editoriale

Verso le Piccole intese

Il voto palese al Senato sulla decadenza apre una nuova fase per il governo e tutti i giochi si scatenano

Berlusconi, truffato dagli avvocati meglio pagati e peggio sfigati del mondo, si è infilato al collo il cappio della decadenza e lascia che lentamente si stringa scalciando contro il subdolo governo Letta-Alfano. Ne risulterà più o meno questa sequenza: proclamazione, già compiuta, del voto palese sul caso Berlusconi a opera della Giunta del regolamento, voto più o meno procrastinato sul medesimo tema e cacciata del reprobo dall’alto consesso, ira funesta dell’evasore certificato e ritiro dell’appoggio al governo (eventualmente ringoiabile) prima o dopo il suddetto voto, conferma del governo Letta con una maggioranza variabile secondo l’ampiezza della scissione Pdl (dunque con ruolo più o meno determinante dei due spezzoni centristi e di Sel). Insomma, un passaggio dalla Larghe intese alla Piccole intese, cioè a una maggioranza retta su un pezzo del PdL non forzitaliotizzato, sul soccorso rosso (?) di Sel e di schegge civiche e pentastellate. Maggioranza piuttosto precaria, politica e non tecnica, cioè priva dell’alibi della necessità interna (sommatoria imposta dal Porcellum) e giustificata, per mantenere la palude, solo dal ricatto europeo.

Precaria al punto di rendere plausibile la prospettiva di nuove elezioni subito prima o subito dopo il semestre italiano UE nel 2014. Differenza non da poco, su cui si gioca lo scontro fra Letta junior, che aspira a prolungare la sua gestione fin dopo gli auspicati quanto improbabili successi internazionali, e Renzi, che vorrebbe andare lui a pavoneggiarsi a Bruxelles, dopo aver trionfato in consultazioni anticipate, magari a febbraio, sgravandosi dal condizionamento di un pezzo del centro-destra e avvalendosi del sostegno aggratis di Sel. La quale, ovvio, punta tutto in quella prospettiva, sperando di contare più che non adesso o in un Letta-bis –dove sarebbe assai poco determinante–, al punto da vaneggiare paragonando la Leopolda al Social forum fiorentino come se fosse antani (versione Gennaro Migliore) o pretendendo di fondere la piazza del 19 ottobre con la Leopolda in «un radicalismo di governo che va ricostruito nella connessione fra movimenti e politica» (Nichi-ma-che-dichi).

Tutti i protagonisti della sceneggiata si sono scritti un copione loro, che rischia di impattare di brutto sulla realtà –si tratti delle apocalissi berlusconiane, destinate a finire in un rantolo, o dei restauri lettiani con il cacciavite o delle grandi manovre centriste senza truppe– ma il caso più interessante è quello di Renzi, che occuperà il proscenio nel 2014.

Cosa abbiamo visto alla sagra fiorentina della Stazione Leopolda? Fuffa e “renzini”, cioè discorsi fumosi e massime multiuso, come nei cioccolatini e nei biscotti della fortuna. Tanta gente glam, zombies da reality e pimpanti segretari di sezione, sindaci e sindacucci di ogni genere, tutti a saltare sul carro trionfale di Renzi rallentandone la corsa. Vincerà di sicuro il Nostro le primarie da segretario Pd (unico condominio al mondo dove si fanno votare i passanti), ma avrà più problemi a farsi designare e soprattutto sostenere come candidato premier, visto che molti lo appoggiano oggi non solo per conservare il proprio potere ma anche per condizionarlo in futuro. Condizionare che, nella storia del Pds-Pd, vuol dire in pratica boicottare –vedi Prodi, Veltroni ecc. La vagonate di tessere false distribuite nella competizione a segretario non fanno affatto sperar bene per il futuro. Neppure le minacce dalemiane di complicare la scalata renziana a Palazzo Chigi con candidature civetta, in occasione di consultazioni il più lontane possibile.

A Renzi conviene entrare in gara prima di essere logorato e quando Letta avrà il massimo di difficoltà e il minimo di scena internazionale, cioè a primavera: infatti, come riuscirà l’attuale premier a difendere il piano di stabilità come compromesso con i berlusconiani dopo il loro passaggio in massa all’opposizione? Dovrà spiegare che è l’Europa a volerlo, il mercato, re Giorgio, ecc. e quindi si ritroverà nella scomoda posizione che già fu di Monti. Renzi farà la stesse cose se non peggio, ma in prima battuta strillerà che il ricorso alle urne risolverà tutto e in ogni caso sconfiggerà l’odiato schieramento berlusconiano –e ci riuscirà, mutuandone parte dei programmi, si fa per dire, e la demagogia personalistica. Dovrà vedersela con Napolitano, ma è anche l’unico che può garantirgli, in tempi più lunghi, il passaggio delle riforme costituzionali. Che altro significa il passaggio nelle sue file dei Franceschini, Latorre, Fassino e compagnia riformante? Alla peggio, già si scaldano in panchina i successori di Napolitano, che certo non finirà il secondo settennato per intero.

Per ora Letta, d’intesa con Alfano, ha autorizzato il colpo sul voto palese, che migliora un po’ anche il rapporto con il M5S, un’audacia che dà per scontata una maggioranza alternativa a quella presente. Vediamo se le cose andranno lisce o i colpi di coda del caimano infuriato (ma ormai sempre più fuori dal gioco) faranno sfracelli irreparabili. Il vero problema sottostante è che la legge di stabilità è fragile agli occhi europei e micidiale rispetto alla rabbia ormai manifesta di larghe masse. Queste variabili non figurano nei meglio elaborati piani del ceto politico e la storia, si sa, procede sempre dal lavoro cattivo.