Vivere e lavorare a Campo Farnia

Viaggio in un residence diverso, non un lager per senza tetto ma spazio di partecipazione e diritti.

Il Sindaco Marino vuole chiudere i residence, ma è necessario trovare soluzioni abitative stabili per chi vi abita.

Abitare e lavorare a Campo Farnia non è come vivere in una favola. Chi arriva da fuori non è piacevolmente sorpreso dalla sua bellezza. Il palazzo a dirla tutta non è un bel luogo, gli appartamenti sono piccoli, l’arredo scarso, la portineria buia e stretta, la manutenzione lascia a desiderare, ma… quel palazzo è il nostro, è la nostra casa. Così la sentono gli abitanti, quelli che ci stanno dall’inizio e quelli che sono arrivati dopo, così la sentono gli operatori che vi lavorano. E’ la nostra casa perché l’abbiamo difesa, ricostruita e migliorata pezzo a pezzo nei lunghi otto anni passati da quando siamo entrati la prima volta.

Perché forse non tutti sanno che lo stabile di Via Campo Farnia, inizialmente di proprietà pubblica – apparteneva all’Inpdap – poi svenduto a privati, è stato occupato dai movimenti di lotta per l’abitare, Action e Coordinamento cittadino di lotta per la ca, con 150 famiglie e singles, nel lontano aprile del 2005, dopo essere stati prima sgomberati da un palazzo di proprietà di uno dei palazzinari di Roma D. Coppola (n.d. il palazzo è ancora vuoto e il proprietario finito in carcere più e più volte per concussione, evasione e frode ) e poi aver occupato con una tendopoli l’allora X Municipio.

E fu proprio da quella geniale intuizione e collaborazione tra movimenti e istituzione locali – lo chiamavano il “laboratorio del buon governo” – presieduta a quel tempo dal minisindaco Sandro Medici, che prese corpo l’idea di costruire la prima casa dello sfrattato di Roma. Un luogo che nelle nostre intenzioni doveva accogliere temporaneamente coloro che si trovavano in emergenza abitativa nel Municipio, offrendo quel passaggio “da casa a casa” che mancava e che creava situazioni di ansia, precarietà, solitudine, quando non di degrado vero e proprio.

La trattativa fu lunga ed estenuante ma stabilimmo attraverso l’applicazione della delibera 110/2005 che i nuclei presenti nel caat avrebbero visto l’assegnazione degli alloggi Erp entro e non oltre il 2012.

Fu un compromesso difficile da accettare, era il 2007, ma se mbrava che in quegli anni si sarebbe messo in piedi un piano casa che aveva bisogno di tempo e di cui noi ci auguravamo la piena attuazione. Quel piano ovviamente non ha mai visto la luce e le famiglie di Campo Farnia, quelle degli altri Residence e delle occupazioni abitative, coloro che erano in graduatoria nelle liste Erp, quelli che ricevevano i Bonus casa comunali e municipali, tutti si trovano ancora nelle stesse condizioni di ben 6 anni fa.

Nel frattempo però molte cose sono accadute a Campo Farnia. Prima di tutto nel 2008 abbiamo strappato la gestione della Portineria a coloro i quali, grazie ad appoggi importanti, gestiscono tutta l’accoglienza a Roma speculando sull’assistenza. Perciò il servizio di Portineria del Centro diviene una sperimentazione che si basa sul lavoro di partecipazione ed empowerment svolto dall’Agenzia Diritti del X Municipio, e attraverso l’assunzione di operatori e operatrici che provengono dalle lotte per il diritto all’abitare si costruisce un progetto di Portineria Sociale, la prima a Roma, tanto che negli ultimi anni viene da molti considerata un modello.

E da subito si realizza la differenza, non un lager ma una casa, si costruisce un regolamento di convivenza insieme alle famiglie, si aboliscono molte delle regole che erano in vigore (e che vengono tutt’ora adottate in tutti gli altri residence): il limite delle ore 23 per gli ospiti, il dover consegnare i documenti alla portineria per il tempo di permanenza dell’ospite, la possibilità che gli operatori potessero entrare nelle case in qualsiasi ora del giorno e della notte anche in assenza degli abitanti, l’impossibilità per migranti non regolari di accedere come ospiti presso i loro famigliari o amici, e altre regole che fanno assomigliare questi palazzi più ad un carcere che ad un luogo in cui vivere serenamente, seppur in modo temporaneo.

