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Cannes #3 L’anoressia della setta in “Club Zero” di Jessica Hausner

“Club Zero” di Jessica Hausner presentato in concorso al Festival del cinema di Cannes si addentra nella psicologia dell’anoressia, mettendone in evidenza il potenziale volontaristico di controllo. Un film che mette in scena la forza di coesione di un gruppo monosintomatico e propone una critica feroce al capitalismo dell’opulenza e alle soluzioni etiche individualizzate

In genere, l’ultimo giorno al Festival del cinema di Cannes, tutti i film in concorso vengono proiettati di nuovo in una sorta di maratona che precede il momento della premiazione. È così che ho deciso di andare a vedere tra i pochi che mi mancavano Club Zero di Jessica Hausner. Avevo ricevuto qualche anticipazione: il film tratta di anoressia e c’è una scena disgustosa e insopportabile (non la spoilero) che impedisce di tenere gli occhi sullo schermo. Mi sembra del film di sapere già tutto, della misurazione e parcellizzazione del cibo che rinforzano l’ansia di controllo. Serve darsi una regola, che diventa norma, come per i nuotatori che fanno le ripetute per 4 km in piscina o chi corre, misurando passi e tempi di percorrenza. Al mattino, l’esercizio si ripete, il latte è meglio eliminarlo che oltre ad essere grasso è fonte di chiare intolleranze alimentari e quindi si passa al tè, che somigliando all’acqua, ha una consistenza calorica più accettabile. Le fette biscottate sono due, ma progressivamente verranno ridotte a una, salvo quando una volta a settimana ci si concede un cornetto, integrale al miele, che non verrà mai mangiato intero. L’anoressia è quella forma di godimento distruttiva che consiste nella misurazione dell’immissione di cibo come affermazione di una volontà controllo che lentamente conquista spazio e si fa assoluta. Non mangio, dunque sono. 

Immaginiamoci ora un collegio internazionale d’élite collocato in un luogo imprecisato del tempo e dello spazio: l’arredamento anni ‘70 e i colori armonici pastello del vestiario stonano con l’attualità dei temi; l’ordine, la pulizia e il bilanciamento delle inquadrature con la violenza del controllo che si presenta nella forma della deprivazione, della distruzione e del vomito – ci troviamo nello stesso scenario insieme asettico e dark che aveva già offerto l’ambientazione a Little Joe (2019). Sette ragazzi siedono in cerchio e spiegano perché hanno deciso di partecipare al corso della nuova professoressa Miss Novak (Mia Wasikowska) dedicato al Conscious Eating. C’è chi vuole riprendere il peso forma, chi performare di più a scuola e negli sport, e altri ancora che vogliono ridurre l’impatto ambientale, limitando la loro compartecipazione all’industria alimentare. Il Conscious Eating è un programma che si propone di risolvere tutti questi problemi insieme, compreso quello di promuovere la salute e il benessere per poter prevenire malattie e vivere più a lungo. Miss Novak riesce, non senza resistenze da parte di alcuni degli studenti e di un solo genitore – mentre gli altri non riescono a scalfire l’ostinazione dell’adolescenza – a tessere un filo tra alimentazione e affetti, proponendo la regola della riduzione di cibo fino all’astensione e mostrandosi come esempio vivente di un’anoressia riuscita. 

È una critica feroce quella di Hausner all’iperconsumo di un’industria alimentare che produce in gran parte rifiuti e scarti – pensiamo alla filiera della carne, che è tra le industrie più inquinanti al mondo –, ma anche alle soluzioni ecologiste individuali ed eticizzanti. Sono proprio quest’ultime che vengono portate all’estremo con una provocazione che si fa tragedia: e se la ossessione per la riduzione del consumo diventasse puro esercizio ascetico di deprivazione? Introducendosi nelle giovani menti dei suoi studenti, Miss Novak li convince che è possibile non solo essere coscienti mentre si mangia – spezzettare i cibi, assaporarne lentissimamente i sapori –, ma persino entrare a far parte di una setta eccezionale, un Club Zero, a zero cibo, spostando la regola della performance anoressica al paradigma collettivo del voto religioso. Ma il transito tra obbligazione individuale e progetto politico, per Hausner, come già in Lourdes del 2009, non può che passare per l’organizzazione della psicologia della setta. Con un’altra stoccata al neoliberalismo del wellness come preparazione individuale alla performance lavorativa, nel film si esplora come il guru diventi il tramite tra l’accettazione fideistica e la pratica individuale, fino ad intaccare la base scientifica dell’adesione alla realtà: si può sopravvivere benissimo anche senza mangiare; il digiuno favorisce la produzione del processo autofago delle cellule che permette loro di depurarsi; si può sconfiggere il capitalismo anche uccidendosi di anoressia. 

Così è la fede, tutta new age, di Miss Novak che prega e porta i voti alla sua segreta divinità, a fare da trait d’union per tutto il film, esaltando la volontà individuale dell’anoressico come misura di costruzione della realtà (non mangio, quindi sono e posso); rinforzando le credenze monosintomatiche della setta; facendo leva sulla costruzione degli affetti – verticale verso il guru, orizzontale verso i suoi componenti – per favorire il processo di coesione. Ed è la fede a rendere il film progressivamente più inquietante e, persino, mortale, proponendo uno scollamento tra immagine e realtà, confessione e società, al punto che questi giovani studenti, ormai sfuggiti al controllo dei genitori, non possono più venire compresi e ricondotti a ragione. E se, per capire, si chiede Hausner, smettessimo tutti di mangiare?