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ITALIA

Apuane sotto assedio: la montagna come campo di battaglia ecologica

Dove il marmo luccica, la montagna muore: viaggio tra sfruttamento ambientale, inquinamento invisibile e nuove forme di attivismo ecologico, tra estrattivismo del marmo, marmettola e resistenza dal basso

Se dovessimo associare un colore all’idea di Alpi, probabilmente, sarebbe il bianco: il colore della neve che copre le cime più alte e del ghiaccio che abita le terre più alte del paese. Se però le Alpi a cui ci stiamo riferendo sono quelle Apuane, il bianco che avremmo in mente non sarebbe quello dell’acqua ghiacciata, ma quello della roccia viva, del marmo lucente che emerge dalle ferite sui loro versanti squarciati, o quello che riempie i fiumi che in esse originano, la marmettola. Questa, che rende le acque dei fiumi Lucido, Frigido, Versilia e Lunigiana di un bianco sporco e torbido, soffocando forme di vita e portando con sé l’impronta tossica di un’economia che, in nome del profitto, erode lentamente un ecosistema unico, ignorando il prezzo pagato da chi lo abita.

Ci troviamo nel cuore della Toscana per raccontare una storia di sfruttamento e colonizzazione che richiama le vicende di territori lontani, accomunati dal fatto che le risorse naturali vengono svuotate fino all’osso e che a pagarne gli impatti più negativi sono i loro abitanti.

Estrattivismo: il volto locale di un problema globale

L’estrattivismo è una logica sistemica, un modello economico basato sull’esportazione di materie prime, che implica grandi impatti ambientali e sociali, spesso in territori periferici o marginalizzati. Le sue conseguenze sono tangibili e ben evidenti in tanti luoghi: dalle miniere d’oro del Perù, al litio del deserto cileno, fino alle sabbie bituminose del Canada. E anche se siamo abituati a pensare che siano logiche che si attuano lontano dal bel paese, in realtà, in Italia, l’estrattivismo assume una forma particolare, quella delle montagne sventrate, delle cave che si moltiplicano, di miliardi di euro in blocchi di marmo che viaggiano verso la Cina, lasciando sul territorio da cui sono partite polveri sottili, paesaggi devastati e comunità frammentate.

Nelle Alpi Apuane, attualmente, ci sono oltre 160 cave attive, molte delle quali (circa 80) situate all’interno dei confini del Parco Naturale Regionale omonimo: un paradosso ambientale che prende il nome, non a caso, di “parco minerario”.

Nel periodo che va dal 2005 al 2022, secondo il dossier realizzato da Legambiente, nelle cave attive sono state estratte oltre 68 milioni di tonnellate di materiali, delle quali soltanto il 22,8% è composto da blocchi di marmo e ben il 77,2% di detriti, utilizzati perlopiù nell’industria del carbonato di calcio. Sono addirittura una decina le cave con una resa in blocchi inferiore al 10%. Tutto ciò che non va a comporre i blocchi pregiati, diventa polvere, calce, residuo industriale, e, appunto, marmettola.

Marmettola: inquinamento invisibile

La marmettola è il risultato meno sconosciuto e più subdolo dell’estrazione del marmo: si tratta di una sospensione di polveri sottili di carbonato di calcio, mescolate all’acqua, che finiscono nei fiumi e nei suoli. Ha un colore bianco ed è impalpabile e polverosa come la farina raffinata, ma se lasciata a terra ed esposta alle piogge si trasforma in una fanghiglia melmosa, nociva per l’ambiente, perché una volta secca cementifica gli alvei dei fiumi e dei torrenti, forma uno strato impermeabile, occupando gli interstizi dell’alveo, habitat dei macroinvertebrati bentonici, che sono alla base dell’ecologia fluviale, con un effetto devastante per la biodiversità e contribuendo ad aumentare il rischio di esondazioni e alluvioni.

Si tratta di una sostanza letale per gli ecosistemi fluviali, perché le particelle in sospensione opacizzano le acque, riducendo la penetrazione della luce e conseguentemente l’ossigenazione delle acque, con danni evidenti alle forme di vita che le abitano. 

La polvere di marmo, inoltre, non solo è pericolosa per l’ambiente per la sua consistenza e per la sua reazione agli agenti atmosferici, ma è anche inquinante perché in essa si trovano tracce di terriccio di cava, oli e grassi usati per lubrificare gli strumenti per il taglio, tracce di idrocarburi per alimentare le macchine, metalli derivanti dagli utensili di taglio, come tagliatrici a catena e fili diamantati.

La maggior parte di questa polvere, negli anni 2012-2015, risulta portata da ditte autorizzate al trattamento dei rifiuti allo stabilimento della Huntsman Tioxide di Scarlino (GR), che la utilizza nelle fasi produttive come agente neutralizzante degli effluenti acidi.

Altre destinazioni sono state individuate in impianti autorizzati tramite procedura semplificata secondo quanto previsto dal DM 05/02/98, come cementifici, opere civili e stabilimenti industriali. Tuttavia, come evidenziano gli esperti dell’Agenzia Regionale per Protezione dell’Ambiente Toscana (ARPAT), il quantitativo complessivo di marmettola desunto dalle dichiarazioni MUD relative alle attività estrattive e di trasformazione dell’intero comprensorio Apuo-Versiliese lascia dimostra che un importante quantitativo di marmettola non risulti gestito. Infatti, il rifiuto marmettola – che dovrebbe essere raccolto all’origine per essere recuperato-trattato ovvero smaltito secondo quanto previsto nell’autorizzazione – spesso e anche in ingenti quantità, risulta abbandonato nell’ambito dell’area di cava dove resta esposto all’azione degli agenti atmosferici meteorici che lo disperdono nell’ambiente circostante.

