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ITALIA

I pochi diritti trans* sono sotto attacco

Le persone trans in Italia sono già fortemente discriminate, ma con il governo Meloni la situazione sta seriamente peggiorando. Dall’attacco al centro medico ospedaliero Careggi di Firenze, all’aumento del costo del farmaco Sandrena assunto nei percorsi di affermazione di genere, per arrivare all’apertura di centri che sembrano riportarci verso le terapie riparative

È in atto un violento attacco ai già pochi diritti delle persone trans* in Italia. A gennaio, in seguito all’interrogazione parlamentare del senatore Gasparri, è stata effettuata un’ispezione al Careggi di Firenze. Il Careggi è un centro medico ospedaliero che segue un approccio affermativo ai percorsi di affermazione di genere per adolescenti in età puberale e pre-puberale. Il Careggi è forse il centro più attento in Italia all’autodeterminazione delle giovani persone in questioning, trans*, gender creative e gender nonconforming; è l’unico che prende in carico da un punto di vista medico bambinx e pre adolescenti con le loro famiglie. Approccio affermativo significa, infatti, che le persone sono libere di potersi esplorare – autodeterminare – e che vengono forniti loro tutti gli strumenti per poterlo fare.

Quando parliamo di adolescenti in età puberale tra questi strumenti ci sono anche i bloccanti della pubertà. La triptorelina, il bloccante più in uso, viene prescritto alle giovani persone trans* che provano disforia di genere. La disforia di genere, seppur non sperimentata da tutte le persone trans*, può diventare molto invalidante soprattutto per le persone giovani che si trovano ad affrontare cambiamenti fisici indesiderati legati alla pubertà. Per le persone trans* in età puberale, è possibile bloccare temporaneamente l’assorbimento degli ormoni sessuali e così lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, tipico del periodo adolescenziale, per dare loro la possibilità di esplorarsi, capirsi, ed eventualmente decidere se intraprendere una terapia ormonale di affermazione di genere o riprendere lo sviluppo da dove si era interrotto. 

In Italia i centri per i percorsi di affermazione di genere sono pochi e le liste di attesa sono lunghe. Ancora meno sono quelli che prendono in carico adolescenti. Quindi rallentare o minacciare il lavoro di uno dei pochi centri che offre questo così raro servizio da parte del governo è l’ennesimo controsenso

Il governo, che pare preoccuparsi sempre per la protezione dellx bambinx, testimone ne è la crociata contro l’accesso libero e gratuito all’interruzione volontaria di gravidanza, quando poi si tratta di garantire servizi a questx bambinx che tanto tiene a far nascere, è invece in prima fila per ostacolarne l’accesso e così un’esistenza felice. Quindi, l’autodeterminazione di questo presunto feto al quale non si può togliere la vita, a costo di ledere l’autodeterminazione di chi lo porta dentro di sé, finisce nel momento in cui viene messo al mondo e non rispetta ciò che per questa classe politica è accettabile e degno. 

Servizio sanitario inadeguato

A proposito di gravidanza il mese scorso si è parlato molto del ragazzo trans* incinto, Marco. Marco ha messo in luce le lacune di una legge che non solo non funziona per le persone per cui è pensata, le donne, ma che non tiene conto di tutte quelle persone con utero che non sono donne. Alcune di queste persone sui documenti hanno una M, altre non sono neanche libere di potersi autodeterminare, perché per il nostro ordinamento giuridico non esiste la possibilità di inserire un terzo genere (x o non binario) sui documenti. Proprio a metà gennaio il tribunale di Bolzano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale circa l’impossibilità, per il diritto italiano, di attribuire una terza opzione a chi non si identifica come maschio o femmina.

Marco ha scoperto di essere in gravidanza al quinto mese. I giornali si sono subito avventati sulla legge 194/78: come potrà abortire essendo passati cinque mesi? Sono chiare le lacune della 194, ma la vera domanda era: come può un uomo voler portare avanti una gravidanza? Sembrava l’unica domanda a cui tutti avevano fretta di rispondere. 

Nessuno si è soffermato su quanto l’esistenza trans*, ancora una volta, metta in crisi i rigidi costrutti binari e cis-normativi della società in cui viviamo

Non sappiamo cosa ha deciso di fare Marco e non è affare nostro. Sarebbe però opportuno fare una riflessione su quanto leggi che alimentano sessismo e discriminazione di genere, dovrebbero essere cambiate anche in virtù di una paternità trans*, come ad esempio il congedo parentale.

Nel nostro Paese, quando una persona trans* rettifica i documenti, la sua storia e così quella del suo corpo vengono completamente cancellate. Le persone trans* con una M sui documenti e un utero hanno difficoltà ad accedere non solo all’ivg, ma anche, e più banalmente, ai reparti di ginecologia, ledendo così il più basilare diritto alla salute. Per assurdo, invece, Alle persone trans* con una F sui documenti vengono mandati richiami per il pap test, pur non avendo un utero e quindi bisogno di quelle analisi.

