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Narrazioni politiche e Swag

Perché la presenza di Bello Figo a Rete 4 distrugge vent’anni di ipocrisia e di retorica politica , dei partiti di destra come di quelli di sinistra.

L’inizio di dicembre 2016 verrà probabilmente ricordato, tra tutti i fan della televisione, del trash italiano e dei meme di internet, come la volta in cui Bello Figo ha dabbato in faccia ad Alessandra Mussolini. Eppure, a mio avviso, questo evento mediatico contiene tante riflessioni importanti sul ruolo delle narrazioni politiche e sul difficile compito che spetterà nei prossimi anni al settore dell’informazione per comprendere la realtà che ci circonda.

Bello Figo e lo Swag

Andiamo con ordine: se della Mussolini è ormai nota al grande pubblico, il personaggio di Bello Figo merita una spiegazione a chi ancora non lo conosce. Un ragazzo di 24 anni di Parma, originario del Ghana, regolarmente in Italia da oltre dieci anni, che nel corso degli ultimi tempi ha raggiunto una discreta popolarità sul web attraverso i suoi video musicali su Facebook e YouTube.

Bello Figo è un rapper che utilizza come stile lo “Swag”: uno slang tipico dei millennials che si avvicina a quello che era “figo” per gli yuppie degli anni ’80. Un modo per definirsi alla moda, con uno stile di vita e di abbigliamento spensierato e attento ai bisogni dei giovani. Ma Bello Figo, che negli anni ha cambiato vari pseudonimi, non è un rapper che si prende troppo sul serio: da “Mi faccio una segha” a “Pasta col Tonno” passando per “Devo Trombare” la sua poetica non affronta drammatiche problematiche sociali bensì i bisogni primordiali: mangiare, bere, fare sesso. E di conseguenza avere una bella macchina, essere alla moda, essere più figo e swag degli altri.

Il primo punto di svolta nella carriera di Bello Figo è stato il suo accostamento ad altri “Lol Rapper” degli ultimi anni come TruceBaldazzi o McFierli: rapper che facevano ridere perché i loro testi erano stupidi, o perché cantavano male, o perché si atteggiavano inutilmente. Bello Figo rientrava di diritto in questa categoria, e la semantica dei suoi testi è stata già analizzata da Noisey. L’apoteosi di questa prima fase è stata l’intervista con Andrea Diprè, il re del trash nel web, specializzato nello scovare fenomeni da baraccone di cui ridere assieme al pubblico, spacciandoli per geni incompresi.

Ma forse, nel caso di Bello Figo, la realtà ha superato la fantasia. Non soltanto perché lo stesso Andrea Diprè ha partecipato a tour e video musicali del nostro rapper, come se la loro popolarità si fosse improvvisamente invertita. Ma anche perché Bello Figo ha cominciato una nuova fase della sua carriera musicale, in cui ha maturato un percorso degno d’interesse: canzoni come “Iphone6”, “Uso Google Chrome”, “Barbara Durso”, “Ho paura di Isis” “Sembro Francesco Totti” “Salviamo i Marò”, mostrano testi costruiti sulla base di argomenti popolari applicati alla sua filosofia dello Swag (con tormentoni ricorrenti che prevedono sempre il “farsi le seghe”, mangiare “pasta col tonno”, andare alla ricerca di “fighe bianche”, avere soldi e macchine). In pratica è come se cercasse di decostruire i trending topics con lo Swag, similmente all’operazione di Salvatore Aranzulla che costruisce le sue famose risposte tecnologiche sulla base delle frasi più cercate su internet. La poetica di Bello Figo culmina in una serie di considerazioni politiche (anticipate negli anni dalle canzoni dedicate a Matteo Renzi, Beppe Grillo o Berlusconi) in cui confluisce inevitabilmente il tema dei profughi, un trending topic dei media italiani da ormai molto tempo: “Sono bello come profugo”, “Non pago affitto” e il recente “Referendum Costituzionale” in cuidichiara una netta preferenza per il Sì al referendum del 4 dicembre.

Ma è il pezzo “Non pago affitto” a rappresentare la punta di diamante della sua fase matura, per così dire. Una sequela di luoghi comuni sugli immigrati che vivono in alberghi a 5 stelle e che non hanno voglia di lavorare, mischiati con le tematiche dello Swag e del suo stile musicale, che creano un mix letale per la retorica politica dell’attuale panorama italiano. Ascoltatela tutta:

Rete 4 e il dibattito politico

Ecco, il personaggio che vi ho appena descritto, in un clima politico come quello che stiamo vivendo (tra referendum costituzionale ed emergenza migranti, tra Brexit e Trump), viene invitato da Belpietro nella trasmissione di Rete 4 “Dalla vostra parte”, un approfondimento giornalistico del Tg4 che presenta un taglio spiccatamente populista, con cittadini tartassati e politici chiamati a rispondere delle varie problematiche. Inutile sottolineare quanto l’immigrato sia il nemico pubblico numero uno in questo tipo di trasmissione.

