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ITALIA

La rabbia dell’ex-Gkn occupa l’aeroporto di Firenze

Sabato 18 ottobre, a Firenze, la manifestazione convocata dagli operai dell’ex-Gkn ha attraversato le vie della città per chiedere la risoluzione della vertenza che da più di quattro anni lotta per il riavvio della produzione

Se si vuole rispondere alla domanda da dov’è venuta la mobilitazione per la Palestina “blocchiamo tutto”, una delle strade da percorrere è quella di Campi Bisenzio, hinterland di Firenze, fino allo stabilimento dell’ex-Gkn, iniziata il 9 luglio di quattro anni fa, quando il fondo finanziario che aveva comprato la fabbrica decise di dismettere la produzione e così anche la vita di tutti gli operai. Ma il collettivo di fabbrica non ha accettato l’isolamento, la depressione, la vendita e lo svuotamento delle proprie vite e dello stabilimento e ha occupato lo stabile, e da quel giorno non si è più fermato.

Lottare contro la speculazione finanziaria e immobiliare non è facile, soprattutto quando le istituzioni sono completamente inattive, e quindi complici. Non è bastata la scrittura dal basso di un piano per la reindustrializzazione, l’istituzione di una cooperativa, la raccolta fondi di più un milione di euro, la prospettiva di una fabbrica ecologica e sociale integrata nel territorio, un festival di letteratura working class. Il collettivo di fabbrica ha girato tutte le assemblee, manifestazioni, tavoli istituzionali, gruppi di ricerca, è stato parte di ogni mobilitazione in questo paese, intessuto relazioni istituzionali, sindacali, territoriali, raccolto fondi, costruito iniziative. Eppure tutto questo sembra non bastare.

Il corteo di sabato 18 era convocato per questo, come ha spiegato Dario Salvetti, portavoce del collettivo di fabbrica: «non ci lasceremo logorare in silenzio, non ci lasceremo vivacchiare». Insieme ai collettivi studenteschi, agli operai del tessile di Prato, ai comitati territoriali, e alle tante persone venute da tutta la Toscana e il centro Italia, la manifestazione ha attraversato tutto il quartiere Novoli di Firenze nord. Tante le persone affacciate ai balconi applaudivano al passaggio del corteo, così come i volantini della manifestazione erano appesi in tanti negozi dal centro alla periferia di Firenze, perché la proposta di reindustrializzazione dal basso rappresenta un’alternativa concreta all’economia di guerra che orami invade l’Italia, dalla proposta di trasformare il settore dell’automotive in settore bellico, alle iniziative nelle scuole di esercito e forze dell’ordine.

«La fabbrica è stata chiusa dal disimpegno di Stellantis, dopo milioni di euro pubblici, è stata chiusa dalla speculazione finanziaria di Melrose, e oggi è tenuta chiusa dalla speculazione immobiliare» spiega Dario Salvetti dal camion e non come scrivono i giornali locali perchè «c’è il presidio operaio che spaventa». Oggi dopo la vendita di Melrose, i seguenti investitori che non hanno mai investito né presentato un piano industriale, è proprio il presidio operaio a rappresentare un’alternativa per il territorio e non il pieno abbandono, delocalizzazione, dismissione e svuotamento.

Tanti gli interventi durante il corteo dai collettivi ambientalisti con cui il collettivo di fabbrica ha intessuto un lavoro importante e scritto il piano per la reindustrializzazione ecologica dal basso, sociale e integrata sul territorio. Gli operai e le operaie del tessile di Prato in lotta nel distretto industriale per il riconoscimento di diritti di base come quello delle otto ore di lavoro per cinque giorni alla settimana, e che hanno spiegato come «non siamo alleati della ex-gkn, ma noi siamo la ex-gkn», perchè il sistema produttivo che dismette una fabbrica come la GKN è lo stesso che sfrutta i lavoratori e le lavoratrici nella piana di Prato, e oltre.

E tante le bandiere della Palestina, perché come spiega sempre Dario «la nostra vita, la nostra vicenda si rispecchia e si riflette perfettamente in quella della Palestina, e della flotilla. Non nel senso che noi stiamo vivendo la stessa tragedia loro. La tragedia della Palestina noi non la possiamo nemmeno immaginare, la casa distrutta, famiglie intere cancellate, bambini fucilati, torture in carcere. In Palestina c’è la convergenza più avanzata di tutte le catastrofi, e ce lo insegnano loro: c’è l’oppressione, c’è lo sterminio, c’è il controllo digitale, c’è la speculazione finanziaria, c’è il riarmo, c’è il razzismo, c’è il sionismo, c’è il suprematismo, c’è il governo italiano, c’è Trump, ci sono tutti, e tutto quello che vediamo intorno è la Palestina».

E dopo aver percorso tutto il quartiere popolare a nord di Frienze, prima della conclusione, il corteo ha deviato verso l’aeroporto di Peretola, al grido di «nessuno può fermare la rabbia operaia», la rabbia del lavoro impoverito, del welfare che cade a pezzi, delle persone che non possono accedere al sistema sanitario, la rabbia delle precarie e dei precari. Quattro anni fa il collettivo di fabbrica chiese al territorio e a chiunque gli intervistasse: «ma voi come state?». E ancora oggi è lì a chiederci con la sua lotta: ma a quali condizioni di vita e di lavoro siamo arrivate in questo paese?

Le partenze dell’aereporto sono state bloccate con determinazione dal corteo. Perché questa lotta ha bisogno di spazio e una chiara presa di posizione da parte delle istituzioni. «La fedina penale del collettivo di fabbrica e di chiunque altro oggi non sarà sporcata, la nostra rabbia non sarà mai sporcata. Il governo, la regione Toscana e tutti i livelli si devono prendere le loro responsabilità, perché dopo 1560 giorni di presidio a noi rimane soltanto un diritto: la rabbia sociale» urlava Dario al megafono.

Domenica la mobilitazione è continuata con una assemblea in fabbrica dedicata alle Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali (CERS) perché il progetto di una cooperativa operaia di autorecupero andrà avanti anche senza il piano istituzionale con l’azionariato popolare e con la partecipazione dal basso. Perché contro il riarmo, l’economia di guerra, e il genocidio abbiamo bisogno anche di alternative concreta come quella che propone il collettivo di fabbrica dell’ex-Gkn.

Tutte le immagini sono di Luca Mangiacotti

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