Parallelamente la collaborazione tra abitanti e Portineria dà vita a percorsi di partecipazione e attività socio-culturali. Attraverso corsi di formazione specifici e l’esperienza sviluppata dagli operatori si realizza ciò che abbiamo denominato “sviluppo comunitario”, cioè un processo di valorizzazione delle risorse territoriali per migliorare le condizioni di un quartiere.

Così accade che quel palazzo brutto e abitato da “gente sporca e cattiva” che nel quartiere veniva visto come il luogo del degrado, diviene un punto di riferimento, risorsa e non problema.

Ed oggi il piano terra di campo Farnia ospita: le riunioni di condominio dei palazzi limitrofi; spazi polifunzionali aperti alle proposte degli abitanti del palazzo e del quartiere per: cineforum, corsi e laboratori, feste dei bambini; una Scuola Popolare di sostegno allo studio con volontari preparati e una convenzione con le Università per tirocinanti che mettono a disposizione le proprie competenze per ragazzi delle elementari, medie e superiori; un progetto dedicato ai minori da 0 a 6 anni “Nati per Leggere” con la partecipazione delle mamme del palazzo e del quartiere, che ospita attualmente 90 bambini; un progetto di Medicina Popolare con la presenza di medici che fanno un lavoro di prevenzione e sostegno alla cura con Cardiologo e Angiologo, Psicologi e Neuropsichiatri, Fisioterapisti e Neurologi, che vorremmo trasformare in quella che chiamano Casa della Salute.

Insomma un mondo di energie in movimento che producono cultura e integrazione, socialità e partecipazione, autorganizzazione e comunità.

Badate bene, tutto questo è difficile, ci sono conflitti e contraddizioni ogni giorno, ma la sfida è quella di risolverli e non di reprimerli, di utilizzarli infine per la crescita comune.

Grazie a tutto questo le persone presenti nel Centro hanno maturato consapevolezza dei propri diritti ed è per questo che si oppongono alla recente delibera fatta dal Sindaco Marino. Non perché vogliono permanere nel centro di assistenza temporanea ma perché hanno lottato affinché la loro permanenza nel residence costituisse il loro passaggio verso una sistemazione stabile e definitiva, la casa popolare.

Ieri sotto al Comune di Roma non c’erano persone spaventate o intimorite dall’ennesima presa di posizione del Sindaco – miope – di turno, al contrario in piazza del Campidoglio si respirava aria di determinazione e sicurezza, sicurezza di essere nel giusto e di lottare per i diritti di tutt*.

Durante l’incontro ci dicono che l’amministrazione non può e non deve pagare queste cifre astronomiche ai palazzinari… Buongiorno! Noi tutti lo diciamo da almeno 10 anni! Non abbiamo deciso noi di dare soldi pubblici ai privati!

Da 10 anni diciamo che occorre una inversione di tendenza e che invece di pagare marchette ai costruttori privati, di intrallazzare e scambiare favori coi palazzinari, si deve costruire edilizia residenziale pubblica.

Diciamo che si deve usare il patrimonio pubblico, abbandonato o in dismissione, per utilizzarlo per l’emergenza abitativa o per farne progetti di recupero e rigenerazione urbana. Che va requisito e recuperato il patrimonio privato invenduto per destinarlo ad alloggi sociali.

Ma soprattutto sono anni che ragioniamo su una nuova legge di locazione che calmieri il mercato privato, che è necessario ed urgente lavorare ad una revisione della lg. 431.

Abbiamo studiato e ci siamo informati, sappiamo tutto dei debiti del Comune di Roma contratti grazie ai derivati delle banche su cui le varie amministrazioni hanno speculato utilizzando il denaro pubblico, abbiamo perciò costruito proposte credibili, immaginato scenari concreti, perché a differenza loro l’emergenza abitativa la viviamo sui nostri corpi, nelle nostre vite.

Ed è per questo che le famiglie non usciranno da Campo Farnia finché non sarà rispettata e attuata la delibera 110/2005, che gli operatori occuperanno il posto di lavoro finché le competenze acquisite non verranno valorizzate per altri progetti di autonomia e autogestione delle politiche abitative, che le attività socio –culturali e sanitarie di campo non si fermeranno finché non saranno certe di avere un futuro nel territorio.

Perché non ci interessa vivere in una favola, vogliamo una vita vera fatta di diritti che non smetteremo mai di rivendicare.

Ps: Una buona parte del film vincitore del leone d’oro a Venezia “Sacro Gra” è stato girato a Campo Farnia, i suoi protagonisti non hanno affatto rinunciato al diritto all’abitare ma al contrario sono parte di chi contribuisce a costruire quel che un tempo veniva chiamato l’altro mondo possibile… per chi volesse passare a conoscerli.