Un attacco globale

Tornando alle persone piccole e ai tentativi di cancellazione delle identità transgender, è di pochi giorni fa la notizia che nel Regno Unito sono state fermate le prescrizioni dei bloccanti della pubertà. Questa notizia è solo il coronamento di una crociata che è stata portata avanti in UK da parte dei conservatori, molto simile a ciò che sta succedendo in Italia. La Tavistock Clinic, che è stata sotto forte attacco e infine chiusa l’anno scorso, aveva una posizione analoga in Regno Unito a quella del Centro Ospedaliero Careggi in Italia. Le ispezioni che sono state effettuate alla clinica Tavistock partivano dalle stesse accuse che sono state mosse al Careggi: non fornire adeguato sostegno psicologico all’utenza. Accusa smentita dal personale, che ha dimostrato invece di seguire le linee guida della World Professional Association for Transgender Health (EPATH).

Come se non bastasse l’attacco al Careggi, il 14 marzo è stato aperto un centro al Gemelli di Roma chiamato “Ambulatorio multidisciplinare per la disforia di genere”. Potrebbe sembrare una notizia positiva, considerato che i centri che si occupano di persone trans* sono molto pochi, tuttavia l’approccio degli specialisti che vi lavorano non promette niente di buono. Tra i nomi persone come Maria Luisa Di Pietro, incaricata di “Bioetica e Famiglia” nel Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia che nel 2017 in un incontro sulla teoria gender nella parrocchia San Tommaso Moro affermava che «è impossibile pensare di poter essere staccati dal proprio corpo» eppure «si fanno passare idee che mirano ad appiattire il pensiero e a spegnere le coscienze», e Federico Tonioni, che sostiene l’esistenza di differenze di  genere identificabile tra menti maschili e femminili. Sono tutti professori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che, stando alle dichiarazioni del papa della scorsa settimana, probabilmente hanno accolto la richiesta di «fare studi sull’ideologia gender, il pericolo più brutto di oggi». Quindi, eccoci con un centro dove la disforia di genere viene paragonata ai disturbi dell’apprendimento e al fenomeno degli hikikomori (dal giapponese significa “stare in disparte”, viene usato per indicare chi decide di ritirarsi dalla vita sociale), il contrario esatto di ciò che si intende per depatologizzazione e autodeterminazione.

Il timore è che questo sia un centro per terapie riparative legalizzato e istituzionalizzato, terapie riparative che non sono illegali in Italia, ma semplicemente vietate dal codice deontologico degli psicologi

In tutto questo si aggiunge la recente riclassificazione AIFA del farmaco Sandrena, estrogeni in gel assunti nei percorsi di affermazione di genere e per il trattamento della menopausa, che è stato declassato in classe C. Questo significa che il costo di una scatola è aumentato del 260% e che è a totale carico dellx paziente, senza possibilità di mutuabilità, a eccezione fatta per chi ha un piano terapeutico emesso da un ospedale pubblico. Per accedere a un ospedale pubblico, e quindi avere accesso agli ormoni passati dal sistema sanitario nazionale, è necessaria una diagnosi di incongruenza di genere emessa da un centro pubblico (o da un centro convenzionato con il pubblico).
Tuttavia, come abbiamo detto, i centri per i percorsi di affermazione di genere sono pochi e hanno lunghe liste d’attesa. Ciò porta le persone trans* che hanno disponibilità economica a rivolgersi a professionisti privatamente.

Il fatto che i farmaci aumentino di prezzo, rende l’accesso ai percorsi di affermazione di genere sempre più un privilegio di classe. Oppure, quando non si ha il privilegio economico, porta le persone trans* a fare grandi sacrifici pur di accedere al percorso il più velocemente possibile

Tutto questo, ovviamente, sempre in attesa di essere presx in carico dal pubblico, che è condizione quasi imprescindibile per auspicare che la rettifica anagrafica in tribunale vada per il verso giusto. Infatti, con una diagnosi privata, la probabilità che venga nominato un Commissario Tecnico d’Ufficio (CTU) aumenta drasticamente, allungando ulteriormente i tempi e i costi per chi fa la domanda. E così anche i tempi in cui le persone non hanno documenti rettificati si allungano, che se non vivessimo in un paese fortemente transfobico non sarebbe un problema di tipo politico-sociale, esponendoci a ulteriori discriminazioni.

In Italia i diritti delle persone trans* sono pochi e molto risicati. Basti pensare che il motivo per il quale non siamo più costrettx a sottoporci a sterilizzazione o castrazione forzata per ottenere la rettifica anagrafica è grazie a una sentenza della Corte Costituzionale del 2015, non grazie al legislatore. Questi già pochi diritti sono quindi anche molto fragili e incontrano una precisa volontà politica di demolirli pezzo per pezzo.

Per questo è urgente che nelle lotte di questo Paese la prospettiva trans* diventi un nodo fondamentale della pratica politica.