approfondimenti

ROMA

Abolire la guerra, costruire la pace: un convegno sui conflitti contemporanei

Il 6 e 7 novembre la Società italiana delle Storiche (SIS) organizza a Roma un’iniziativa per riflettere sui conflitti del tempo presente in prospettiva di genere e richiamandosi alla tradizione e agli sviluppi dei Peace Feminist Studies. La due giorni si terrà alla Biblioteca di Storia moderne e contemporanea, la partecipazione sarà libera e gratuita e, su richiesta, verrà rilasciato il certificato di partecipazione

La Società Italiana delle Storiche, in collaborazione con diverse istituzioni culturali e universitarie, promuove un convegno dal titolo Abolire la guerra, costruire la pace. Genere, giustizia internazionale, pratiche nonviolente nei conflitti contemporanei, che si svolgerà a Roma il 6 novembre dalle 14.00 alle 19.00 e 7 novembre dalle 9.00 alle 19.00 presso la Biblioteca di storia moderna e contemporanea. L’evento si propone di mettere al centro temi cruciali come la giustizia internazionale, la crisi degli organismi sovranazionali, le sfide della diplomazia e la revisione dell’ordine mondiale ereditato dal Novecento.

I significati, gli usi e le intersezioni delle categorie di pace, guerra, giustizia e diritti dei popoli saranno posti al centro del convegno che ha una struttura significativamente multidisciplinare.

I conflitti che stanno tragicamente segnando il tempo presente sono infatti affrontati sotto il profilo storico, giuridico, politologico e diplomatico. Questi temi saranno interrogati attraverso la lente della categoria di genere e dei Peace Feminist Studies che illumineranno aspetti diversi e meno presenti nel dibattito pubblico. C’è, infatti, un filo rosso che unisce l’oppressione storicamente esercitata sulle donne alla violenza dei conflitti bellici: a tenerle insieme è la struttura più intima del sistema di dominio storicamente edificato da un chiaro modello di potere maschile, oggi fortemente in auge con una sua specifica e aggiornata declinazione.

Struttura del convegno

Come Spiega Vinzia Fiorino, presidente della SIS, il convengo, articolato in tre panel, inaugurerà i lavori con un focus sui temi della giustizia internazionale (e della sua crisi) e sulle diverse concezioni di giustizia, per poi concentrarsi sulla categoria di umanitarismo e sulla storia del femminismo pacifista, quindi sulle pratiche di resistenza nonviolenta e sulle attività diplomatiche. Irriso dai potenti leader internazionali, ormai comunemente chiamati autocrati, il diritto internazionale attraversa una crisi senza precedenti restando del tutto impotente e inefficace nel contenimento dei conflitti e persino verso ciò che è indicato come doppio standard, ossia, spiega Fiorino, «comportamenti opposti, assolutori o di condanna, a seconda dello stato responsabile di atti violenti e di aggressione».

Le decisioni della Corte internazionale di giustizia, come quelle della Corte penale internazionale restano del tutto inevase, private di una domanda politica che ne consentirebbe la giusta applicazione. Accanto alla formulazione classica di giustizia, sono emerse importanti richieste di verità e si è affermata un’idea di giustizia riparativa per la quale l’apporto dei gruppi più o meno organizzati di donne è stato storicamente determinante. La restorative justice, pur non sostituendosi a quella tradizionale, propone un superamento del paradigma punitivo, va oltre la pena da infliggere, volge lo sguardo (anche) verso l’altro alla ricerca di modalità di intervento differenti; promuove un dialogo con i responsabili impegnandosi nel coinvolgimento dell’intera comunità in un rito collettivo di superamento del trauma.

In un contesto dominato dalla perdita di senso di categorie un tempo più nitide quali pace, conflitti armati, guerra di aggressione, per chi ha organizzato l’evento «sarà anche importante interrogarsi su come sia cambiata nel tempo l’organizzazione degli aiuti e dei soccorsi alle popolazioni colpite dalle guerre”. Dunque, per quanto sfuggente e dai contorni non ben definiti, “l’umanitarismo internazionale, che ha conosciuto momenti importanti di consolidamento e di intervento operativo all’indomani del secondo conflitto mondiale, costituirà un giusto punto di osservazione per cogliere importanti cambiamenti nella sensibilità collettiva, nelle relazioni internazionali e nelle pratiche sociali rese operative da diversi organismi sovranazionali».

Femminismo e pacifismo

La storia dei movimenti femministi internazionali si intreccia intimamente con quelli pacifisti: «riannodare i fili della memoria, per tornare agli interventi di taglio più storiografico, sarà importante anche per dare ai movimenti di oggi uno spessore che non hanno ancora ricevuto. La rivendicazione di un diverso equilibrio mondiale, il ripudio della violenza nelle relazioni private, sociali e politiche hanno strutturato gli stessi movimenti. Sarà importante approfondire il pensiero di importanti teoriche, come l’intellettuale antinterventista inglese Vernon Lee vissuta tra Otto e Novecento – così come confrontarsi con quello che risuona come un originale contributo alla riflessione teorica offerto dai diversi movimenti: l’aver legato in modo inscindibile i temi della politica internazionale e le ragioni del pacifismo con quelli del pieno riconoscimento dei diritti soggettivi delle donne».

