatə dai suoi effluvi sottili, dalla sua sensualità storditə, mutualmente mutilatə, e però (e quindi) capace di rosicchiare un buco nella montagna? L’astrazione è una legge impossibile da mantenere e che, pertanto, si fa regola del gioco o ritmo della vulnerabilità: sperimentare questa chimica dell’astrazione è consegnare il pensiero alle forze esteriori della materia, farne un’esca o un bersaglio o, ancora, una seduzione. Stando all’insegnamento di Cyclonopedia, si diviene preda del fuori e dello sciame attraverso l’estrema paranoia dell’igiene e dell’asetticità – spoglia allora il blocco di cera e vedi dove il gesto ti conduce. È ancora la retorica della quaestio, e non della tesi o della demonstratio, a tirare le fila del gioco. In Moulène, o nel Negarestani suo lettore, ciò significa riconoscere la crudeltà del pensiero – crudeltà che il pensiero esercita su se stesso, facendosi esso stesso, questa volta, in brani, divenendo più piccolo degli animali e quindi, di nuovo, esca.

«L’astrazione è l’ordine della crudeltà formale del pensiero» (p. 52). E, se nella sua forma più semplice e banale, questo significa amputazione della forma dalla materia sensibile: «Nelle sue istanze più complesse – e cioè più autentiche – l’astrazione è la concomitante organizzazione della materia a opera delle forze del pensiero, e riorientamento del pensiero a opera delle forze materiali. È la mutua penetrazione e destabilizzazione di pensiero e materia, secondo i rispettivi meccanismi di regolazione e controllo» (p. 52). Il pensiero che si lascia braccare dalla materia e che, preso come nelle sue fauci (in bocca al lupo), si lascia condurre verso nuovi ruoli, propositi o compiti che, strutturalmente e funzionalmente, non avrebbe mai potuto invenire. Finzionalmente, invece, sì – viva dunque il lupo, fuori e dentro la favola. Ecco che una stessa torsione nel bronzo può significare «un fiore o una palma metallica e snella (Chamaedorea metallica)», mentre nel vetro «riproduce la progressiva cefalizzazione nei primati» (p. 91). Il pensiero coglie immagine di sé – come piccolo animale, come esteso e frondoso vegetale, come maschera e come persona –, nella prospettiva della materia da cui è costantemente ma anche, di volta in volta, inseguito. Si libera così dalla trappola «del qui e ora», ma perché questo avvenga baratta la propria libertà, concedendosi a quel materiale «da cui è tenuto sotto scacco» (p. 54). Alla mia mente ora pare un equo scambio: misura per misura, appunto.

E questo, ancora, si chiama astrazione, si chiama crudeltà e infine protocollo. «Si definisce protocollo perché governa la condotta dell’artista, intrecciando le leggi del pensiero (normative), le leggi dell’immaginazione (rappresentazioni) e le leggi della materia (dinamico-naturali)» (p. 60). Letteralmente, etimologicamente, il primo foglio incollato: il primo pensiero avviticchiato alla materia, il primo pensiero che dismette il suo primato e rifiuta di sviticchiarsi, e diventa circonvoluzione nel cranio del primate. O palma o pacchetto di sigarette o corda o buco. Realtà senza fini, sicuramente, ma anche estranea alla causalità naturale – «il principale tema evolutivo di Moulène» è il rifiuto «di sistemarsi sotto forma di oggetto definitivo» (p. 60). E a questo patto col diavolo, letteralmente, etimologicamente, colui che inganna in quanto separa e conduce altrove – se non posso scalare, né spostare le montagne… –, l’artista deve la variabilità e la ricchezza delle sue opere, dei suoi temi, dei suoi intrecci tra pensiero e materia. Il tradimento dell’una nell’altra, che precipita (siamo sempre nell’incavo) l’intreccio in diversa trama, in diverso racconto. «Sono tutte differenti istanziazioni di uno stesso principio generativo»: del «pensiero che agisce sulla materia, così che essa» imponga «con forza le proprie influenze dinamiche sul pensiero» (p. 61). Manipolazione della materia da parte del pensiero, torsione e ritorsione del pensiero a opera della materia. L’artista semplicemente osserva l’accadimento di questo nodo, che non governa né disciplina – né, ancora, anzitutto immagina.

Immaginiamo dunque la cera, spoglia di ogni determinazione… spoliazione possibile perché «frutto di una rimozione ingenua: rimuovendo le determinazioni della materia sensibile con la potenza del pensiero, sia quest’ultimo che la materia rimarrebbero neutrali, indenni» (p. 68). Senza intrusione né collusione né contaminazione né contagio. Né alleanza, né complicità. Per tornare a Cyclonopedia: ogni dottrina del ritorno presuppone la dissoluzione o la scomposizione del pieno come un processo sicuro e retto, il processo dei giusti, in cui la totalità venga astratta ai suoi elementi base, restituita alla sua verità più semplice – dissoluzione come origine, come ricongiungimento alla matrice («necessario per l’orizzonte della purezza – cenere alla cenere o polvere alla polvere»). Ma il decadimento è anch’esso sito di scambio, è nodo di complicazione: «Nello zoroastrismo e nella chimica medievale, questa produzione non riciclabile di decadimento è indicata come fumo o miasma – gas». Il decadimento è anche decomposizione, è anche scomposto – la cera non perde il proprio profumo d’ape e di sole e di miele, ma effonde in miasma: «Forse che il pensiero non sia altro che putrefazione gassosa?». Forse che il pensiero astratto rifugga la sopravvivenza ad

ogni costo che è insita nel pensiero che si pensa ingenuamente astratto e, come tale, applicabile a ogni foggia, a ogni peso, a ogni consistenza ed esistenza? L’astrazione come crudeltà, come torsione e tortura concreta, l’astrazione come ricomposizione chimica. Per venir apertə dall’esterno, bisogna le sue forze sedurre, attirarle con la dolcezza e col profumo del miele e della cera: spargere la propria essenza tutt’intorno. E allora, poi, si vedrà. Cera, una volta: è solo un principio, il principio della decomposizione, eppure da qualche parte si dovrà pur cominciare – forando la montagna, per esempio, o lasciandosi dalla fiera condurre altrove (dalla sua materia feroce, foriera, annunciatrice). «Affinché il pensiero possa fare la differenza nel mondo, esso deve prima fare la differenza in sé – ed è qui che l’astrazione scopre la sua vera vocazione» (p. 97).

In copertina e nel testo, alcune opere di Jean-Luc Moulène prese dal sito della galleria Miguel Abreu di New York, da cui l’artista è rappresentato. Per ulteriori informazioni si veda miguelabreugallery.com