cult

CULT

Chi ha paura del desiderio?

Da poco pubblicato da Minimum Fax, “Ripartire dal desiderio” di Elisa Cuter sviluppa un’articolata riflessione che attraversa gli studi di genere, la psicoanalisi, la storia dei movimenti sociali per affermare la persistente centralità e politicità del desiderio: un’istanza sempre conflittuale irriducibile a qualunque partizione pacificante della sessualità

C’è uno scambio di battute del film Santa Maradona. Lei e lui al bar, la mattina, per fare colazione. Dopo una frequentazione di poche settimane Lei prende una decisione: è arrivato il momento di fare un passo in avanti e trasformare il loro rapporto da – frequentazione – a – relazione. Per farlo decide di confessare un particolare che con la loro relazione non ha nulla a che fare, ma che per qualche motivo il narratore considera implicitamente necessario per qualificarla rispetto a una condotta morale. Lei: Abbiamo fatto l’amore –. Lui: Ti sei fatta scopare dal produttore per avere la parte? Ma che cosa sei, un luogo comune? –.  Un luogo comune. Santa Maradona è un film del 2001 e questo dialogo è necessario al protagonista della narrazione per affrontare, risolvere e individuare inizialmente il conflitto nella sua relazione, ma molto più largamente l’elemento introspettivo che lo porterà a relativizzare, comprendere e poi superare la sua scarsa dimestichezza con le dinamiche della vita adulta.

Quello che non viene preso in considerazione in questo dialogo – che mi è tornato in mente più volte durante la letteratura di Ripartire dal desiderio – è il fatto che non sia Lei a poter essere archiviata come luogo comune, bensì la pratica in una precisa relazione di potere e scambio in cui il senso di colpa è il prezzo da pagare. E non di meno, questo dialogo non connota esclusivamente la protagonista, ma pone, proprio in quel luogo comune, la visione femminile di Lui.

Il saggio di Elisa Cuter si apre con l’analisi di un fenomeno che l’opinione dell’epoca non lesse immediatamente come l’incarnazione esatta di quello che poi sarebbe diventato una parte fondante della costruzione dell’immaginario del ventennio successivo: Non è la Rai. In prima fascia pomeridiana, una collocazione prestigiosa per un palinsesto di una rete privata, una ragazzina di quindici anni conduce un programma di intrattenimento che raggiunge in poco tempo altissimi ascolti.  La regia di Gianni Boncompagni non è soltanto una regia televisiva, ma diventa la costruzione meticolosa di un’idea di femminile a opera dello sguardo maschile. Lolita viene portata fuori dal romanzo ed entra nei salotti pomeridiani generando però un cortocircuito. Boncompagni è presente nella conduzione del programma in cuffia, ed esercita un potere manipolatorio ma subalterno: è Ambra l’unico volto depositario di un potere dell’attrazione. «Perché d’un tratto non è più vero che le donne rappresentano il privato e il maschile il pubblico.

 

D’un tratto, le donne sono lì, occupano le poltrone del potere e tutto lo schermo del visibile» e questo è uno degli inneschi per il processo di femminilizzazione. Il caso di Non è la Rai diventa un paradigma di partenza per isolare i binari della narrazione che sostengono Ripartire dal desiderio e che sono necessari, per associazione, a comprendere la guerra tra i generi nella storia recente.

 

Cuter esordisce nell’editoria con un saggio complesso, un articolato allineamento dei concetti che attingono agli studi di genere, alla psicoanalisi, alla storia dei movimenti e a quei movimenti politici che oggi continuano a generarsi intorno all’urgenza delle istanze. Una precisa ricostruzione del “come siamo arrivati fin qui”, fatta non necessariamente per trovare una soluzione, ma per collocare lucidamente le tessere in un contesto profondamente guidato dalle dinamiche del capitalismo. C’è spazio, un ampissimo spazio, che mette a fuoco assai lucidamente la parabola che nella storia recente ha avuto il ruolo della donna, partendo dalla concezione di subalterna al potere produttivo maschile e destinata primariamente a svolgerlo in uno spazio privato.  L’evoluzione del rapporto del femminile con l’altro, sia esso il maschile, il lavoro, potere o progenie passa anche dal conflitto. Le figure di cui parla Cuter, le donne, gli uomini, le soggettività e i corpi, sono figure che in questo contesto hanno un ruolo politico.