Infatti, le analisi condotte da Source International mostrano alterazioni nei valori di torbidità e pH in prossimità delle cave (e non solo) con effetti persistenti nel tempo. La presenza di marmettola, infatti, determina un significativo degrado qualitativo dei corpi idrici, causando danni sia alle acque superficiali che a quelle sotterranee e sorgive. L’inquinamento delle acque sotterranee e delle sorgenti, che in buona parte sono captate con scopo idropotabile, sebbene sia ancor più grave di quello delle acque superficiali, è meno percepito, perché non direttamente visibile; le sorgenti con torbidità contenuta sono potabilizzate da filtri mentre quelle con da elevata torbidità vengono temporaneamente escluse dalla rete, generando uno spreco di risorse.

In questo senso, è emblematico il caso del depuratore del Cartaro, che è stato pagato dai cittadini per abbattere la torbidità delle acque dell’omonimo fiume, imbiancate a causa della vicina cava privata.

Quello della marmettola che viene prodotta dalle cave è il frutto di un inquinamento sistemico, normalizzato, reso invisibile da una narrazione che celebra il marmo come “oro bianco”, simbolo del lusso Made in Italy, ma si dimentica di mostrarne anche i costi ambientali.

Una delle questioni cruciali è la corretta identificazione della marmettola come rifiuto o come sottoprodotto: infatti in linea di principio i materiali residui non devono essere classificati come rifiuti, potendo assumere la qualifica di sottoprodotto quando possono trovare utilizzo in altri cicli di lavorazione. Occorre tuttavia sottolineare che a oggi, in fase di controllo, non sono mai state riscontrate le condizioni che consentirebbero di attribuire a tale rifiuto la qualifica di sottoprodotto.

La scienza nelle mani di chi resiste

Di fronte a tutto questo, nel corso dei decenni sono sorte numerose risposte dal basso, che hanno preso la forma di manifestazioni, conferenze, camminate partecipate e pressioni sulla politica. Tra queste, negli ultimi mesi, c’è stato il monitoraggio partecipato promosso da Source International con il progetto “Osservatorio Cittadino delle Acque Apuane follow-up”, un’esperienza che coniuga citizen science e giustizia ambientale, sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese.

L’idea è semplice ma potente: formare cittadine e cittadini per raccogliere dati ambientali in modo indipendente, condividere strumenti scientifici come sonde multiparametriche, tubi di torbidità e applicazioni per la mappatura per costruire insieme una contro-narrazione basata su fatti, misurazioni, prove.

Il progetto ha coinvolto già oltre 35 cittadini e 3 associazioni, con uscite sul campo, workshop online, momenti pubblici, e i dati raccolti sono stati caricati su una piattaforma aperta (KoboToolbox), dove sono accessibili a chiunque sia interessato e, soprattutto, dove sono a disposizione per diventare strumenti di denuncia e mobilitazione.

Cartografie per la giustizia ambientale

Non si tratta solo di una questione di dati, infatti il monitoraggio partecipato ha anche l’obiettivo di stimolare un ripensamento delle mappe, che da geografie neutre, diventano così narrazioni visive dei conflitti, strumenti per vedere l’invisibile, come la marmettola nei fiumi o le fratture nelle montagne.

Durante gli incontri organizzati da Source international, attivisti e scienziati ambientali hanno mostrato come la cartografia digitale possa essere usata per denunciare crimini ambientali, monitorare violazioni dei diritti e proporre alternative sostenibili, in una nuova forma di ecologia politica, che unisce scienza, comunità e tecnologia.

Non un caso isolato, ma un paradigma diffuso

Tra i motivi per cui è importante non distogliere l’attenzione sul caso delle Alpi Apuane, oltre al sostegno per le popolazioni locali che da decenni sembrano combattere contro i mulini a vento, c’è anche il fatto che non si tratti di un’eccezione, un caso isolato, ma di un paradigma. Infatti, le dinamiche di estrazione, esclusione e inquinamento si ripetono ovunque nel pianeta ci sia una risorsa da “valorizzare”. Per fortuna, però, così come le minacce, anche le risposte si moltiplicano: dalle reti di resistenza agli osservatori popolari, fino alle iniziative di scienza dal basso. 

Per questo motivo parlare di quello che accade oggi nei versanti delle Alpi Apuane significa anche parlare di clima, democrazia e diseguaglianze, e diventa un invito a guardare con occhi nuovi anche ciò che crediamo familiare e a scegliere da che parte stare.

Per approfondire queste tematiche e scoprire da vicino queste esperienze di resistenza e monitoraggio partecipato, sarà possibile partecipare all’evento pubblico organizzato da Source International il 29 maggio all’Università di Pisa: sarà un’occasione per ascoltare, discutere, analizzare i risultati del monitoraggio partecipato e, soprattutto, ragionare insieme.

Immagine di copertina di Manuel Micheli

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