OPINIONI

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Francia, un mezzo miracolo

In Francia crolla la macronia e l’affermazione del Nupes di Mélenchon al secondo turno delle legislative, malgrado il soccorso centrista a Le Pen, inaugura una nuova fase di instabilità politica e di lotte sociali

I miracoli accadono, e anche i mezzi miracoli. Miracoloso l’esito colombiano, di cui altri tratteranno. Ma non meno, seppure al momento definito solo a metà, quello francese, che apre, più che suggellare, una nuova stagione di lotte, pur essendo a sua volta il risultato di sei anni di contestazioni di quella “macronia” oggi avviata a un mesto tramonto.

In entrambi i casi ha funzionato il nesso fra conflitto sociale e campagna elettorale, esattamente a rovescio di quanto è accaduto in Italia, dove l’estinzione (vogliamo sperare si tratti solo di una lunga e rovinosa pausa) delle lotte ci porta oggi a mettere in prima pagina la politica morta, le peripezie di Giggino Di Maio, le ambizioni di Bottini-Calenda e le smanie di Matteo il Saudita. Ma oggi è giorno di festa e non invischiamoci in pensieri tristi!

Nel secondo turno delle elezioni legislative francesi, che dovevano confermare o rimettere in discussione la risicata vittoria di Macron alle presidenziali, la sua coalizione, Ensemble, ha conseguito solo il 38% dei voti e 246 seggi (contro una soglia di maggioranza assoluta di 289) – uno smacco a così breve distanza fra i due voti che è assoluta novità nella storia della V Repubblica –, mentre la Nupes di Mélenchon ha raggiunto il 31% dei voti e 142 seggi e il Rassemblement National di Marine Le Pen è passato da 8 a 89 seggi grazie allo sfacciato sostegno di macroniani e gollisti in tutti i ballottaggi dove non avevano speranza di vittoria e che hanno fatto barrage antirepubblicano pur di non far vincere il candidato di Nupes.

Gollisti e alleati sono crollati a 64 seggi, che potrebbero essere assai utili a Macron per raggiungere la maggioranza assoluta – per un governo stabile o, più probabilmente, caso per caso sui singoli provvedimenti. Al momento tuttavia i gollisti hanno negato un sostegno incondizionato e sono spaccati sull’atteggiamento da prendere.

Si delinea dunque una stagione di turbolenze parlamentari e di sostanziale paralisi dei progetti “riformisti” (in pejus) di Macron, che potrebbe risolversi ad affidarsi a un rischiosissimo (vedi il precedente di Chirac, 1997) scioglimento dell’Assemblea nazionale per proseguire senza intoppi il proprio quinquennio presidenziale.

Mélenchon aveva fallito per un soffio (e per l’idiozia degli altri gruppi di sinistra) l’accesso al secondo turno presidenziale e ora, probabilmente, non è in grado di imporre a Macron la coabitazione come Primo ministro: l’appello belluino contro lo spettro del comunismo ha funzionato dirottando i voti dei moderati su Le Pen.

Restano però due risultati che il rigonfiamento artificioso delle destre non può pareggiare. Il fallimento di Macron, della macronia e della V Repubblica, per un verso, la riunificazione e la ripresa di una sinistra di lotta per l’altro.

La caduta di Macron è stato accolta con costernazione dagli opinionisti benpensanti di ogni sfumatura (imbattibile Massimo Nava), che hanno perfino deplorato l’indebolimento dell’autonomia europea rispetto a Biden sull’Ucraina – cosa discutibile, sia per i poteri in politica estera del Presidente francese sia per la simultanea sconfitta a sinistra e a destra degli atlantisti doc – per non parlare dell’ostentata analogia fra caduta di Macron e di Di Maio, offensiva per il primo. Comunque si tratta di un effetto del successo parlamentare della Nupes, non attribuibile a Le Pen, come sarebbe stato per il suo score alle presidenziali.

Questo vuol dire che in futuro lo sfasciamento della macronia andrà a prevalente vantaggio della sinistra coalizzata (e della tenuta della coalizione).

Inoltre, e cosa più importante, si apre una stagione di lotte favorita dalla debolezza della maggioranza parlamentare e della difficoltà di governare alla lunga con ordinanze dell’esecutivo. Pensiamo alle riforme che erano previste in materia previdenziale e scolastica o ai conflitti che potranno essere scatenati dal basso sul salario, il welfare e la politica economica in genere e ricordiamo l’esperienza dei Gilets Jaunes a inflazione allora sostanzialmente stabile, mentre oggi galoppa oltre l’8%. Notiamo di sfuggita che l’accanito avversario dei GJ, il ministro degli Interni Castaner, l’éborgneur (l’acceca-manifestanti), è stato bocciato al ballottaggio…

La fine del macronismo e la presumibile ingovernabilità francese sono il primo effetto del regime di guerra che d’ora innanzi condizionerà tutte le vicende del capitalismo e gli scenari geopolitici globali.

Una ripresa della conflittualità sociale sembra inevitabile che gli si associ e prima o poi anche l’Italia uscirà dal coma farmacologico della terapia “tecnica”.

Al riformismo neoliberale resta fedele soltanto Letta, con tanto di elmetto Nato. Non è una buona notizia per il neoliberalismo e per Draghi, anche se a trarne vantaggio alle prossime scadenze elettorali nostrane potrebbero essere le destre. Tortuoso è il percorso dell’Europa e dei movimenti progressisti in tempore belli. Ma qui stiamo.

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