approfondimenti

EUROPA

La frontiera-prigione d’Europa e l’accordo Meloni-Rama sul CPR in Albania

Proteste e cortei in Albania contro l’esternalizzazione dei CPR italiani – operazione coloniale di vecchio stampo che Rama sfrutta per consolidare l’egemonia del suo partito, erede del vecchio regime

Lo scorso sabato, 1 novembre, si è svolta a Tirana il coordinamento transnazionale “Network Against Migrant Detention” ha organizzato la manifestazione contro l’accordo Rama-Meloni e quello che rischia di diventare il “modello Albania”. L’ondata securitaria che sta attraversando l’Europa ha creato le condizioni per un’ulteriore avanzata nel processo di esternalizzazione delle frontiere. Questo caso riguarda le procedure di rimpatrio delle persone in transito, che il Parlamento Europeo è prossimo a discutere nel “return regulation” nei mesi a venire. È infatti prevista per giugno 2026 l’implementazione del “Nuovo Patto su Migrazione e Asilo”.

Così mentre l’estrema destra si compatta dietro lo slogan “Remigration”, l’Italia non smentisce il proprio collaudato ruolo di apripista di modelli autoritari. Nonostante le ambiguità rispetto alle normative europee il governo Meloni ha iniziato la costruzione dei Centri nella periferica provincia di Lezha subito dopo l’accordo di novembre 2023.  Si tratta di un pericoloso precedente che potrebbe fungere da battistrada per le future politiche migratorie. Difatti già il governo del Regno Unito e della Danimarca avevano similmente vagliato l’ipotesi di inviare le persone migranti in Rwanda. Recentemente Keir Starmer in un incontro bilaterale in Albania avrebbe espresso l’interesse a candidarsi per la costruzione di “Return Hubs”. Edi Rama ha però consigliato di considerare altre nazioni della regione, evidenziando la peculiarità dei rapporti con l’Italia. In più occasioni ha infatti sottolineato il legame storico tra i due paesi, descritto come vicinanza culturale e amicizia, espressioni diplomatiche che potremmo tradurre con “coloniale”, considerando l’occupazione militare fascista che nel 1939 la rese protettorato italiano e il ruolo di sfera d’influenza economica che ha continuato a rivestire.

Lo scambio di favori politici tra i due leader risulta evidente anche nella decisione di far partire simbolicamente le biciclette del giro d’Italia da una prima tappa albanese.

Tra l’altro proprio a due giorni delle elezioni governative che hanno portato alla quarta rielezione di Rama. Sappiamo bene quanto lo sport, condito di retorica del prestigio nazionale, possa giocare un ruolo di primo piano per ottenere consenso popolare. Già nel dicembre dello scorso anno a Tirana sfilò una manifestazione.

Attivistx della diaspora albanese hanno costruito le basi per questa campagna fin dal 2023, connettendo associazioni e collettivi per la libertà di movimento italiani e realtà albanesi come MESDHE, che si occupa di inclusione sociale e diritti umani. Dei presidi pubblici davanti alla Corte Costituzionale di Tirana hanno denunciato l’irregolarità dell’accordo su vari livelli. Scavalcamento di funzioni del primo ministro albanese sul presidente della Repubblica, cessione di sovranità territoriale, l’assenza di direttive europee in materia.

Per questi motivi 33 ONG tra balcani occidentali, Albania e Italia hanno fatto appello alla Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE), che l’ha però respinto con riferimento a ragioni formali. Il giurista Endri Shabani, co-fondatore del movimento anti-corruzione Nisma Thurje, ha paragonato la detenzione nei CPR, dove le persone spesso non sanno neppure in quale nazione sono state deportate, al sequestro di persona. I due Centri, posizionati nel nord dell’Albania, verso il confine con il Montenegro, sono rispettivamente un hotspot, a Shëngjin, progettato per identificazione e screening e il CPR di Gjadër.

Per la parte del centro destinato al trattamento dei richiedenti asilo sono previsti 880 posti. La capienza del CPR è invece di 144 posti e 20 sono dedicati al carcere. Un non-luogo sperduto tra le montagne, in un territorio che appare vuoto e desolato. In mezzo alle rocce spiccano alte mura di cemento sormontate da filo spintato, sbarre di metallo circondano pile di asettici container. Un pugno dritto in faccia per chi avesse mai creduto alla retorica di un’Europa dei diritti, nata sulle macerie di una storia di regimi che appartiene al passato, chiusa, superata.

di Davide Viganò

Si sono già verificati casi di autolesionismo grave. La morte di Hamid Badoui, va anche imputata a questo luogo. Infatti gli ultimi mesi della sua vita li ha spesi tra arresti e deportazione. Prima nel carcere di Torino, poi nel CPR di Bari, il trasferimento a Gjadër in Albania e infine di nuovo nel carcere di Torino. Le sviluppano così patologie psichiche causate dal trauma. Un intero sistema dal carattere patogeno conclamato. L’isolamento appare come strategia per abbattere il morale e scoraggiare l’eventualità che nuovi viaggi della speranza vengano prossimamente tentati. La marcia di sabato è partita dalla centrale Piazza Skenderbej. Circa 150 partecipanti, prevalentemente italianx, albanesi e da altri paesi europei, si sono direttx verso l’ambasciata italiana al grido “shame on you”. Poi agli uffici UE e infine all’ufficio del primo ministro, intonando cori in varie lingue tra cui: «Marveshje illegale, resistenza globale» (accordo illegale) e «Make the fortress europe fall». Spostandoci in bus di 60 km direzione nord, abbiamo raggiunto la città di Lezha, sotto la cui amministrazione rientrano anche le località dei due centri.