E la puntata in cui è stato invitato Bello Figo non fa eccezione, anzi: il tema è quello degli italiani sfrattati e delle case destinate agli immigrati. Un tema potenzialmente esplosivo, soprattutto se consideriamo che erano previsti collegamenti con cittadini che vivono condizioni di reale difficoltà, anziani senza un posto dove vivere e famiglie senza speranza per il futuro. Una rapida carrellata sulla miseria condita da politici come Alessandra Mussolini e altri collegamenti esterni. L’ospite in studio, invece, era Bello Figo. Com’è andata a finire? Giudicate voi.

La linea editoriale della trasmissione dettata da Belpietro era chiara: gli italiani sono in difficoltà, sempre più poveri, il potere (aka Il Governo Renzi) preferisce aiutare i profughi e gli immigrati che passano davanti ai nuovi poveri italiani nei bandi per la case popolari e nel ricevere gli aiuti della comunità europea. In questo contesto, Bello Figo era invitato come il rapper che prendeva in giro gli italiani in difficoltà, che si faceva beffe di loro con le sue canzoni. Cornuti e mazziati, insomma. In molti hanno fatto notare che i testi di Bello Figo siano in realtà ironici e che il giovane rapper abbia trollato il programma televisivo e i suoi ospiti. Tuttavia, a mio avviso, c’è una lettura più profonda dell’evento mediatico a cui abbiamo assistito.

Dopo il crollo del muro di Berlino la politica occidentale ha visto una radicale trasformazione e un graduale abbandono delle ideologie del secolo precedente. I partiti e i movimenti si sono riorganizzati non più sulla base di immutabili sistemi di valori e visioni del mondo diametralmente opposte, bensì su idee, progettualità di breve e medio periodo, correnti e contingenze. Le ideologie hanno lasciato lo spazio alle narrazioni, che usano i mass media come veicolo principale di diffusione; il contenuto ha lasciato spazio alla forma e le tecniche di marketing nella comunicazione politica sono state i principali punti di forza delle campagne elettorali di successo. Le narrazioni politiche si costruiscono sulla base di storie, personaggi e vicende, ambientate in una particolare visione del mondo, nel nostro immaginario collettivo; non sono necessariamente supportate da fatti, anzi sono a loro indipendenti, perché ogni fatto può avere diversi livelli di lettura.

Per quanto riguarda la tematica dell’immigrazione in generale, e quella dei profughi in particolare, la narrazione politica degli ultimi vent’anni si è retta principalmente su un nucleo concettuale che vede l’immigrazione come un’emergenza e un problema sociale a cui dare particolari risposte politiche. Una narrazione di cui non discuterò in questa sede la realtà: quello che mi interessa sottolineare è che a questa narrazione si sono allineati partiti di destra e di sinistra, sostenendola vicendevolmente.

I partiti di destra, soprattutto la Lega Nord e la galassia attorno a quella che fu Alleanza Nazionale, ha posto per anni l’accento sulla guerra tra poveri. La crisi economica, il liberismo europeo e l’establishment finanziario, in collusione con una classe politica e amministrativa sempre più corrotta e lontana dai cittadini delle periferie (notate qualche somiglianza con la narrazione pro-Trump?) ha portato sempre più italiani sull’orlo della povertà. Le famiglie non arrivano a fine mese, i giovani italiani sono disoccupati. In tutto questo, arrivano i profughi a cui l’Italia è costretta a fare accoglienza per tutta l’Europa, ricevono 35 euro al giorno, stanno in alberghi di lusso o addirittura passano davanti agli italiani nelle liste per le case popolari. E addirittura le associazioni e le cooperative rosse sfruttano il business dei migranti per fare cassa. Non siamo razzisti, ma in questa situazione di crisi non ci sono abbastanza risorse per tutti: prima gli italiani, poi gli altri.

I partiti di sinistra, soprattutto quelli filo-governativi dell’era Monti-Letta-Renzi, si sono stretti attorno alla stessa narrazione, utilizzando due tipologie di argomenti per controbattere al populismo di destra: la solidarietà di radice cristiana (i profughi fuggono dalle guerre, dobbiamo aiutarli perché sono miserabili, non possono tornare a casa loro perché siamo stati noi a rubare tutte le loro risorse e portare la guerra nelle loro terre) e i vantaggi di natura economica e sociale (gli immigrati sono necessari per superare la decrescita demografica, fanno i lavori che gli italiani non possono più fare, contribuiscono a pagare le pensioni per i nostri anziani, i soldi per la loro accoglienza ce li passa l’Europa).

