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Un testo anti-accademico per l’Università del secondo millennio: “Conflitti. Filosofia e politica”

“Conflitti”, a cura di Castelli, Giardini e Raparelli, si presenta non solo come strumento didattico, ma soprattutto come lessico dei conflitti per leggere e rovesciare il tessuto ideologico corrente e ritesserlo all’altezza delle esigenze presenti.

La sfida consisteva nell’accettare la modularizzazione insulare imposta dall’Università per i libri di testo e nel trasmettere, entro quello schema, un contenuto conflittuale sul conflitto non particolarmente conforme ai criteri accademici dominanti. I tre curatori e gli altri collaboratori che hanno redatto le voci (S. Tarabini, C. Cossutta, S. Fiorletta, G. Allegri, M. Palma, G. Fazio, M. Mazzeo, M. Montanelli, D. Gentili, T. Rispoli) ci sono perfettamente riusciti, toccando una pluralità significativa di angolature che tengono aperto lo spazio del conflitto al cuore della filosofia politica moderna e della dimensione pubblica effettuale. Le voci prese in esame sono quelle che nella tradizione della filosofia politica descrivono le forme e i protagonisti del conflitto (Diserzione, Dissidio/Disaccordo, Guerra, insurrezione, Lotta di classe, Movimento, Resistenza/Disobbedienza, Rivolta, Rivoluzione, Sciopero, Stasis/Guerra civile, Terrore/Terrorismo, Tumulto), cui si aggiungono manifestazioni più recenti e specifiche, dai Conflitti ambientali ai Conflitti identitari, dalla Decolonizzazione (come intreccio di oppressione e liberazione) alle Lotte per il riconoscimento e alla Lotta per la verità – che estendono in ambiti collaterali il carattere polemologico.

Di tutte queste voci si offrono una compiuta esposizione interpretativa e un congruo corredo bibliografico (e questo è il lato “accademico”), ma con un approccio assai più filosofico e militante – quindi estraneo e contrapposto allo stile accademico di oggi, nell’intervallo fra le due sciagure epocali del Bologna Process e della Covid-19.

L’introduzione chiarisce che la legittimità o, alternativamente, la neutralizzazione del conflitto è la chiave interpretativa per leggere le dinamiche politiche e geopolitiche contemporanee, a partire da una ricognizione dell’uso del concetto della filosofia politica antica. In ambito greco, dove il polemos è padre di tutte le cose (Eraclito) e la vita stessa è lotta perenne, palaísmath’hemôn ho bios (Eschilo, Supplici, 550), tuttavia si distinguono la violenza bruta o rabbia impolitica, la guerra regolare fuori dalle mura cittadine (lo thuraîos pólemos, che nelle Eumenidi eschilee si contrappone al conflitto intestino regolabile mediante votazioni assembleari) e la stasis che si svolge entro le mura, discordia, sedizione che lacera la fratellanza civica. Tuttavia, come nota Castelli, la stasis è trattata in modi molto diversi: flagello da eliminare per gran parte del pensiero politico del V secolo, fattore di cambiamento costituzionale per Platone e Aristotele, più da controllare e da risolvere con procedure di riconciliazione che da esorcizzare. In ogni caso – e qui si rileva la rottura drastica di Machiavelli con ogni mitologia della concordia e dell’Uno – il valore dominante è la homónoia, il bene comune e il giusto mezzo che ogni divisione scuote e altera (Palma). In direzione opposta a Machiavelli si muove la teoria politica sei-settecentesca, a partire da Hobbes che identifica nel dissidio lo stato di natura da cui bisogna uscire mediante la rinuncia all’agire politico dei singoli e dei gruppi mediante obbligazione di soggezione a un’autorità sovrana, che abbia il monopolio dell’agire politico e del potere. Nella teoria machiavelliana del tumulto – largamente ispirata alla storia della repubblica romana – Palma e Rispoli riconoscono il momento della produttività istituzionale del conflitto (a partire dai tribuni della plebe), in alternativa alla soppressione esorcistica del dissidio e alla delega della decisione all’autorità sovrana in Hobbes e Rousseau. Rispoli tiene anche ferma la specificità del tumulto rispetto alla rivoluzione, che presuppone la sovranità moderna (Koselleck), e ne indaga la riproposizione in epoca post-sovrana nella coppia sciopero sulla produzione e riot sulla circolazione dei beni – per usare i termini di Clover.

Lo stesso concetto di guerra legittima e patriottica fra i maschi di poleis differenti verrà alterato sia dalla concezione cristiana dello justum bellum  sia dai suoi contraddittori successori – la guerra “regolare” o “in forma” dopo la pace di Westfalia, le guerre nazionali ottocentesche e la guerra “infinita” scatenata da Bush padre e figlio per puntellare l’egemonia statunitense in crisi; nel contempo la guerra, che era per definizione esterna, si trasferisce all’interno della società, bellum civile ormai endemico. In qualche modo parallelo, cfr. Gentili, è l’uso del terrore come attributo della sovranità (Hobbes) o della lotta contro la sovranità (anarchici e nichilisti) fino alla doppia figura attuale della “guerra al terrore” e del terrorismo Isis – entrambe deterritorializzate e globali. Come in ogni guerra, è possibile “disertare”: si dà esodo e dissenso anche nella società del capitalismo fossile, praticando mondi non salariali e non bellici a venire (Allegri). E naturalmente a ogni forma di potere è possibile opporre resistenza e disubbidienza, come magistralmente esposto da Giardini.

Raparelli traccia con finezza e congrui riferimenti alla storia dei movimenti sovversivi degli ultimi due secoli il ruolo dell’insurrezione e il suo posto nella lotta di classe, mentre Montanelli aggiorna la dettagliata storia dello sciopero con le sue nuove forme sociali, in particolare quella ecologica dei Fridays for Future e quella femminista di Non una di meno, che investe la riproduzione oltre che la produzione.

Inoltre vengono studiate anche altre forme di contesa che si muovono in ambito culturale e in apparente riferimento all’individuo ma hanno incidenza pubblica e politica: la lotta per il riconoscimento e il conflitto identitario. Il primo parte evidentemente da Hegel e trova la sua formulazione più classica oggi in Kojève, Habermas e Honneth, ma anche contestazioni e integrazioni in Rancière, Fraser e Butler (Fazio) – per non parlare del nesso fra pratica argomentativa e ricerca della vittoria, quindi sulla non-innocenza dell’epistemologia su cui insiste Mazzeo. Il posizionamento, l’individuazione per via attivistico-conflittuale e non accademica, del luogo di locuzione, consente infine non solo una definizione multipla delle identità ma anche un approccio non relativistico alla presunta neutralità del sapere (Cossutta).

Il lettore di questo Companion avrà in mano un eccellente strumento didattico ma soprattutto una serie di spunti per leggere in modo diverso concetti deformati dall’uso e dall’approssimazione, in molti casi per rovesciare un tessuto ideologico corrente e ritesserlo all’altezza delle esigenze presenti, nella crisi della democrazia rappresentativa e liberale, sotto i colpi di nuove emergenze economiche, pandemiche ed ecologiche.