Proseguendo su questa linea, le storiche e numerose esperienze di interposizione nonviolenta e di resistenza alle sistematiche occupazioni saranno al centro di specifici approfondimenti.

Sotto questo profilo, il caso palestinese è quanto mai paradigmatico: «precisando, in primo luogo, che tutto non è iniziato con il deprecabile e orrendo attacco del 7 ottobre nei confronti dei civili israeliani e che questa semplificazione di una parte del giornalismo italiano appare scorretta e subdola, si darà spazio alla storia dei movimenti femministi che almeno dalla fine degli anni Settanta si oppongono a quello che è il nodo vero di tutto il conflitto cioè l’occupazione israeliana dei territori.

Attraversati ovviamente da importanti mutamenti nel tempo, i movimenti femministi palestinesi per un verso hanno agito intersecando il contrasto alle occupazioni territoriali con la lotta a una cultura tradizionalista e patriarcale, per un altro hanno promosso originali pratiche di resistenza nonviolenta, di mutualismo sociale, di mantenimento della vita. A dispetto di una prevalente rappresentazione mediatica, molte e di rilievo sono state e sono le figure femminili protagoniste nel vivace e raffinato mondo intellettuale palestinese, pienamente consapevoli altresì dei processi di soggettivazione e di liberazione».

Le esperienze storiche che hanno fortemente interconnesso il femminismo con il pacifismo suggeriscono di respingere radicalmente le logiche dei conflitti armati e dunque l’accettazione della guerra, oggi a tutti gli effetti divenuta e percepita come una comune condizione di normalità. Questo seminario, al contrario, «vuole ribadire l’inaccettabilità delle pratiche di sterminio per fame come mezzo di guerra divenuto legittimo; così come ripudia l’antica logica per cui i mezzi sono giustificati dai fini allorché i mezzi sono rappresentati dall’uccisione di civili e il fine dall’imposizione di una supremazia occidentale e dalla difesa dei suoi presunti e cosiddetti valori; ancora più inaccettabile risulta la logica per cui i massacri perpetrati contro gruppi di religione musulmana sarebbero giustificati da un fine nobilissimo, quale la liberazione delle donne; le quali al contrario – come è ben noto – sanno come fare per liberarsi autonomamente».

Da sempre la Società italiana delle Storiche ha inteso la ricerca storica come attività scientifica e di promozione della didattica, ma anche come impegno civile e presenza attiva nel tessuto sociale. In passato in prima fila nel sostegno ai diritti civili, politici e sociali di tutti e segnatamente di quelli delle donne, la SIS conferma ora il suo impegno nel sostenere le ragioni del superamento dei conflitti armati, delle logiche di sopraffazione, in favore del dialogo e della costruzione di processi di pacificazione.

Sotto questo profilo, la riflessione proposta, evidenzia chiaramente Fiorino, «vuole rimettere in discussione la logica manichea basata sulla coppia amico/nemico, condannare qualsiasi forma di discriminazione e di stereotipo culturale, respingere l’idea di sicurezza posta, su scala planetaria, in termini di mero riarmo e militarizzazione.

Ma soprattutto sarà importante avviare la discussione almeno su due punti chiave: in primo luogo, il rifiuto della semplicistica logica amico/nemico porta con sé, per usare le parole di Carla Lonzi, spostarsi su un altro piano, quindi cogliere le ragioni ultime della riattualizzazione delle guerre per combatterle dalla radice; rifiutare la sollecitazione di stare in favore di uno schieramento o di un altro ma respingere in toto la logica bellicista e gli interessi economici che spingono alla guerra prima e alla ricostruzione degli spazi distrutti poi. In secondo luogo, contrastare l’idea secondo cui la riproposizione delle ragioni dei processi di pacificazione e il rifiuto delle logiche di guerra siano necessariamente da derubricare come buone aspirazioni ma, ahinoi, del tutto irrealistiche; non si tratta di fare esercizio di buoni sentimenti, ma di sperimentare e sostenere che le alternative alla guerra e alla distruzione ci sono e sono possibili; che opporsi alla guerra non significa negare la conflittualità sociale ma elaborare sistemi nonviolenti per affrontarla; che l’opzione per la pace è prioritaria e alla portata di qualsiasi scelta politica lungimirante».

Immagine di copertina è di Alioscia Castronovo: foto di un poster di street art del Colectivo Dexpierte, presso la Casa de La Paz La Trocha, Bogotá.

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