C’è una frase nella canzone di Bello Figo “Referendum Costituzionale” che smonta questa narrazione e mette in luce l’ipocrisia di fondo: “A dir la verità, nel mio Paese non c’è nessuna guerra, volevo farmi una vacanza”. Un pugno in faccia ai populisti di destra, che continuano a credere che i profughi stiano meglio dei nuovi poveri italiani, che la loro vita sia più facile e che la traversata nel Mediterraneo sia una vacanza. E un pugno in faccia ancora più forte, se possibile, ai partiti di sinistra, che in quella narrazione hanno finito per privilegiare i migranti con diritto di asilo politico ai migranti economici: come se la ricerca di una migliore condizione di vita non fosse un motivo valido per emigrare! Sacrificati nell’altare del politically correct, per non rischiare di passare per buonisti, i migranti economici sono scomodi da difendere nell’attuale retorica della comunicazione politica. Ma è solo forma, che abbandona l’ideologia del suo contenuto e perde tutto il suo valore.

Bello Figo vs Alessandra Mussolini

Veniamo adesso al centro del duello televisivo, analizzando il comportamento e il linguaggio di Bello Figo nel contesto della trasmissione di Belpietro. La mia tesi è che la sua stessa presenza distrugga vent’anni di narrazione politica sui migranti, di destra e di sinistra.

Un personaggio che compone canzoni come quelle elencate qua sopra e che si trova a dover discutere del ruolo delle istituzioni tra le problematiche dei nuovi poveri italiani e dei profughi, è semplicemente assurdo. Un conto è farsi intervistare da Andrea Dipré, un conto è partecipare a un dibattito verbale dai contenuti politici con un’europarlamentare come Alessandra Mussolini. Non agiscono sullo stesso piano, non condividono lo stesso immaginario. È come se Romano Prodi dovesse confrontarsi con Capitan Padania. La sola presenza di Bello Figo umilia gli interlocutori, svilisce i loro contenuti politici. Ma è proprio questo il punto centrale: ormai non hanno più contenuti politici da diffondere, soltanto forma. E in quella forma si fanno battere da un personaggio ancora più assurdo di loro come Bello Figo.

Bello Figo distrugge il palcoscenico della nostra immaginazione e spacca il dibattito, perché non si comporta come il classico invitato che dovrebbe difendere le ragioni degli immigrati. A quello scopo c’era già un altro invitato “normale” in trasmissione, un mediatore culturale africano che da vent’anni lavora a Milano e che, come gli altri, ha attaccato duramente Bello Figo. Perché anche questo mediatore partecipa alla stessa narrazione condivisa che ha contribuito a creare l’immagine dell’immigrato come un eterno ospite, un eterno bambino che deve chiedere scusa in continuazione e dimostrare di essere migliore degli altri.

Perché questo è il senso profondo del ruolo dell’immigrato nella nostra società creato da questa narrativa condivisa: l’immigrato non sarà mai una persona normale. Deve essere migliore di tutti, deve essere un cittadino perfetto, perché al primo sgarro viene “rimandato a casa sua” oppure dimostra “l’inferiorità o la criminalità della sua intera razza/etnia”. I ragazzi prodotti dalla nostra normalità culturale vogliono tutti le stesse cose: stare bene, mangiare, fare sesso, giocare ai videogiochi, avere lo smartphone e i vestiti alla moda, diventare ricchi e potenti, essere swag. Come Bello Figo e le sue canzoni. Bianchi o neri, italiani o immigrati. Questi sono desideri comuni di persone normali, che possono essere buone o cattive, cittadini perfetti o grandissime teste di minchia. Ma comunque, irrimediabilmente, persone con la loro dignità.

L’immigrato, ma più in particolare il profugo, non ha questa dignità: non può chiedere la pasta col tonno, non può chiedere il wi-fi, non può chiedere nemmeno la “figa bianca”, perché dovrebbe ringraziare in continuazione e chiedere scusa in continuazione solo per non essere stato lasciato ad affogare nel Mediterraneo. In quest’ottica, deve essere eternamente grato ed eternamente servo: ha già avuto il dono dell’accoglienza e quindi non deve soltanto adattarsi alla nostra legge e alla nostra cultura, ma deve rimanere sempre subalterno nel nostro immaginario collettivo. Se dimostra bisogni normali, che avrebbe qualsiasi altro coetaneo di Bello Figo, è violentemente attaccato: quindi la sua condizione di anormalità è sancita dalla narrativa politica che li rende indegni dello status di persona.