Da qui poi l’analisi si allarga e accoglie nel ragionamento le correnti di studi di genere che si sono susseguite e che fanno parte del dibattito politico odierno, svelandone in alcuni casi i limiti  ideologici o di forma. Il “chi” legato a doppia mandata con il “dove” quando la narrazione si dedica all’analisi dell’evoluzione che i luoghi hanno avuto, contribuendo a cambiare la natura del potere, sia esso sottratto, contrattato o concesso. La percezione e il ruolo dei luoghi: la casa, la fabbrica, gli spazi politici, i supermercati, la televisione, la piazza e di nuovo la casa sono gli avamposti in cui i ruoli del femminile e del maschile svelano gli sbilanciamenti più evidenti (e dove si manifesta quindi conflitto) in relazione al potere produttivo, al potere riproduttivo e al potere di consumo. Il conflitto tra i generi che è il nucleo fondativo alla base di Ripartire dal desiderio. Anche in questo senso l’analisi del corpo femminile serve a mappare un altro esempio di criticità: ci si addentra nelle dinamiche che hanno generato il movimento #metoo e di cui Cuter cerca di svelare i limiti che consistono nel pericolo dell’oggettivazione della donna come vittima con una conseguente polarizzazione di vittime e carnefici che non lascia spazio a una soluzione. E sempre a proposito di questa polarizzazione, Cuter indaga, più avanti nel saggio, la figura dell’Incel: Involuntary Celibates ovvero uomini che in buona sostanza si considerano vittime del femminismo e che rivendicano quindi la violenza sulle donne come legittima.

 

E poi c’è il desiderio. Il desiderio provato, il desiderio provocato, quello assoggetto, il desiderio che crea conflitto. Con l’interno e con l’altro. «Quando si tratta di sesso, ci troviamo davanti a un primo conflitto tra soggetto e oggetto, due posizioni, due lati dalla barricata, che nella visione tradizionale abbiamo chiamato maschile e femminile pensando che fossero due principi ontologici. Invece non si tratta di due che esistono in natura, ma di due posizioni che vengono prodotte dal conflitto che si genera dal desiderio. È questo quello che io chiamo desiderio: quell’esperienza che crea conflitto, una cesura tra soggetto e oggetto».

 

Il desiderio che riguarda un’elaborazione, l’elaborazione di una collocazione singola, tra sé e sé e il desiderio che mette in relazioni due singoli che lega i generi, tutti, senza distinzioni binarie.

In Ripartire dal desiderio, Cuter lascia spazio anche al biografico (il privato è politico, come sottolinea) che diventa l’applicazione o la detonazione dell’analisi, rendendo la restituzione ancora più cristallina. Collocarsi è parte di una certa pratica politica e serve non solo a dire qualcosa di chi scrive, ma a capire il punto esatto in cui teoria e contesto si intersecano generando ancora di più senso. C’è una frase del libro su cui sono tornata più volte perché l’avevo cerchiata, riletta e ricopiata; si trova appena prima delle conclusioni e in qualche modo ne costituisce, per me, l’estrema sintesi. È la conclusione di un paragrafo che confronta le differenti posizioni riguardo al concetto di maternità (ma che non ha a che fare solo con la maternità), naturale, connotativa o arbitraria in cui Cuter si colloca molto vicina alle teorie xenofemministe: «l’aspirazione a qualcosa di meglio, qualcosa che si ricerca per il proprio interesse. Non una natura a cui occorre conformarsi, né una prassi a cui si è stati educati e a cui si debba obbedire. Se la scelta è tra maternità e isteria, preferisco ancora l’isteria, preferisco essere troia, preferisco la rabbia come motore sociale, preferisco la fica, il taglio, l’utero accogliente. Preferisco il desiderio». Preferire la rabbia, il conflitto, senza pensare che rassicurante sia per forza di cose migliore.

Ripartire dal desiderio è un libro che fuori dalla retorica riguarda tuttə: “riprendere il cammino”, “separare”, “distinguere” e “ridistribuire”.

 

In copertina un’immagine di “Thriller” di Bo Arne Vibenius