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Storie e città in movimento

Nota sul numero 35 della Rivista Zapruder, Storie in movimento.

A distanza di oltre dieci anni Zapruder, la rivista nata a ridosso delle giornate di Genova 2001, torna a gettare il proprio sguardo sulla città. Dieci anni fa la rivista aveva portato i propri ricercatori a inseguire i conflitti legati a un elemento tipologico: la piazza. Nel numero 35 di quest’anno, pensato e coordinato da Ferruccio Riccardi e Ivan Severi, l’attenzione è posta ai conflitti e allo sviluppo urbano.

Da instancabili indagatori di storie in movimento il numero ha scelto di affrontare la ricerca con una doppia attenzione. La prima, tracimando dai propri ambiti disciplinari per chiedere complicità “altra”. Quella apportata dai contributi di architetti, geografi, antropologi ,cartografi, fotografi e lo street artist Blu a cui si deve la copertina del numero. La seconda di natura “geografica” spingendosi ad indagare, in aree e territori diversi tra loro, che cosa è successo o sta succedendo alla luce degli effetti prodotti dal binomio (dis)ordine economico /conflitti sociali.

Ne è uscito fuori una sorta di atlante composto da tante città che, al di là della loro collocazione cartografica, rappresentano altrettante forme del farsi città. Fatte di progetti totalizzanti o puntuali sopraffazioni e altrettante forme di resistenza fatte di lotte sociali contro il dispotico disegno capitalista.

Città dove è in atto, il fenomeno che Federico Paolini nel numero, descrive come “metabolismo urbano”quando con l’urbanizzazione le città s’impossessano delle risorse di tutti, a partire dall’acqua e dal suolo, per farle diventare “metaboliti degradati” ovvero le condizioni in cui siamo costretti ad abitare. Viviamo in città disegnate dal sistema capitalistico in spazi determinati dalla disparità economica, discariche dell’ingiustizia sociale per giunta quale risultato di scelte energetiche estratte con impatti ambientali devastanti.

Città, nel numero è Pietro Zanini a ricordarcelo, dove, quale forma di resistenza può essere proprio il ripensare al”nostro rapporto con il tempo dell’abitare” e di come “ diamo forma al nostro abitare il mondo”. Lui lo fa partendo dalla suggestione del documentario dei primi anni 70 “ Pasolini e….la forma della città”in cui per lo scrittore friulano “il problema della città e quello della salvezza della natura che circonda la città sono un problema unico”. Quella che lui chiamava “omologazione” non è frutto della lotta del capitalismo ai sistemi di vita? Non è ancora più vero oggi che abbiamo scoperto sulla pelle del nostro abitare di come produrre per il capitale significhi soprattutto produrre la micidiale arma di distruzione di massa rappresentata dal cambiamento climatico.

Per questo le tante città presenti nel numero, o meglio il loro essere stai indagati come veri e propri paradigmi urbani, appaiono come altrettante ipotesi sconfitte. Sia nella loro forma pubblica che privata.

La “città rifugio” figlia della retorica antiurbana indagata (Bruno Cousin) nella realizzazione di Milano 2 venduta da Berlusconi come uno dei suoi tanti “sogni inglobanti” che ha fallito proprio nel non essere riuscita a rappresentare la territorialità abitativa della nuova borghesia.

La “città che si mostra”, indagata nell’esperienza americana di fine ottocento (Marco Sioli) nelle sue esposizioni universali dove veri e propri movimenti di rivolta rigettarono l’immagine di pacificazione che propugnavano. Allora era usato come mantra la nuova tecnologia costruttiva. Oggi sono i movimenti a dire no ad un modello di Expo che come a Milano si regge su debito, precarietà e cemento.

La “città sospesa” l’area industriale romana indagata da Giovanni Pietrangeli che no ha mai funzionato, che nel naufragio dello SDO (sistema direzionale orientale) si è portata appresso il fallimento della città funzionale, la terziarizzazione del centro storico, l’espulsione della residenza popolare dal cuore antico della città, lo sviluppo a macchia d’olio di Roma, il continuo collasso di un ridicolo sistema infrastrutturale, una logistica che non è mai decollata, compromettendo la vita di oltre tre milioni di abitanti per non interrompere la voracità dei famelici divoratori della rendita fondiaria.

La “città digitale” esaminata da Ornella Zaza dove il rapporto tra tecnologia e progetto di città alle volte rischia di tagliare fuori chi la città abita, vive e sogna senza essere un nativo digitale.

Le “città vuote” come il caso di Phnom Penh dove l’urbanistica dispotica replica le deportazioni di Pol Pot (la capitale dove una volta conquistata dai Kmer rossi vide la propria popolazione ridursi da un milione e mezzo di persone “trasferite”(sic) nelle campagne, a 3000!!) in un movimento a go-gò che sposta continuamente chi riportato in città non ha nulla per creare accumulazione , cacciandoli sempre più lontano dal al posto degli slum dove sono stati costretti a vivere per prefigurare prima ancora di una nuova borghesia lo spazio dove andrà ad abitare. Una città fatta di vuoti .

Una “città da riempire” è invece la Barcellona post olimpica dove ora sotto attacco è proprio lo spazio pubblico da annettere e trasformare. Il destino delle città post-fordiste impigliate nei progetti di “rigenerazione urbana” dove il marketing territoriale ha per poter assecondare i desiderata del mattone finanziario, come prima mossa quella di cancellare forma e memoria del vissuto di quei luoghi e delle loro insorgenze.

Sono le gabbie di cui parla Elisanbetta Teghil la scacchiera liberista che punta all’alienazione del vivere, al’asservimento al debito all’impoverimento dello spazio pubblico. La fine della città pubblica porta alla necessità di riuscire a costruir nuove forme di democrazia . Il neoliberismo ci ha dichiarato guerra alla nostra vita, ma è ben lontano dal’averla vinta.

Anche se nel numero questo passaggio è solo accennato le battaglie, la cura verso i beni comuni, il possente lavoro di costruzione di relazioni sociali, la rigenerazione urbana praticata a partire dalle convenienze sociali dei più, contro quelle economiche dei pochi, sono una prima e forte risposta. La ricchezza del nostro abitare non sfuggirà certo agli implacabili segugi di Zapruder, storie in movimento.