Bello Figo nella trasmissione di Rete 4 ha rinunciato di stare alle regole di questa narrazione politica: non esce dal personaggio delle sue canzoni e distrugge la scena. Se ne frega di rispondere a tono alla Mussolini, come avrebbe fatto un politico di centrosinistra; fa il gesto della Dab Dance che non ha senso nel linguaggio dei dibattiti politici a cui siamo abituati. Non è come Berlusconi che pulisce la sedia di Travaglio, è puro trolling, ma è l’unica risposta possibile alla stessa mancanza di senso della sua interlocutrice. Bello Figo non è un politico, non ha senso la sua presenza in quell’arena, non deve cercare voti come un politico, può essere una testa di minchia come tanti e pretendere comunque la stessa dignità.

Bello Figo umilia la Mussolini alimentando i suoi stessi concetti sugli immigrati privilegiati, usando i suoi stessi pregiudizi. Diventa addirittura strafottente per gli avversari (d’altronde, c’è una legge che vieta di essere antipatici?), ma questo non dovrebbe negargli la dignità come persona o i diritti civili. Eppure, l’ondata di rabbia e violenza, pari a una sospensione di democrazia, scaturita nei suoi confronti, non è solamente la dimostrazione del nostro animo profondamente fascista: è la dimostrazione che a questa tipologia di persone è stata negata la dignità e le abbiamo costrette a una condizione di subalternità.

La rabbia che la trasmissione di Rete 4 ha provocato si è riversata sui social, similmente all’episodio di Black MirrorHated in the nation”, con la differenza che Bello Figo è stato anche inondato di attestati di stima per il suo trolling in diretta nazionale. Ma l’importanza di questo momento televisivo non può essere riassunta in una lotta tra due categorie. Si potrebbe pensare che la trasmissione non sia servita a nulla, che ognuno sia rimasto sulle proprie posizioni, ma non è così: informare i cittadini, offrire loro uno sguardo critico e approfondire i diversi punti di vista dovrebbe essere il ruolo dell’informazione. Ruolo che Belpietro e questa tipologia di trasmissioni hanno già perso da anni, delegando la loro linea editoriale a propaganda politica, perdendo tutta la loro autorità. E allora anche Bello Figo può stare in quell’arena con la Mussolini, anche lui acquista all’improvviso autorità dal momento in cui compare in diretta nazionale. La politica ha lasciato che la forma prendesse il sopravvento sul contenuto, e adesso viene trollata.

Conclusioni

Bello Figo a Rete 4, a mio avviso, ha distrutto la retorica ventennale sul tema dell’immigrazione, sia della destra che della sinistra.

La destra è spiazzata e rivela tutta la sua violenza. Perché il suo interlocutore non fa notare la differenza tra profugo e immigrato, ma risponde con la Dab Dance. “Sarebbe da prendere a calci”, dice la Mussolini; “Me lo prende chi può”, risponde Bello Figo. “Tornatene al tuo paese” dice la prima; “Questo è il mio paese” dice il secondo. Un atteggiamento che provoca rabbia, e quindi la fine del processo politico: ma era la rabbia l’obiettivo iniziale della trasmissione, anche senza la presenza di Bello Figo, con i cittadini sfrattati messi a paragone con gli immigrati privilegiati e la forma che vince sul contenuto, con la politica e l’informazione ad aver già delegato il loro ruolo e perso la loro funzione.

La sinistra è ugualmente spiazzata e rivela tutta la sua ipocrisia. Perché Bello Figo fa incazzare gli italiani immischiati nella guerra tra poveri, perché non è utile alla sua narrazione e rischia di far perdere voti. Ma non gli si può riconoscere un ruolo politico, è solo un rapper intervistato da Dupré che fa canzoncine swag. Era semmai la sinistra a dover pensare, dopo la caduta delle ideologie e durante la crisi economica, alla classe media impoverita, agli operai e agli abitanti delle periferie. Perché i migranti economici, tanto vituperati, sono sia dentro che fuori i confini italiani, e la sinistra doveva prendere le loro difese, senza mettere gli uni contro gli altri.

Se tutto in politica è ormai ridotto alla forma, se la comunicazione politica è equivalente al programma politico, allora puoi trollare tutti e avere la stessa dignità degli interlocutori politici che i mass media considerano autorevoli. Se 4chan può diventare la cassa di risonanza di Trump, l’appello al referendum di Bello Figo ha la stessa importanza di un comizio di Renzi. Se la politica non abbandona le narrazioni e torna a investire in contenuti seri e programmatici, insomma, sarà seppellita dalla Dab Dance di Bello Figo.

Che era anche capace di tirar fuori canzoni del genere, prima di diventare il profeta italiano dello Swag.

Alessio Banini è antropologo, scrittore, specializzato nel territorio della Valdichiana e nei contenuti web.

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