Un passaggio a Lezha era importante in quanto il sindaco ha mostrato totale complicità e favorito la disinformazione, fino ad avviare una campagna razzista a colpi di meme sui social. La provincia è caratterizzata da un’economia molto fragile e i Centri sono stati presentati come un’occasione di lavoro per la comunità, offrendo inoltre stipendi sopra la media della regione. Insieme a due volontarie, Besmira Lekaj, coordinatrice del centro giovani dell’associazione Hana (Hand to Hand against Nation Apathy) ci ha ospitato in sede per descriverci il tessuto sociale locale e raccontarci del loro operato. Occupandosi di sensibilizzazione e promozione della cittadinanza attiva ricoprono un ruolo fondamentale. Il contesto è complesso e l’unica critica all’accordo mosso dal principale partito di opposizione (Partito Democratico d’Albania) ha riguardato la minaccia che l’arrivo di presunti predatori sessuali stranieri avrebbe rappresentato per la comunità. Hanno descritto la società albanese come ancora fortemente segnata dal retaggio del vecchio regime.

Il partito di governo attualmente in carica (Partito Socialista per lo Sviluppo) è l’erede diretto della dittatura (Partito del Lavoro d’Albania), poi ristrutturato, cambiando anche nome, ma mantenendo parzialmente apparati centrali e strutture territoriali.

Curioso notare la retorica antifascista di cui ancora oggi fa sfoggio Rama, in veste propagandistica e di orgoglio nazionale, in parallelo alla completa sudditanza verso i vecchi padroni coloniali, facendo appello a un fantomatico debito con il popolo italiano, per l’accoglienza offerta agli emigrati albanesi. Ma chi più dei cittadini e delle cittadine albanesi stesse sa cosa hanno significato in Italia due decenni di campagne razziste dei media e di politici xenofobi? Di gommoni, tragedie in mare, deportazioni e suicidi nelle celle.

Mentre ormai calava la sera è stato infine raggiunto il CPR di Gjadër, dove i/le solidali hanno tentato di rompere l’isolamento forzato portando le proprie voci alle 24 persone attualmente detenute. Il presidio davanti all’ingresso ha commemorato le quarantasette vittime dei CPR italiani leggendone i nomi. Le voci hanno riecheggiato nel nulla che avvolge il lager, rimbalzando sull’indifferente polizia albanese, l’arrogante polizia italiana, la loro camionetta blu, riconoscibile fin da dietro le sbarre. Fino a ricevere come unico segnale di contatto, in risposta a dei cori, il ghigno beffardo di qualche guardia. Domenica 2 le iniziative si sono concluse con un’assemblea plenaria all’Università di Tirana dal titolo: «L’Europa è ancora il nostro sogno?».

Diversi panel tematici, dibattiti e il rilancio della campagna. A questa due giorni di iniziative sono mancate delle attiviste di “Mediterranea Bologna” a causa di un’azione di protesta contro l’espulsione di due cittadini albanesi. Avevano infatti notato che la polizia stava usando proprio il volo Ryanair su cui si erano imbarcate. Hanno tentato di sensibilizzare l’equipaggio, per poi rifiutarsi di rimanere a bordo, opponendosi alla normalizzazione dell’uso di voli civili per i rimpatri. La denuncia dell’illegittimità di questo accordo continuerà a gran voce. Risulterà molto importante quanto la Corte di giustizia UE sancirà in merito alle procedure previste dall’accordo rispetto all’adesione con l’attuale diritto comunitario. La magistratura italiana ha in molti casi respinto la convalida del trattenimento a Gjadër.

Sono già stati impiegati 670 milioni di euro per il quinquennio 2024-2028. Il progetto originale sarebbe quello di portare in questi Centri le persone in transito intercettate in mare dalle autorità italiane e avviare da lì le procedure di richiesta di asilo, elaborarle e poi procedere con i rimpatri del caso. La previsione è di trattenere le persone per 24 ore nell’hotspot ed entro i 28 giorni nel CPR. Tempistiche che hanno sollevato forti dubbi di fattibilità. Una sentenza della Corte di giustizia europea ha impedito la pratica di detenzione fuori dai confini UE, dove non possono esserne garantiti gli standard normativi, spingendo a ridimensionare le modalità di utilizzo dei Centri. Ma il portavoce della Commissione Europea per gli Affari interni, Markus Lammert, ha affermato che se rispettate le condizioni del diritto UE, “in principio” il protocollo, seguendo rigorose condizioni, potrebbe essere conforme.

D’altronde basta fare una legge per legalizzare la violazioni dei diritti umani, per non considerarla più come tale, seguendo rinnovati standard etici. Proprio come i valori possono rivelarsi effimeri e subalterni a delicati equilibri di forza tra tendenze politiche. Sarà quindi una battaglia combattuta su vari piani: giuridico e culturale in primis. Si tratta probabilmente dell’inizio di un nuovo paradigma repressivo con cui toccherà fare i conti sul lungo periodo.

La copertina è di Davide Viganò

SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS

Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno