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Il ritorno dell’”Amica geniale”

Il 10 febbraio ritorna la seconda serie dell’”Amica geniale”, basato sul secondo romanzo di Elena Ferrante “Storia del nuovo cognome”. In controluce non solo la storia dell’Italia e delle sue lotte, di Napoli e della camorra, ma anche quella di una rivalsa contro la violenza maschile sulle donne

Dopo il successo della prima stagione, il 10 febbraiotorna su Rai1 e RaiPlay la seconda serie dell’Amica geniale, intitolata Storia del nuovo cognome. L’ambizione di questa imponente co-produzione tra HBO, Rai, Wildside e Fandango è portare sul piccolo schermo una storia di amicizia femminile che ha appassionato lettrici e lettori di tutto il mondo.

A dire il vero la storia dell’Amica geniale è molto più di questo, è la storia del sottoproletariato del secondo dopoguerra, è la storia di emancipazione dalla condizione di subalternità, è la storia di Napoli, è la storia delle lotte operaie, è la storia dello studio come strumento di emancipazione sociale e del suo fallimento. Ma è anche la storia della violenza dei borsaneristi prima, deifascisti e camorristi dopo, è la storia dei grandi ideali di liberazione del comunismo naufragati insieme ai giovani di belle speranze finiti a militare tra le fila di Forza Italia, è la storia dell’oppressione di genere e delle lotte femministe. Infine, è la storia di Lila (Gaia Girace) e Lenù (Margherita Mazzucco) e della loro amicizia che, scevra di ogni sentimentalismo da feuilleton, mette in scena il conflitto e l’alleanza tra due persone che vivono una comune condizione di oppressione.

Nei primi due episodi, Storia del nuovo cognome e Il corpo, Saverio Costanzo abbandona la scala di grigi della prima serie, avvolgendo con una luce calda la storia di mille e una Napoli degli anni‘60. Un contrasto efficace con il tema principale della narrazione: la violenza maschile contro le donne. Storia del nuovo cognome prosegue infatti la storia di Lila e Lenù con la discesa nel labirinto della violenza maschile, che per Lila si concretizza nel breve viaggio di nozze ad Amalfi. Qui Stefano (Giovanni Amura) risponde alla rabbia e alla sofferenza della moglie bambina, causate dall’affronto di Marcello Solara (Elvis Esposito), stuprandola. Un atto che segna il divenire a tutti gli effetti proprietà del marito, così come mostra d’altronde la vicenda che ruota attorno alla gigantografia di Lila in abito da sposa ed esposta nel negozio di fotografia, che Stefano andrà a recuperare quale legittimo proprietario, con l’intento di abbellire il negozio di scarpe di piazza dei Martiri.

 

Lo stupro

Nella serie, Costanzo crea una convincente immagine della smarginatura di Stefano, colto dietro la porta del bagno di vetro smerigliato in cui tenta di rinchiudersi Lila. Di contro delude la sequenza dello stupro, risultando a tratti voyeristica. Il regista sceglie infatti di esibire la nudità del seno e del pube di Lila, sposa bambina, esprimendo così “in-consapevolmente” la violenza dello sguardo maschile. Una dinamica che ha insegnato a riconoscere Laura Mulvey già nel 1975. In Visual Pleasure and Narrative Cinema, testo miliare della Feminist Film Theory, Mulvey si serve della psicoanalisi freudiana e lacaniana per politicizzare lo sguardo della macchina da presa. Interrogarsi sui meccanismi che rendono possibile e operativa la rappresentazione e il rapporto tra fascinazione e narrazione per immagini mostra, tra le altre cose, come si perpetui il rapporto dicotomico del maschile quale polo dell’immaginario attivo e desiderante, e delfemminile quale polo del passivo e desiderato. Facendo del cinema lo spazio per capire la meccanica della rappresentazione degli oggetti del piacere, la domanda che risuona con la scena dello stupro di Storia del nuovo cognomeè: chi è il soggetto di questo sguardo e chi l’oscuro oggetto del desiderio?

 

 

Nel libro di Ferrante la scena dello stupro è costruita con una variazione continua dei punti di vista, in cui emerge un conflitto irriducibile tra il sentire di Lila e il sentire di Stefano, tecnica che crea una narrazione che non empatizza con la vittima per mezzo del dolore subito, scegliendo piuttosto di mettere in luce la miseria della sessualità maschile patriarcale, concentrata sull’esibizione e l’uso violento della forza e dei genitali.

Nella scena della serie tv invece il desiderio che muove l’occhio della macchina da presa è quello dello sguardo maschile e patriarcale, il quale anziché indugiare sulla ridicolaggine della presunta virilità del grassoccio Stefano (elemento presente nella narrazione ferrantiana), preferisce inventare (rispetto al testo) e guardare il corpo nudo femminile nell’atto della violenza, erotizzandolo.

