Verso il #14N : Dalle scuole romane una nuova onda?

Occupazioni, cortei, assemblee: il movimento riparte dalle scuole della capitale

Che le manifestazioni degli studenti medi non fossero delle stanche e rituali sfilate d’inizio autunno, che nel deserto dell’opposizione sociale al governo dei tecnici ci fosse un seme prezioso che poteva generare un movimento, si era visto nei cortei del 5 e del 12 ottobre. Il movimento è partito in sordina e ora dopo poco più di un mese da quei tremila studenti che in maniera autonoma hanno sfilato per Roma fino al Ministero dell’Istruzione, le scuole sono in subbuglio: occupazioni, cortei spontanei e selvaggi, manifestazioni territoriali. Non si scende in strada solo a Roma, ma senza dubbio l’intensità e la qualità delle mobilitazioni nella Capitale non hanno al momento paragoni. La mobilitazione più estesa a Ostia dove tutte le scuole, dai licei agli istituti tecnici hanno occupato, coordinandosi e scendendo in piazza insieme, unendo alla protesta contro i tagli alla scuola e il disegno di legge Aprea rivendicazioni locali, provando a indagare una nuova relazione tra scuole e territorio. Le organizzazioni neofasciste hanno provato a infilarsi nel movimento e, a parte qualche episodio, sono state marginalizzate: la cacciata di Piazza Navona e il rinnovarsi di una coscienza antifascista, assieme all’arroganza dei giovani fascisti, hanno lasciato il segno.

A spingere le mobilitazioni l’iter di approvazione del ddl Aprea, che riforma la governance del mondo della scuola usando l’autonomia scolastica per aprire la strada a privati e aziende, cancellare le rappresentanze studentesche, aumentare i costi di accesso allo studio (se lo stato disinveste nell’istruzione le scuole da qualche parte i soldi dovranno pur prenderli è la terribile logica!), insieme al l’attacco alle condizioni salariali e di precarietà endemica dei docenti. Le parole d’ordine che si diffondono tra i giovanissimi vanno però ben al di là della battaglia per una “scuola migliore”: una generazione rabbiosa ma più cosciente delle precedenti non chiede di essere integrata, di allargare le possibilità per chi segue un percorso formativo, e non per velleità rivoluzionarie ma per la precisa consapevolezza, anche se a volte istintiva, che in questo sistema a queste condizioni l’integrazione è impossibile. La consapevolezza che, a meno che non ci saranno cambiamenti radicali, il loro destino è quello di allargare quella fascia di working poor con un diploma e una laurea in tasca. Le scuole, dopo anni in cui questa pratica a livello di massa rischiava di scomparire rimanendo relegata a pochi licei molto politicizzate, vengono occupate con naturalezza e in maniera diffusa, come se rompere la compatibilità con l’istituzione scolastica e il normale scorrere temporale sia ovvio.

Insomma gli studenti dell’autunno del 2012 non solo vogliono studiare e studiare bene, come quelli dell’Onda, ma vogliono studiare in una scuola diversa in una società diversa. La dismissione dell’istruzione pubblica, portata avanti con caparbietà e con eguale aggressività negli ultimi quindici anni da tutti gli schieramenti, è oramai un esperienza tangibile per gli studenti e non solo una prospettiva a cui opporsi. La radicalità nelle pratiche e nelle parole d’ordine è allora una scelta istintiva per le migliaia di giovani che a Roma in questi giorni si stanno riversando nelle strade: ragazzi che hanno avuto il loro battesimo nell’attività politica con la rivolta del 14 dicembre a Piazza del Popolo, e che non hanno subito i danni di 20 anni di antiberlusconismo intriso di rispetto reverenziale per le istituzioni repubblicane e per la legalità.

Questa settimana sarà decisiva per sapere se la mobilitazione nelle scuole romane saprà estendersi in qualità e quantità, saldandosi con le gli studenti universitari e i movimenti che scenderanno in piazza il 14 novembre per generalizzare a Roma, come nel resto d’Italia e d’Europa, lo sciopero. Per scoprire se da mercoledì si aprirà nel nostro paese un nuovo ciclo di lotte che rompa la cappa di piombo imposta dal clima di consenso bipartisan attorno al governo dei tecnici, con la complicità dei sindacati e grazie alla timidezza della “sinistra” istituzionale. Che Mario Monti e soci si aspettino che qualcuno venga a bussare alla loro porta.

DinamoPress intervista Paolo del Liceo Enriques di OStia: “la mobilitazione nasce anche dalle periferie”