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Manuale filosofico per le lotte a venire

È solo passando per una genealogia filosofica e storica che è possibile penetrare nelle ambivalenze che segnano i nuovi fenomeni politici della scena contemporanea e riconquistare una bussola per l’azione. Individuo e singolarità sono gli estremi di una lotta che dagli albori della modernità giunge fino ai nostri giorni

Se c’è un sentimento che pervade l’esperienza contemporanea di coloro che hanno a cuore il mutamento radicale dell’esistente, questo è quello che possiamo sommariamente definire come uno spiazzamento della critica. Questo non certo perché non vi sia più alcuna critica del potere o dell’autorità, quanto piuttosto perché parte rilevante delle forme di mobilitazione e contestazione che oggi maggiormente catturano l’attenzione della comunicazione mediatica, sembrano esser sprovviste di quella tensione trasformativa ed emancipativa che solitamente attribuiamo ai movimenti sociali. A differenza dei movimenti trans-femministi, ecologisti e anti-razzisti che nel denunciare la voracità del capitalismo e la sua violenza strutturale alludono – seppur in potenza – a modi inediti ed egualitari dello stare insieme, altre forme della contestazione si consumano invece nella smodata celebrazione di un individuo svincolato dalle trame collettive e orgoglioso di rivendicare la propria assoluta e irrevocabile sovranità. Di fronte a ciò gli automatismi del pensiero critico, forgiato in lunghi cicli di lotte, rischiano di girare a vuoto.

È proprio tenendo a mente questo spiazzamento della critica che è possibile apprezzare fino in fondo l’ultimo libro di Francesco Raparelli, Singolarità e istituzioni. Antropologia e politica oltre l’individuo e lo Stato, appena pubblicato dalla casa editrice manifestolibri. Frutto di un lungo percorso di ricerca, questo lavoro consente a noi di visualizzare le coordinate filosofiche e le genealogie politiche che hanno posto le basi delle ambivalenze radicali che segnano il nostro tempo. Nei tre densi capitoli che compongono il libro, l’autore ingaggia un corpo a corpo con la nozione moderna di individuo e con le sue più recenti metamorfosi, mostrando come essa sia l’esito di una lunga traiettoria storica fatta di effrazioni, spossessamenti e sottomissioni. L’individuo libero e proprietario figura in questa storia filosofico-politica come l’immancabile supporto di cui si dota il capitale per esercitare il proprio dominio sulla vita e lo Stato per governare i molti. Il dualismo irriducibile tra individuo e singolarità, intesa quest’ultima come potenza di agire sempre interrelata socialmente ed espressione sempre molteplice del desiderio, è ciò che consente di mostrare come nello scarto tra i due concetti passi l’intera modernità capitalistica. Eppure, singolarità e individuo non si limitano solamente a essere le due polarità di un’alternativa concettuale, sono anche gli estremi di una lotta pratica e materialissima, fatta di onde lunghe della soggettivazione e di continui ribaltamenti di fronte. È questo che consente a questo saggio di filosofia politica di articolarsi in un continuo sistema di rimandi tra la filosofia e la politica; e di avere come interlocutori privilegiati non solo i classici del pensiero – da Spinoza a Marx, da Machiavelli a Hegel, da Deleuze ad Arendt, da Gramsci a Guattari, per citarne solo alcuni – ma anche quella moltitudine anonima di uomini e donne che, resistendo al potere, hanno dato vita a nuovi mondi e nuove sensibilità In questo preciso senso, così come la Rivoluzione Bolscevica del ’17 fu considerata da Antonio Gramsci alla stregua di un fatto filosofico, così lo è stata per Raparelli quella del Sessantotto. È attorno a quel momento topico – e nella controrivoluzione ingaggiata contro di esso – che quelle stesse istanze di liberazione dei singoli si sono rovesciate nell’individualismo contemporaneo e l’intelligenza collettiva si è fatta capitale umano e risorsa individuale. Questa particolare genealogia permette a noi oggi di interpretare con strumenti più adeguati i nuovi fenomeni politici che stanno in questi mesi dominando la scena mediatica, consentendoci di vedere dietro le loro istanze di libertà non tanto un residuo ottocentesco della libertà negativa del primo liberalismo, quanto la traccia di una libertà positiva, esito dell’ingiunzione alla continua ottimizzazione del sé e al narcisismo patologico con il quale il neoliberismo ha da quattro decenni convertito il desiderio collettivo sedimentato nella lunga durata delle lotte. Saper riconoscere nella moltiplicazione di disposizioni soggettive e forme di vita non il segno di un degrado morale o la crisi dell’etica pubblica ma l’esito di scontro ancora in corso, permette di affrontare lo spiazzamento della critica senza ricadere nell’opportunismo e, al contempo, senza condannarci all’atteggiamento lamentevole dei reduci dei movimenti del passato.

Questa genealogia consente anche, però, di fare un passo oltre. Se c’è un’insistenza che percorre le pagine di Singolarità e istituzioni e che definisce maggiormente la postura politica ed etica del libro, è quella attorno ai blocchi e ai colpi a vuoto che segnano oggi i limiti del pensiero e dell’azione. Tra questi, la difficoltà dei movimenti e della loro creazione istituzionale di fare presa e di consolidarsi in contropoteri diffusi capaci di esercitare rapporti di forza favorevoli. È solo a partire da questi limiti – occorre non dimenticarlo – che è possibile trovare una realistica misura dei successi del nemico. Da questa particolare prospettiva, Francesco Raparelli offre delle indicazioni articolate quanto precise. Attraverso il recupero di concetti divenuti desueti nel pensiero critico contemporaneo – quali quelli di alienazione, totalità, molecolarità – in particolare il terzo capitolo del libro ci spinge a considerare la faccia sempre duplice dell’interregno presente: laddove massima è la possibilità dell’autogoverno delle intelligenze associate, massima è anche la spirale depressiva e lo sfruttamento che soggioga la forza lavoro. Mentre fino a pochi decenni fa era ancora possibile attestarci sulle virtualità emancipative del sapere divenuto risorsa produttiva per eccellenza, oggi occorre fare i conti fino in fondo con il dark side che ne fa da contrappunto. È il completo dispiegamento di quella ipotesi, non la sua smentita, a fare oggi problema. L’involuzione reazionaria cui sembrano tendere i sistemi politici e quella psichica che investe il campo delle soggettività sono le forme con cui si misura lo scarto tra la ricchezza del possibile e la miseria del presente. È per questo che l’invenzione di nuove istituzioni deve rifuggire la tentazione comunitaria, il sindacalismo sociale mettere in gioco lo statuto dei saperi e la critica passare per la clinica. Politicizzare il lavoro vivo e il sapere, interrogando il desiderio: questo è il compito arduo che ci consegnano le pagine di questo libro e che solo può permetterci di essere adeguati all’evento delle lotte a venire. Un evento che non possiamo certo prevedere, ma che non dobbiamo smettere di preparare.

Le immagini di copertina e interne sono delle varianti della copertina del libro e sono state disegnate da Vittorio Giannitelli