Questa differenza tra il libro e la serie tv ci spinge a riflettere sulla dimensione transmediale della narrazione dell’Amica geniale, con gli stessi strumenti usati da Ferrante per discutere la trasposizione cinematografica di un libro di Joseph Conrad, Il ritorno, divenuto Gabrielle al cinema. Qui Ferranteapre a uno spazio liminale che chiama il “libro di nessuno” (Ferrante 2016, 181-186), direttamente correlato al desiderio dei lettori e delle lettrici. Tuttavia, coloro che traspongono un testo letterario in immagini rendono tangibile, più di altri, l’esistenza di questo spazio di ospitalità generativo di nuove narrazioni. In tal modo, Ferrante mostra come una trasposizione non sia all’altezza del libro solo quando agisce la «normalizzazione del testo letterario», ovvero il rendere la trasposizione meno inquietante del testo letterario di partenza.

 

 

In questo senso allora la resa televisiva dello stupro agito da Stefano è “normalizzata”, poiché la macchina da presa assume il punto di vista del desiderio maschile patriarcale, oltre a non cogliere il tentativo sperimentale di Ferrante di raccontare altrimenti il “sesso”. Infatti, preferendo erotizzare il corpo di Lila piuttosto che accentuare la miseria della sessualità di Stefano, Costanzo ha perso l’occasione di raccontare il “sesso” non per eccitare (modo in cui ci viene consegnato dalla tradizione letteraria –maschile), ma per fare altro, come nel caso del libro in cui lettrice e lettore sono costretti a riflettere sulle mille subdole forme della violenza maschile contro le donne. Bloccando questo passaggio è altresì meno chiaro ciò che produce il rapporto di violenza che Stefano impone alla coppia, come per esempio il fatto che questo riporta in vita agli occhi di Lila il padre di lui, don Achille, borsanerista fascista del rione, invisibilizzando così la questione della “genealogia maschile”, in cui il segno del dominio patriarcale si traduce, per gli uomini che si identificano nella norma, nell’imperativo categorico di assecondare ciò che è sempre stato fatto dai propri padri per contenere l’“eccedenza femminile”.

 

 

Quali immagini per raccontare la violenza maschile contro le donne?

 

Il tema della violenza maschile contro le donne, forma di relazione stabilita culturalmente e non naturalmente, è parte integrante dell’intreccio di Storia del nuovo cognome, che passa anche per l’indifferenza dei parenti e degli amici di Lila rispetto ai segni della violenza che la ragazza porta sul corpo (ma non di Lenù), così come per l’accettazione della violenza da parte delle donne, trasfigurata in un atto d’amore dei propri uomini.

 

 

La cultura della violenza patriarcale tende infatti a imporre il desiderio di dominazione maschile come reale desiderio della donna. Di conseguenza, le parole di affetto sono svuotate del loro significato, dinamica simile ai racconti giornalistici main-stream dei casi di femminicidio e violenza contro le donne, dominata dalla torsione linguistica del “ti amo e quindi ti uccido”, o del “ti stupro perché sei troppo provocante” che, per mezzo di uno slittamento semantico, permette al carnefice di travestirsi da vittima.

Questo elemento torna ripetutamente in Storia del nuovo cognome, come quando Stefano dà il primo schiaffo a Lila dicendole: «Vedi cosa mi fai fare?». Una violenza che produce in Lila la percezione di sentirsi cancellata dentro il cognome del marito: «… aveva cominciato a vedere in quella formula [Raffaella Cerullo in Carracci] un complemento di moto a luogo, come se Cerullo in Carracci fosse una specie di Cerullo va in Carracci, vi precipita, ne è assorbita, vi si dissolve» (Ferrante 2012, 123-124). Qualcosa che era già stato sperimentato dalle madri del rione a livello corporale e rimasto nello spazio dell’indicibile, come osserva Elena: «Erano state mangiate dal corpo dei mariti, dei padri, dei fratelli, a cui finivano sempre più per assomigliare, o per le fatiche o per l’arrivo della vecchiaia, della malattia»(102).

Ecco allora l’importanza dell’amicizia femminile, spazio relazionale e omosociale grazie al quale tanto Lila quanto Elena inventeranno comportamenti e parole creative, ma anche distruttive – richiamando quel “tremendo delle donne” tanto caro a Ferrante –, per resistere alla violenza imposta dai codici patriarcali. Ferrante racconta così l’amicizia tra donne come spazio politico, in cui poter essere soggetti di atti e parole, uno spazio dell’attivo esibirsi e non del mero apparire.

Questo porta all’interrogativo che ci accompagnerà nella visione della seconda stagione dell’Amica geniale, ovvero Saverio Costanzo e Alice Rohrwacher (alla quale è stata affidata la direzione di due episodi tuttora inediti) saranno capaci di raccontare il garbuglio di violenza patriarcale, resistenza femminile e trasformazione soggettiva, uscendo dai codici rassicuranti tramandati dalla tradizione televisiva e cinematografica, e dare così nuove immagini allo spazio politico prodotto dalla relazione tra Elena e Lila, come è stata d’altronde capace di fare con la scrittura Elena Ferrante?